The Rebirth

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    Avviso ai nuovi lettori/lettrici!
    Questa fanfic è il seguito di un altro racconto, The Wish.
    (Se non l'avete mai letto, vi consiglio di cliccare qui)


    GENERE:
    Introspettivo, Romantico, Drammatico

    DATA DI CREAZIONE:
    04/08/2020

    LUNGHEZZA:
    In corso

    PERIODO:
    Mature / This Is It Era (2006-2009)

    PERSONAGGI:
    > Michael J. Jackson
    > Nuovo Personaggio (Sarah A. Morris)
    > Prince, Paris & Blanket Jackson
    > Altri personaggi / Nuovi personaggi

    COPERTINA:
    Creata dall'autrice ( fallagain )

    RATING:
    Rosso + Presenza di contenuti non adatti a minori:
    - ampie e dettagliate descrizioni di atti sessuali;
    - contenuti forti e tematiche delicate;
    - presenza di parole/linguaggio forte (imprecazioni)










    Sober

    I could crash and burn, but maybe
    at the end of this road I might
    catch a glimpse of me.
    ♪ ♫ ♬


    June, 14, 2005.

    Corte Suprema dello Stato della California per la Contea di Santa Barbara, divisione di Santa Maria. Processo dello Stato della California contro l'imputato Michael Joe Jackson. Caso numero 1133603.


    Mi risvegliai con la voce del giudice nelle orecchie.

    Non aprii subito gli occhi. Rimasi in attesa di un rumore, di uno scoppio o di un'esplosione che mi avrebbe indotto ad alzarmi, fuggire, andarmene, scomparire una volta per tutte. Avevo bisogno di fermare il tempo e tornare indietro, magari rifare tutto da capo o catapultarmi in un’altra dimensione in cui non esistesse il dolore; un luogo in cui tutto si sarebbe annullato, anche me stesso.

    Verdetto numero uno.
    La giuria, nel caso in questione sopra riportato, ritiene l'imputato non colpevole di cospirazione, come accusato nel primo capo d'imputazione; datato 13 giugno 2005, portavoce della giuria numero 80.


    Non ero più in grado di muovermi.

    L'arrendevolezza al malessere che avevo trattenuto per mesi e mesi ora invadeva ogni osso e muscolo del corpo. L’anima strideva e urlava in preda ad una sofferenza struggente come un neonato bisognoso di cure. La situazione che da due anni o poco più gravava sulle mie spalle mi spingeva sempre più in basso. Ero stanco, privo di forze, sfibrato.

    Non ce la facevo più.


    Verdetto numero due.
    La giuria, nel caso in questione sopra riportato, ritiene l'imputato non colpevole di atto osceno su minore, come accusato nel secondo capo d'imputazione; datato 13 giugno 2005, portavoce della giuria numero 80.


    Ad occhi chiusi riuscivo a vedere le facce dei giurati, della mia famiglia, dei miei avvocati e del procuratore distrettuale; improvvisamente la scena cambiava, mille o più persone che non riconoscevo urlavano il mio nome e il loro amore per me: i miei fan. E i giornalisti. Le loro telecamere. I loro microfoni. I loro sguardi e quelli di coloro che mi guardavano da casa, alcuni sprezzanti e altri felici. Il giudizio del mondo che premeva su di me.

    Verdetto numero sei.
    La giuria, nel caso in questione sopra riportato, ritiene l'imputato non colpevole di tentato atto osceno su minore, come accusato nel sesto capo d'imputazione; datato 13 giugno 2005, portavoce della giuria numero 80.

    Percepivo i brividi ogni dove, ma per il resto sembravo un automa... tutto era finito e io non riuscivo a tenermi in piedi. In ogni caso, innocente o no, mi avevano privato della libertà, della dignità e di tutto l'amore che potevo donare e che mi era stato donato.

    Ma non era così, vero?

    C’era ancora qualcosa per cui valeva la pena andare avanti, ma ero cieco... volevo vedere solo quello che volevo vedere. Volevo lasciarmi andare ad un dramma che non aveva fine, convinto che mi avrebbe tormentato fino alla fine dei giorni.

    Verdetto numero sette, reato minore.
    La giuria, nel caso in questione sopra riportato, ritiene l'imputato non colpevole della fornitura di bevande alcoliche a persone di età inferiore ai 21 anni, come accusato nel settimo capo d'imputazione; datato 13 giugno 2005, portavoce della giuria numero 80.


    Basta...

    Aprii gli occhi.

    Solo buio. Le tende erano tirate e dalle finestre non entrava un singolo fascio di luce. L’aria che respiravo sapeva di strazio e supplizi, crudeli ricordi di un ciclo di vita appena concluso che mi stava lacerando dentro e che mi aveva lasciato un segno indelebile nella sua brutalità.

    C’era silenzio.

    Sebbene ci fosse lei con me – o almeno così credevo – mi pareva di essere solo. In realtà mi sentivo così da mesi, ancora prima che fosse iniziato il processo.

    Abbandonato a me stesso, perso in una fitta e fredda foschia che mi si avvinghiava addosso, congelandomi il sangue. Mi soffocava. Tentavo di resistere, fragile come un fiocco di neve. Ero solo come lo ero sempre stato.

    No. Avevo i miei figli, e loro aspettavano me.

    Volevo spendere ancora tanti giorni, mesi e anni con loro, prima di lasciarmi andare ad una morte inevitabile. Desideravo le loro risate e i loro occhi su di me, il loro affetto inesauribile. Erano loro il regalo di Dio per un’anima che non aveva ancora raggiunto la sua ora. Ambivo al loro amore più di qualsiasi altra cosa. Desideravo essere il papà migliore per Prince, Paris e Blanket e speravo che un giorno avrebbero pensato che lo fossi per davvero. Volevo esserci quando sarebbero cresciuti e sarebbero diventati adolescenti, trasformandosi poi in adulti coscienziosi.

    E poi c’era Sarah...

    Mi avrebbe mai perdonato? Avrebbe compreso che il mio amore per lei era sopravvissuto ai nostri alti e bassi, alle mie cadute e ai nostri litigi, alle mie lacrime non piante e al mio isolamento?

    Era buio, ma lentamente mi stavo abituando all'oscurità. L'assenza di luce non mi faceva paura.

    A tentoni misi una mano sul lato del letto in cui dormiva, ignorando il dolore di quel semplice gesto, immaginando di scontrarmi con la sua coscia tornita che teneva sempre vicino al busto quando dormiva, rigorosamente a pancia in giù. Nonostante la distanza fra noi, sognavo ancora di sentire il suo profumo su di me, quell'essenza che avrei riconosciuto anche a distanza.

    La ricercai con lo sguardo, ma non la trovai.

    Di colpo mi mancò come se per tutto quel tempo non l’avessi mai vista.

    Pensavo che mi sarei risvegliato, toccandola. Pensavo che avrei potuto ricominciare, con lei e i miei figli. Magari avremmo avuto dei bambini tutti nostri, così come le avevo detto più di una volta. Avremmo viaggiato, dimenticando quella brutta faccenda del licenziamento e le altre cose passate; ce ne saremmo andati e ci saremo perdonati; mi avrebbe insegnato a vivere e nei suoi occhi avrei rivisto il divino, avrei percepito il suo affetto e avrei capito che con lei ero finalmente sereno. Sarah avrebbe dimenticato tutto.

    Ma le mie dita non percepirono niente, non sfiorarono il suo corpo e tanto meno il suo calore. Il piano liscio del materasso era interrotto dalle pieghe di coperte disfatte, disordinate, il cuscino era stropicciato e Sarah era scomparsa.

    Come un automa mi alzai a sedere. La schiena doleva.

    «Sarah...?», sbiascicai.

    Avevo ancora la bocca impastata e la voce graffiata, ma non ci feci caso.

    Mi guardai intorno. In bagno non c'era luce.

    Trattenni il fiato per un secondo e rimasi in quella posizione a fissare il nulla.

    Mi sollevai meccanicamente dal letto e andai ad alzare le serrande, scostando le tende per illuminare la stanza, alla ricerca di lei.

    I muscoli e le ossa doloranti smisero di attirare la mia attenzione.

    Adocchiai in giro, ma non c’era. Solo io e il vuoto apparente.

    Abbandonai le braccia sui fianchi. Il fiato era una lama affilata che scendeva dalla gola ai polmoni.

    Non credevo che l’avrebbe fatto.

    Non era possibile.

    Le sue cose erano scomparse. Non c'era più niente di Sarah, né un vestito, né un oggetto fuori posto, solo il suo profumo che si mischiava col mio. Quell'odore era l'ultima cosa che mi rimaneva di lei.

    Non c’era un rumore o un suono di qualche tipo.

    Niente.

    Ebbi un improvviso gesto di stizza, un moto di rabbia che non riuscii a controllare. Chiusi un’anta semiaperta dell’armadio al mio fianco con un solo movimento della mano. Ci fu un boato sordo e un mio grido soffocato. Feci due passi verso il comodino e tutto quello che vi era sopra lo ribaltai a terra. Presi il cuscino e lo gettai contro la parete di fronte a me. Afferrai tutto quello che trovai e lo lanciai, lo distrussi, mentre la mia voce vibrava al di fuori della bocca in urla di disumano tormento.

    E poi, quando vidi quella busta rovesciata a terra – bianca come la neve –, mi placai.

    Soltanto allora, con il petto che sobbalzava seguendo il ritmo dei miei respiri agitati, mi accorsi che stavo piangendo. Mi lasciai scivolare a terra. Presi fra le mani quell’ultimo ricordo che, accecato dalla rabbia, non avevo scorto immediatamente.

    Cercai di aprire la busta senza rovinarla, quasi come avessi paura di fare male a Sarah stessa. Vi era un biglietto al suo interno e, nel tentativo di estrarlo, qualcosa scivolò fuori dalla busta. Ci fu un tintinnio di campanelle, cadendo a terra.

    Chiusi gli occhi quando capii cosa fosse.

    Lo colsi e affondai le dita fra i capelli; poi lo tenni stretto al petto e non mi servì a nulla leggere il biglietto: immaginavo da solo cosa ci fosse scritto.

    Dalla mia bocca si elevò un urlo abbattuto e moribondo. Lanciai l’oggetto che mi aveva restituito - che io le avevo donato - contro il muro e accostai le ginocchia al petto; sprofondai la testa come un bambino e piansi senza avere più di idea di dove fossi, sussurrando confuse parole di disperazione.

    Senza di lei morii di nuovo.1




    1 Le canzoni utilizzate come titoli dei capitoli rispecchieranno l’argomento trattato: lo stato della relazione tra Michael e Sarah così come i sentimenti l’uno per l’altra. Cliccate le note musicali a inizio capitolo e potrete ascoltare le canzoni durante la lettura. Consiglio - per chi fosse interessato - di leggere le parole con attenzione. In questo caso, nonostante Sober sembri non c’entrare nulla con l’argomento, è tutto il contrario. Nella canzone viene nominato continuamente “three months”; se qualcuno si ricorda, nel penultimo capitolo di The Wish. Sarah spiega come le cose (per lei e Michael) siano deteriorate totalmente da marzo in poi… e da marzo a giugno sono esattamente tre mesi.




    Edited by fallagain - 24/4/2020, 18:20
     
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  2. Applehead97
     
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    Ma.. ma.. ( scuso il mio essere volgare ) CAZZO CHE SODDISFAZIONE AVERE IL SEGUITO DI THE WISH.

    Sarà meraviglioso, come tutto ciò che scrivi.
    MICHAEL CORRI DA SARAH. :love:
     
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  3. Holiday
     
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    Finalmente hai postato! Attendevo con ansia questo sequel! :yeah:
    E devo già quotare una frase:
    CITAZIONE
    Avrebbe compreso che l’amore per lei era sopravvissuto ai nostri alti e bassi, alle mie cadute e ai nostri litigi, alle mie lacrime e anche a quelle che lei piangeva nel sonno? Perché io la sentivo quando piangeva.

    :00:

    CITAZIONE
    Citando una persona, sono PROPRIO PESSIMA in certe occasioni

    :laught: :laught: :laught: :laught: :laught: non mi stancherò di ripeterti quanto sei pessima!
    E' inutile dirti che attendo già il prossimo capitolo?!
    :kiss2:

    Scusa, questo commento non riguarda il capitolo ma...
    CITAZIONE
    a pancia in giù

    :laught: :laught: hai capito, no? :shifty:
     
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    Oddio,Ambra :00:
    Quanto mi rendi felice!
    Che emozione poter leggere anche un continuo di questo capolavoro!
    In silenzio ci speravo davvero che continuassi ed ora che l'hai realizzato veramente,Dio mio,che bello!!
    Inutile dirti che ti seguirò passo dopo passo!
    Ti adoro!! :wub: :wub: :wub: :wub:
     
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  5. Sharon Jackson
     
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    Cara amica sono felice che sei tornata a riempire le mie giornatenel Forum con il seguito del capolavoro The Whis. Tutto ciò per dirti ti seguirò e commenterò giorno giorno :wub: :wub: :love: :love: :love: :kiss: :smack: :hug: :kiss2:


    Ps: Michael corri da Sarah
     
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  6. Cinzia62
     
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    E lo sapevo che non poteva finire così! :botte:
    Ma che bella sorpresa Ambra (sei terribile lo sai vero?) :laught:
    Continua dai! :yep:
     
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  7. Elena01
     
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    CITAZIONE
    Il giudizio del mondo premeva su di me.

    ... :( mamma mia che frase da brividi :cry:

    CITAZIONE
    Ora ditemi... pensavate di esservi liberate di me?

    ... e meno male che così non è, cara Ambra! Anch'io sono felice che hai deciso di impegnarti già nello scrivere un'altra storia per noi: il nostro forum ha tanto bisogno di nuova linfa! Grazie :wub: :hug:
     
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  8. maria graziamj
     
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    Il seguito di THE WISH...me felice :love: :love: lo sai che ho amato questa ff e sono super contenta che tu abbia deciso di darle un seguito...grazie Ambra :wub: :wub:
     
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  9. wonderfulMJ
     
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    Ed anche io faccio parte della schiera delle Super - Felici :yeah: !
    Seguo tutte le FF di Forever Darling e tutte mi entusiasmano,
    però mi è difficile commentarle, credo per ... boh ... timidezza :argh: ..
    ma The Wish mi aveva proprio preso il cuore e quel finale .... :cry: No no no...
    .... che felicità ora nel RI-incontrare Michael & Sarah... :love:
    che bellezzzzzzzzzaaaaaa !!!
    Non potevo non scrivertelo Ambra:
    " GRAZIE non potevi farmi regalo più bello :kiss2: !! "
    A presto spero.
    lella.
     
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    Ditemi voi come faccio a non adorarvi? :kiss2:
    Mi avete accompagnato in un viaggio fino a poco tempo fa... so che a qualcuno può far piacere questo come ad altri può essere indifferente, ma per me è molto importante emozionare ciascuno di voi. L'ho detto e lo dirò sempre.
    Grazie alle lettrici vecchie e nuove.
    Il primo capitolo non si farà attendere molte settimane :wub:
     
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  11. Applehead97
     
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    Aspettiamo aspettiamo :love:
     
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    Give me love

    And it’s been a while but I still feel the same.
    Maybe I should let you go.
    ♪ ♫ ♬


    November, 13, 2006.

    C’era il caos.

    Si respirava a fatica, ma il sorriso non ostentava a cancellarsi dal mio volto; ad ogni saluto le grida si facevano più forti; ad ogni mio gesto, al sol levarsi delle mie dita in aria, la folla si stringeva attorno alle guardie del corpo, le quali faticosamente tentavano di farmi entrare in auto.

    Gli occhiali da sole nascondevano le palpebre che, quando le urla si facevano stridule, perforandomi i timpani, si socchiudevano un po’. Ma ero abituato a quelle esclamazioni di giubilo. Non mi infastidivano più di tanto. Anzi, mi facevano sentire amato, molto più di quanto non mi fossi sentito da un pezzo.

    I flash delle macchine fotografiche, quelli sì che erano insopportabili.

    Mi venne aperta la portiera del SUV nero e mi chinai per entrarvi. Con un movimento istintivo, però, mi risollevai e detti un ultimo saluto ai fan, un ultimo affettuoso sorriso e finalmente scomparvi dalla loro vista. Le luci abbaglianti delle macchine fotografiche, le grida rimbombanti e i pianti isterici vennero smorzati dalla chiusura della portiera e dalla presenza dei vetri oscurati.

    Non mi resi conto che, prima di me, era entrata la bella ragazza dai lunghi capelli biondi, la stessa che fino a poco prima mi aveva accompagnato in ogni singolo angolo di Harolds.

    Guardai tutti quegli uomini e quelle donne che si abbattevano sull’automobile alla ricerca di un pezzo di me; li salutai con un sorriso stampato in faccia, cosciente che non mi avrebbero potuto vedere. Sentii il rumore di altre portiere che si chiudevano, ammonimenti dei miei bodyguards di stare lontano e il rombo del motore. La macchina partì. Potevo avvertire l’odore di benzina sotto il naso anche solo immaginandolo.

    Finalmente sospirai.

    Mi lasciai cadere sul sedile e contrassi le labbra in un’espressione sollevata ma pensosa.

    Da tempo non vivevo l’emozione di ritrovarmi in una folla così rumorosa e affezionata. Certo, qualche mese prima ero stato in Giappone per una premiazione, ma gli World Music Awards sarebbero stati tutt’altra cosa.

    Se riflettevo sul fatto che fra qualche giorno mi sarei dovuto esibire su un palco grande come quello, lo stomaco rotolava su se stesso e le sopracciglia si corrugavano visibilmente dal dolore. L’adrenalina scorreva in corpo in anticipo di più di ventiquattro ore. Ero pronto a ricevere l’amore dei fan, ma non ero pronto a mostrarmi al mondo, non di nuovo, non subito. Era passato troppo poco tempo dall’ultima volta in cui le telecamere di mezzo mondo mi si erano avvinghiate addosso.

    Ormai chi mi guardava attraverso uno schermo o per mezzo dei giornali aveva un’idea di me che difficilmente sarebbe potuta cambiare, un’opinione distorta che non credevo sarebbe mai riuscita a svanire.

    Perché io ero il bugiardo, non i media. Io sarei stato ricordato come il Mostro e questo tipo di fardello mi avrebbe accompagnato per tutto il resto della vita. Il peso di una reputazione infangata da chi mi voleva distrutto o da chi voleva soltanto i miei soldi era un fardello pesante.

    Il mondo non aveva dimenticato il processo e nemmeno io; era ridicolo affermare che, per me, fosse un argomento chiuso. Quella gente – coloro non sapevano niente di me, ma continuavano a giudicarmi imperterriti – avevano ancora molti interrogativi irrisolti sul mio aspetto e sulle mie strane “manie”, sulle mie preferenze sessuali e sulle stranezze che compivo, ma soltanto perché non volevano ascoltare me e la mia verità. Dovevo farmene una ragione. Pian piano mi stavo arrendendo.

    In realtà non volevo partecipare ai WMA. Mi aveva convinto la mia manager, Raymone. Diceva che dovevo approfittare di quell’occasione per riabilitare la mia immagine in fretta e guadagnare qualcosa. La sola idea mi faceva storcere il naso, oltre che darmi la nausea.

    Ero un leone, ero indistruttibile. Ancora vivevo, ancora respiravo. Non mi sarei nascosto per sempre, ma era troppo presto per ritornare in scena.

    Avevo bisogno di tempo per me, per i miei figli, per coltivare quella serenità interiore che mi era mancata per così tanto tempo, per rigenerarmi nella salute e nello spirito... non avevo potuto dire di no alla produzione del 25esimo anniversario di Thriller – progetto che non mi entusiasmava affatto –, nonostante fossi già al lavoro con nuova musica e idee, innovazioni in campo musicale e collaborazioni con artisti dell’epoca.

    Inoltre, la fuga in Bahrain non era stata così entusiasmante. Non lo era stata per niente. Quando me ne andai stavo peggio di prima. Così avevo deciso di viaggiare un po’ ovunque per l’Europa – e sì, anche in Italia. Vi rimasi soltanto per qualche giorno, perché lì il dolore diveniva più insopportabile. L’ombra del suo fantasma aleggiava in quel luogo più che in altri.

    Come ultima tappa scelsi l’Irlanda e lì vi restai.

    Amavo quel paese. Il suo verde infinito. I suoi cieli affrescati da umide nubi di pioggia. Gli alberi con le loro forti cortecce e le spesse radici. Il terreno che profumava di bagnato e di vita. L’aria che sapeva di pulito, nostalgia e libertà. I diversi richiami di specie animale che non avevo mai visto dal vivo, se non nei tantissimi libri che avevo letto.

    Mi ero ritirato in Irlanda a giugno e lì avevo passato dei mesi in tranquillità assoluta. Paddy e Claire, i gestori del cottage, erano persone leali e disponibili. Non avevano detto a nessuno della mia presenza e i curiosi, coloro che sospettavano qualcosa, venivano messi a tacere con delle bugie a fin di bene. Perfino i vicini erano intervenuti in mio appoggio, soprattutto dopo esser stato intervistato dall’Access Hollywood. La sensazione di potermi fidare di qualcuno mi riscaldava il cuore, così tanto che a volte – in solitudine – i miei occhi si lucidavano per un dolore che faticava ad andarsene.

    Quella del 15 novembre sarebbe stata l’unica e sola apparizione in Tv per molti mesi a venire, pensai.

    Mi dimenticai della presenza di Gwen fino a quando non estrasse un telefono cellulare dalla borsa color panna. Gwen Hussain, così si chiamava.

    Era una fan molto fedele e giovane. Ricordavo la prima volta in cui la vidi, in cui la feci salire in hotel con altri fan la sera prima di un concerto, se non sbaglio una tappa europea dell’HIStory tour.

    Pochi giorni prima aveva saputo del mio arrivo a Londra e, riconoscendola, l’avevo lasciata avvicinare durante il mio giro turistico per il centro commerciale più famoso della capitale.

    Da sempre mi tenevo in contatto con i fan più leali. Non erano molti, anzi, ma ricordavo di ognuno di loro alla perfezione. I loro nomi, la loro età, che cosa facevano nella vita e dove li avevo incontrati la prima volta, a volte anche i numeri di telefono. Gwen era una di quelle.

    Fintamente distratta, mi aveva accompagnato in giro per negozi assieme a molti altri; ad un certo punto si era spruzzata un campioncino di profumo sul polso e mi aveva chiesto un'opinione. L’avevo osservata a lungo, sorridendo appena. Dopo un suo accenno di smarrimento per l'intensità del mio sguardo, le avevo detto che la sua compagnia era molto piacevole, e che mi avrebbe fatto felice se mi avesse accompagnato per un altro po’. E ora era in macchina con me.

    Con la coda dell’occhio la vidi comporre il numero dell’amica, quella con cui divideva l’appartamento ad Oxford Street, per avvisarla che non sapeva quando sarebbe tornata a casa.

    Il suo profumo era dolce, un po’ troppo per i miei gusti, ma era carina. L’avevo sempre considerata tale e mi aveva sempre affascinato. Il suo accento inglese era marcato, mangiava un po’ le parole per l’imbarazzo e le gote erano lievemente arrossate.

    Gesticolò nel comunicare che non poteva spiegare il motivo per cui non sarebbe rientrata.

    I pantaloni neri le fasciavano le gambe lunghe e toniche. Da sotto la camicetta rosa pallido potevo intravedere il reggiseno bianco e quelle piccole ma sode protuberanze che sporgevano dalla stoffa. Le mani affusolate mi piacevano molto. Soprattutto mi piaceva la sua cordialità, il modo in cui si sfiorava dolcemente le mani quando parlava. Mi attirava.

    Una notte e non l’avrei più rivista. Non ero solito a questi atteggiamenti e pensieri con tutte le fan che conoscevo, tutt’altro. Doveva essere un richiamo a pelle, qualcosa di istintivo, e con Gwen lo sentivo particolarmente. Le avrei dato il mio nuovo numero di telefono, quasi sicuramente, ma non l’avrei rivista per non so quanto.

    Non ambivo ad una relazione sentimentale, non ero pronto.

    L’avevo trovata la mia relazione seria, qualche anno prima, ma l’avevo lasciata scappare come un bambino non riesce ad afferrare il suo palloncino in tempo, prima che questo salga in cielo confondendosi con l’azzurro lucente. Come un desiderio su una piuma.

    L’avevo lasciata scappare.

    Serrai le palpebre ed inspirai a pieni polmoni; era una ferita che ancora faceva male, un ‘addio’ che non mi sarei scordato a cui – credevo – non sarei mai riuscito ad essere indifferente.

    Non mi interessava l’amore. Volevo puntare tutto su me stesso e sui miei figli, ma ero un uomo. Volevo stare in compagnia di una donna, volevo godere di un attimo di piacere estremo che, purtroppo, appena finito avrebbe amplificato il doloroso buco nel petto. Un attimo ero un essere umano sulla cima del mondo e l’attimo dopo ero più solo che mai.

    Con una mano massaggiai la parte del collo nascosta dai capelli. Gli occhi rimasero puntati sulle ginocchia, assenti, fino all’istante in cui sentii la giovane ragazza salutare l’amica. Allora alzai lo sguardo e il mento. Le lenti scure degli occhiali mascherarono la mia afflizione.

    “Sì... sì... non ti preoccupare!”, sbuffò Gwen. “La cena è in frigorifero, ho fatto tutto io stamattina! Notte! Ciao, ciao...”.

    Terminò la chiamata e il cellulare con chiusura a conchiglia fu rimesso in borsa.

    Mi sorrise emozionata ed eccitata assieme, afferrando i lembi della borsetta con nervosismo. Le sorrisi di rimando, sistemandomi meglio sui sedili in pelle, affinché potessi guardarla negli occhi e contemporaneamente potessi adagiare il gomito sinistro sul poggiolo pieghevole.

    “Non le dirò niente, non ti preoccupare”, borbottò cercando di rassicurarmi.

    “Te ne sono grato”, mormorai con un flebile sorriso. Non tolsi gli occhiali da sole, nonostante avessi capito che non riuscire a vedere le mie iridi scure la stava mettendo sotto pressione. Mi bagnai il labbro inferiore, scoccandole un altro check-up completo. “Così vivi proprio qui vicino adesso?”

    Un modo come un altro per attaccare bottone.

    Avrei dovuto comunicare ai miei bodyguards di chiedere un’altra stanza a mio nome per poterla ospitare. Avrei pagato io come minimo. Ero pur sempre un gentleman. In più i miei figli non dovevano conoscere nessuna delle donne che frequentavo occasionalmente.

    “Sì, proprio a qualche chilometro di distanza!”, assentì.

    Annuii anche io, ma più lentamente.

    “Lavori? O studi ancora?”

    “Lavoro alla National Gallery da un annetto. Mi occupo dell’organizzazione dei gruppi turistici, che vengono a visitare il museo…”, si accarezzò nervosamente i capelli, incrociando una gamba sopra l’altra. “E al tempo stesso frequento corsi serali per imparare spagnolo e tedesco”.

    “Sono curioso... parlami delle tue opere preferite, io adoro l’arte”, mi passai una seconda volta la lingua sulle labbra e sorrisi. “Magari abbiamo gli stessi gusti”.

    Anche lei sorrise. I suoi denti perfettamente dritti mi abbagliarono più della luce nei suoi occhi.

    “Amo l’Origine della Via Lattea del Tintoretto e Cristo e l’adultera di Rembrandt! Trovo che siano delle opere meravigliose. Secondo me sono un po’ sottovalutate…”.

    Arrossì e continuò a parlare, ma non ci feci caso. Nel mentre la mia attenzione era scivolata in basso, dalle sue cosce alle sue ginocchia. Lì i miei occhi erano rimasti attratti da una busta in plastica nera e rossa. La scritta in bianco mostrava il nome di quella che – in seguito – avrei scoperto fosse una casa editrice.

    Inclinai il capo a destra, involontariamente.

    Gwen si bloccò. Mi accorsi del suo silenzio nell’esatto istante in cui ricominciò a parlare.

    “Scusa, ti sto annoiando...”

    “No, scusa tu...!”, ridacchiai imbarazzato, scuotendo la testa. Mi grattai un angolo della guancia vicino all’orecchio. “L’occhio mi è caduto su quel sacchetto... è un libro, vero?”

    Gwen prese la busta con entrambe le mani.

    “Sì, esatto. Oggi pomeriggio ho partecipato alla presentazione di un libro che sta vendendo un sacco in questi ultimi tempi. È un fantasy. A breve verrà tradotto anche in altre lingue europee. La scrittrice sarà presente da oggi a venerdì 17 per gli autografi, sempre nel pomeriggio. Me lo sono fatta firmare proprio qualche ora fa...”, abbassò lo sguardo. “Vuoi vederlo?”

    Sapevo che non era l’argomento di cui voleva trattare, ma il fatto che amasse il genere fantasy stimolò il mio interesse. Visibilmente.

    Piuttosto che parlare di quello voleva conoscere il motivo per cui l’avevo invitata in quell’auto. Voleva sapere tutto di me, mentre io volevo concentrarmi – almeno per un po’ – su qualcuno che non fossi io. Per quello instaurare rapporti con la gente non era mai stato facile: speravano che raccontassi tutto di me, che svelassi qualche segreto che nessuno sapeva, per poi vantarsi di conoscere una parte di Michael Jackson che nessuno aveva mai visto. Ma non era rivelando segreti che mi avrebbero conosciuto per quello che ero.

    Anni prima soltanto una persona avrebbe amato rispondere alle mie domande su di lei senza pretendere nulla in cambio. Questo fino a quando le cose non erano iniziate a peggiorare e deperire incontrollabilmente.

    Gli angoli della bocca si alzarono in un sorriso cortese. Le sfiorai il polso con le dita e la indussi a riporre la borsa di plastica ai suoi piedi, delicatamente. Spalancò gli occhi ed una scintilla di luce ravvivò il suo volto.

    Sussurrai. “Magari più tardi, ok?”

    *

    “Mi dispiace”.
    Avrei voluto corrergli incontro. Mi guardava con due occhi spalancati e azzurri come il cielo.
    Ora sei libero”.
    Era vero. Era libero dalla guerra, dal dolore, dalla rabbia, dal lutto, dal peso che gli causavo standogli accanto. Se avessi potuto tornare indietro, avrei rifatto tutto da capo per lui, senza errori e senza tacite promesse destinate a non realizzarsi mai.
    Avrei voluto dirglielo, ma non ebbi il coraggio di farlo.
    La realtà era che non ci saremmo dovuti innamorare, non sapendo che ne saremmo usciti distrutti. Sapevamo entrambi quello a cui andavamo incontro e avevamo ignorato ogni avvertimento sul nostro cammino. Ci eravamo comportati come due ingenui, dimenticando chi fossi destinata a essere fin dal principio: un mostro.
    Gli avevo permesso di fare un passo avanti, diventare parte della mia vita, nonostante fossi consapevole di quale fosse la cosa più giusta da fare: tenerlo lontano. Aveva voluto conoscermi nonostante i miei rifiuti e i miei distacchi, mi aveva cercato, mi aveva incantato con il suo atteggiamento così avventato e incuriosito da tutto ciò che era considerato diverso dal resto del mondo.
    Ero un disastro e malgrado ciò, tra tutti gli abitanti del regno, quel ragazzo era stato l’unico a comprendere l’anima dietro la corazza. Aveva guardato oltre le apparenze e mi aveva trovato, vulnerabile come un filo d’erba ma forte come una roccia – io e le mie ferite mai guarite.
    Non mi giudicava. Sapeva come prendermi. Non mi accusava come il resto del mondo. Mi guardava con un’occhiata in grado di scoprire ogni verità nascosta. Non ero così “pericolosa” come dicevano tutti… e ora? Lo pensi, invece?
    Non possiamo salvarci a vicenda se non sappiamo amare noi stessi. Dobbiamo essere in grado di accettare il bene altrui senza rifiutarlo. Dobbiamo lasciare andare quando è il momento di farlo, anche quando fa troppo male per mollare. Dobbiamo accettare quello che siamo, quello che siamo sempre stati, e non andare incontro a false illusioni e aspettative pronte a disintegrarsi al suolo al minimo alito di vento.
    Gli voltai le spalle.
    Nessuno dei due si meritava tutto questo.
    Lo sentii urlare il mio nome, ma non tentennai.
    Non lo avrei mai dimenticato. Sarebbe sempre stato l’amore della mia vita, l’amore di una vita intera.

    Rilessi quei paragrafi per un tempo indefinito.

    Uno spesso strato di lacrime mi annebbiava la visuale. Cercavo di cancellarlo stropicciando le palpebre al di sotto degli occhiali da vista. Poi rileggevo quei paragrafi, sprofondavo nel dolore, mi focalizzavo su quell’ultima frase – ‘L’amore di una vita intera’ – e tutto si appannava di nuovo.

    Richiusi il libro con un rapido gesto del polso.

    Osservai la copertina.

    L’immagine era sempre quella: il disegno di una donna, di profilo e con gli occhi viola e i capelli neri come il fuoco. Sguardo perso nel vuoto, uno sfondo grigio fumo. Sette sfere di luce dei colori dell’arcobaleno formavano una mezza luna attorno a lei. I suoi abiti erano quelli di una guerriera: pantaloni marroni, stivali in pelle, cintura nera, maglia color crema ricamata d’oro. In mano teneva una sfera di energia nera. I capelli svolazzavano e le incorniciavano il viso segnato dalla compostezza.

    Quando Gwen se ne andò – la mattina seguente al nostro incontro – aveva lasciato il libro nella sua stanza d’hotel, quella in cui avevamo passato la notte assieme. Era lo stesso che, una volta entrata nella limousine, avevo intravisto dal sacchetto di plastica che teneva ai piedi.

    La ragazza era fuggita in silenzio, scortata da un mio bodyguard presso un’uscita di sicurezza, per non farsi notare dai fan che mi aspettavano all’entrata principale. La fretta di andarsene e non farsi scoprire da nessuno le aveva fatto raccogliere le sue cose rapidamente, dimenticando l’unica cosa che doveva portarsi via con sé per sempre.

    I miei occhi – fissi sul disegno di quel personaggio fantastico – non osavano muoversi. Mi era bastato leggere il nome dell’autrice, scritto in viola e in rilievo assieme al titolo del libro, per impazzire letteralmente.

    Per due giorni interi il mondo aveva smesso di girare per il verso giusto.

    Non che prima lo avesse fatto, comunque… ma credevo che il vuoto nel petto stesse diventando pian piano più sopportabile. Ed invece eccola lì. Neanche un anno e mezzo passato tentando di dimenticarla e si ripresentava ancora, con la sua silenziosa aggressività, scansando ogni mio sforzo per ricostruire una vita senza di lei.

    Riaprii il libro, stavolta puntando alla descrizione dell’autrice.

    Sarah Anne Morris, nata in Italia nel 1975, ora vive a Guildford, Inghilterra. Si è laureata alla Harvard University di Boston e ha lavorato come insegnante privata per anni. “The Rebirth” è il suo primo romanzo e in poche settimane dalla pubblicazione ha scalato i primi posti in classifica, divenendo così uno dei libri più venduti nel 2006 in Inghilterra.

    Sarah Anne Morris.

    Mi coprii la bocca e il naso con le mani.

    Inspirai ed espirai profondamente, chiudendo gli occhi.

    La ferita era ancora aperta.

    Era una sensazione di gelo che pervadeva il corpo, raffreddava la temperatura del sangue e impediva al cuore di pompare. I ricordi mi facevano annegare di nuovo. Se non avessi visto la sua firma sulla prima pagina del libro probabilmente non avrei creduto che fosse quella Sarah. Mi sarei convinto del contrario in tutti i modi. Eppure era lei.

    Lo sapevo perché era la stessa firma utilizzata per accettare il contratto di lavoro come educatrice dei miei figli. La stessa che avevo odiato per mesi, quando mi aveva presentato le carte del licenziamento datate 4 giugno 2005.

    Era lei e nessun altro.

    Ritornai a pagina 261.

    Non lo avrei mai dimenticato. Sarebbe sempre stato l’amore della mia vita, l’amore di una vita intera.

    Era così straordinariamente brava. Non soltanto a scrivere, ma anche a farmi male. Sapeva esattamente come ferirmi. Sapeva come torturarmi l’anima, come farmi riflettere, come trasmettermi la sofferenza che doveva aver provato a causa mia.

    Doveva averlo scritto pensando a me.

    In tutta quell’oscurità le sue parole furono in grado di accendere un fuoco incandescente nel petto: la speranza. Un amore che pensavo fosse destinato a svanire come tutti gli altri, che incendiava più di qualsiasi altro. L’unica cosa che riuscivo a dirmi era: “non è un caso”.

    È tutto vero.

    Fra tutti i libri che avrei potuto incontrare nella vita dopo il suo addio, mi ero imbattuto proprio in quello. Il suo romanzo.

    Non ero scioccato dal fatto che ne avesse scritto e pubblicato uno, anzi. Mi aveva sempre detto che era il suo sogno nel cassetto e io l’avevo supportata fin dall’inizio.

    Mi sentivo svuotato all’idea di non essere potuto rimanere con lei, al suo fianco, mentre lo scriveva. Me la immaginavo come se la avessi davanti: fronte aggrottata, capelli rossicci disordinatamente raccolti in una coda, occhi che si perdevano nel vuoto mentre la testa vagava nell’ignoto, labbra che mimavano le frasi che stava tentando di buttare giù. Non avevamo potuto godere assieme del suo traguardo. Non avevo potuto condividere con lei la gioia del suo desiderio divenuto realtà. Non avevo potuto perché mi aveva lasciato.

    In fondo sentivo che era tutta colpa mia. Ero io il mostro di cui parlava e, a discapito di tutto, Dio mi stava mandando un segnale – o forse stavo dando di matto. ‘Non è una coincidenza’, mi dicevo.

    Desideravo ardentemente che non avesse voltato pagina e che mi amasse ancora. E sì, per quanto orribile fosse, desideravo che soffrisse. Un po’ per rabbia, un po’ per l’egoistica brama di sentirla ancora mia. Mia come lo era stata un anno e mezzo prima. Mia come quando entravo in lei e per tutta risposta udivo i suoi gemiti continui, mentre io mi innamoravo sempre di più di quel suo sguardo pregante. Mia come quando rideva per imbarazzo o mi guardava con quegli occhi grandi e spalancati, stupiti come non mai, mentre facevamo gli stupidi nel cuore della notte. Mia come quando apriva il suo cuore e si lasciava andare a discorsi infiniti, di uno certo spessore morale, mentre la ascoltavo incantato e attratto da quella sua profondità e personalità del tutto interessante. Mia come quando mi era rimasta accanto e mi aveva osservato sprofondare in un vuoto senza luce1, cercando di raccogliermi da terra invano.

    Sarah aveva ragione, aveva avuto ragione su tutto, tranne che su una cosa: senza di lei non ero affatto libero. Senza Sarah mi sentivo come se mi avessero tolto una ragione di vita. Come se cercassi di camminare – inutilmente – senza spina dorsale.

    Durante il processo Sarah aveva creduto che non provassi più amore per lei, non ero stupido da non averlo capito, ma non era così. La consideravo veramente la donna con cui passare il resto della vita.

    La verità era che il suo affetto era così immenso da infastidirmi. In particolare irritava quel bambino infantile e sconsiderato che risiedeva nella mia testa, quello che mi aveva guidato verso scelte discutibili e verso rapporti che potevano finire bene, ma che – al contrario – terminavano con una separazione o con un mio netto distacco. Quel mostro che avevo nel cervello mi isolava dal resto del mondo: ero vittima dei miei stessi pensieri e della mia stessa immaturità.

    Mi dicevo di non voler affrontare Sarah, le sue parole, la sua delusione e il suo affetto perché ero psicologicamente e fisicamente stanco, ma la verità era un’altra. Non volevo sentire che aveva ragione. Non volevo che mi aiutasse. Era così pura che permetteva a tutte quelle voci nella testa di lasciarmi in pace; e, quando lei se ne andava, ritornavano più ferocemente di prima, pronte a bruciarmi il cervello. Starle a distanza, trattarla freddamente, ignorarla… erano le cose che mi permettevano di rimanere in quello stato di apatia totale costantemente. Era una sofferenza indiscreta che non smetteva di punzecchiarmi i pensieri. E mi andava bene così.

    Per tutto il processo fu impossibile non sentirmi sempre sul filo del rasoio: la mia vita dipendeva dal verdetto di persone che non mi conoscevano. Stare al suo fianco non mi avrebbe aiutato a stare meglio. Il suo amore – per l’ottuso bambino che ero – ‘mi distraeva troppo’.

    Non avevo voglia di fare niente, se non lasciarmi cullare da un malessere che – a volte – speravo di lenire con i farmaci per i dolori alla schiena. Ma prima di commettere un errore del genere lasciavo perdere, perché non volevo zittire il Mostro. Era rincuorante, a modo suo. Mi ero abituato così tanto alle sue urla e ai suoi pianti che la parte di me che voleva ricambiare l’amore di Sarah rimaneva in silenzio, schifata da quello che stavo diventando o che forse ero sempre stato: un bambino che non voleva crescere, nel bene e nel male.

    Le avevo perfino chiesto di sposarla, ma avevo visto la risposta nel suo volto: un secco e doloroso No. Mi ero tormentato a lungo chiedendomi se lo avessi fatto per amore: la risposta era sì… e no. “Sì” perché la amavo da impazzire, perché nessuna donna al posto suo avrebbe sacrificato così tanto e così devotamente se stessa per stare vicino a uno come me… “sì” per l’effetto che mi faceva quando mi era vicino, per l’amore che mi aveva trasmesso e per la fiducia che aveva sempre riposto in me. “No” perché avevo paura che lei, come tutto il mondo, pensasse di abbandonarmi; giorno dopo giorno indietreggiava di un passo e io – o meglio dire quel bambino egocentrico che avevo come coscienza – si sentiva crollare il mondo sotto i piedi. Pur tenendola distante, volevo che rimanesse.

    Che proposta egoista… mi ero meritato il suo categorico rifiuto. Mi ero meritato il suo ultimo addio – il minuscolo biglietto con su scritto un misero ‘Mi dispiace’ – allegato all’anello di fidanzamento che le avevo donato, nel patetico disperato tentativo di farla rimanere al mio fianco per sempre con una semi-bugia.2

    Non era così ingenua da non capire cosa mi passasse per la testa, anche quando sembrava che il rancore e la tristezza formasse un muro insormontabile tra di noi. Avevo dato per scontato che sarebbe rimasta, come se Sarah me lo dovesse. Non mi doveva niente; io stesso non sapevo come riuscisse ad amarmi. Al suo posto, sarei fuggito a gambe levate da me stesso. Ero depresso ed ero spento, non potevo farle alcun bene.

    È troppo tardi, non è vero?

    Nonostante non fossi stato in grado di starle accanto, il mio amore era sempre lì, nascosto sotto una montagna di paura e angoscia. La amavo anche quando non ero in grado di dimostrarlo. Anche quando la tenevo fuori dalla mia vita. Volevo proteggerla, non accorgendomi che in realtà la persona che desideravo proteggere era soltanto me stesso. Ma non avevo mai smesso di desiderarla. Era quella giusta, ne ero fermamente convinto.

    In un anno e mezzo molte cose erano cambiate. Stavo cambiando io, che pian piano cercavo di disintossicarmi da quel malessere e dalle persone o situazioni che mi opprimevano. Ovviamente le cose erano tutt’altro che semplici: era un cambiamento così brusco e doloroso a cui non potevo sottrarmi; più cercavo di arrabbiarmi e ignorarlo, più mi stritolava il collo e soffocavo a causa sua.

    La separazione da Sarah mi aveva portato a realizzare cose che prima d’allora non ero stato in grado di vedere. Con una brutalità disarmante aveva preso il mio volto tra le mani e mi aveva portato a guardarmi allo specchio, dove il suo riflesso si confondeva con il mio, e cercavo di sciogliere tutti i nodi dell'anima uno dopo l’altro, piano piano, causandomi ferite lancinanti ovunque.

    Il dolore insegna molte cose. E, se sai guardarlo in faccia con coraggio, ti rende una persona migliore.

    Per quanto mi convincessi che fosse una traditrice e una persona orribile, odiarla mi era impossibile, perché sapevo che non era vero. Sarah era stata la grazia. Nel mio cuore sapevo che non se n’era andata per poco amore nei miei confronti. E quando il dolore sostituiva la rabbia e l’isteria, quelli erano i momenti in cui credevo di non poter più respirare. Era un dolore diverso rispetto a quello che avevo provato a causa del processo. Tutt’un’altra questione.

    Mi tolsi gli occhiali da vista e affondai il viso tra le mani.

    Dio, se l’amavo ancora.

    L’amore di una vita intera.

    Uno scintillio, nascosto tra le braci di un falò spento da quasi due anni, ardeva ancora da star male.

    *

    Non ero sicuro di fare la cosa giusta, ma avrei potuto perdere la mia occasione.

    Era il 17 novembre. Poche ore e sarei tornato in Irlanda.

    “La scrittrice sarà presente da oggi a venerdì 17 per gli autografi, sempre nel pomeriggio...”.

    Gwen era stata precisa: venerdì 17 nel pomeriggio. Non aveva specificato dove, ma lo avevo scoperto comunque. Era proprio lì, a Londra.

    Avevo chiesto a Mike, uno dei miei bodyguard, di fare il lavoro al posto mio. Avrei fatto consegnare un mazzo di fiori durante la firma del libro, assieme a una lettera che avevo scritto nel cuore della notte, poco prima che il Sole sorgesse. Sarah non avrebbe sospettato nulla.

    E poi?

    E poi avrei aspettato.

    Le avevo chiesto di chiamarmi.

    Le avevo aperto il mio cuore per la milionesima volta.

    Ne sarebbe valsa la pena?

    Sarah aveva messo tutto il suo dolore e il suo affetto per me in quel libro. Doveva pur valere qualcosa. Il mondo non sapeva niente di noi – ne ero certo, altrimenti si sarebbe saputa la verità nel giro di poco tempo –, ma io . Era stata leale, aveva mantenuto la nostra storia privata, ma in quello spesso volume di 374 pagine c’era la mia impronta invisibile.

    Camminavo avanti e indietro per la stanza con le mani nelle tasche.

    Non indossavo il pigiama. Quella notte non avevo dormito affatto e non mi ero ancora cambiato dalla sera precedente: pantaloni in velluto nero, camicia nera, mocassini neri. I miei figli erano con Grace, così non avrebbero visto loro padre nel mezzo di una crisi isterica, mentre si sfregava le mani e il collo come vittima di un tic nervoso.

    Sopra al tavolino in legno – rettangolare e ornato d’oro –, ci stava il mazzo di fiori che avevo fatto preparare dal miglior fioraio di Londra: calendula, garofano rosso, giacinto viola e, al centro, in risalto tra tutti, una camelia bianca. Nessuno più di lei avrebbe potuto riconoscere questi fiori.

    Ma la lettera…?

    Mi tremavano le gambe e le mani. Mi umettavo le labbra continuamente, sistemando i capelli in parte al viso con uno spasmodico cenno del capo e degli indici. Mi fermavo di punto in bianco in mezzo alla stanza e poi ritornavo a camminare spedito. Avanti e indietro.

    Avanti e indietro.

    Avevo lottato per lasciarla perdere e buttare quel libro nel dimenticatoio, ma non riuscivo a mentire a me stesso fino a quel punto. Ero speranzoso. Mi stavo convincendo che mi volesse ancora pur non avendomene data la prova. Il fatto che fosse nella stessa città, nello stesso luogo e momento in cui mi trovavo anch’io, per me significava tutto.

    Fissai la lettera che avevo lasciato proprio accanto al mazzo di fiori. Non l’avevo ancora imbustata, non proprio convinto di dovergliela consegnare. Avevo scritto quel pensiero sul primo opuscolo che avevo trovato in quella suite d’hotel. Due facciate, scritte disordinatamente, che racchiudevano tutta la mia speranza.

    Andai verso il comodino e la presi tra le dita.

    Inspirai a fondo. Sapevo che cosa avevo scritto, ma detti una seconda occhiata veloce, come per controllare che tutto fosse al suo posto.3

    Sarah,
    Perché mi hai tolto il tuo amore, quello stesso amore che mi rende incapace di parlare e che mi ha fatto dimenticare le mie preoccupazioni, quell’amore che mi ha salvato? Dimmi, ho fatto o detto qualcosa di sbagliato? Non ero abbastanza per te?
    Io credo nei miracoli e nel destino. So che sei scappata da i cancelli del Paradiso per illuminare la mia vita. Credo nella fede, in fondo sento che la natura ci ha unito.
    Ho visto solo miseria nella mia vita, fino a quel novembre ‘03. In tutti questi anni ho sempre cercato di dare, mentre ora desidero soltanto ricevere da te. Il tuo cuore mi ha ordinato di seguirti, quando la mia anima era ferita e la mia mente confusa.
    Gli ho permesso di prendere possesso dei miei sentimenti. In cambio, ti ho amato, ti ho rispettato e ti ho onorato più di quanto le parole possano dire.
    Mi sono rivelato a te in un modo che pensavo fosse impossibile.
    Ti ho visto e ancora ti vedo come la mia anima gemella, mia moglie e madre del mio quarto figlio.
    Dimmi, per quale motivo mi hai lasciato? Perché sei andata via, in silenzio, nel bel mezzo della notte senza di me, lo schiavo del tuo cuore? Non riesco a capirlo.
    So che siamo destinati a rimanere insieme, me lo sento. Non ho rimpianti per quello che è successo fra di noi, perché il nostro amore era sincero. Posso solo giungere alla conclusione che hai preso una decisione innaturale che non è stata dettata dal tuo cuore, non erano queste le sue parole.
    Voglio credere che altre questioni ti hanno indotto a fuggire in questo modo.
    Ma, qualunque siano le motivazioni, non voglio permettere che ci dividano. Preferisco far credere a me stesso che la nostra è solo una separazione momentanea.
    Permettimi di lottare per un altro tipo di finale.
    So che hai scritto di me.
    Per sempre tuo, Michael.
    Chiamami. +353 045 6676

    Mi stavo illudendo che sarebbe tornata con quelle parole? Sì. Le stavo mentendo spudoratamente dicendole che non sapevo perché se ne fosse andata? Anche. Assolutamente, direi. Ma se aveva scritto quel libro pensando a me – ed ero convinto che lo avesse fatto – non avrebbe rinunciato a chiamarmi facilmente. Anche solo per insultarmi per le cose che le avevo detto.

    Potevo usare parole e modi diversi, potevo dirle semplicemente “Sono orgoglioso di te, continua per questa strada e sii fiera del percorso che hai fatto fino ad ora”, ma così non le avrei dato una ragione per chiamarmi. E io volevo che lo facesse.

    Il solo pensiero che avesse trovato un altro amore mi faceva salire la voglia di vomitare.

    Ero così sconvolto dalla sua entrata in scena nel mio mondo, in maniera così brutale e sconsiderata, che non sapevo cosa stessi facendo. Anzi, lo sapevo, ma non pensavo alle conseguenze.

    Stare un anno e mezzo senza di te è stato indescrivibile.

    Bussarono alla porta e sobbalzai.

    Ci fu un attimo di silenzio.

    Mi sentii ancora più confuso di prima.

    “Avanti”.

    Invitai Mike ad entrare. Aprì la porta e rimase sull’uscio. Era alto, robusto, capelli a spazzola e un accenno di barba. Occhi vigili e attenti nonostante esprimessero un senso di calma interiore. Era vestito con abiti informali. Glielo avevo chiesto io, così facendo sarebbe stato più semplice fare la fila e passare le guardie senza dare problemi. Non volevo che il pubblico sapesse che il mandante di quel dono ero io.

    “Signore…”.

    Annuii e non ci fu bisogno che continuasse.

    Afferrai il mazzo, la lettera e la busta vuota. Andai verso Mike e gli consegnai i fiori, il quale li prese con sguardo leggermente titubante, mentre io infilavo la lettera nella busta e la richiudevo con dita tremanti.

    Voglio poterti amare come la prima volta. Voglio sentire come mi parlerai – se mi parlerai – perché non ho ancora il coraggio di affrontarti faccia a faccia. So che morirei se mi rifiutassi una seconda volta. Voglio sapere se sei riuscita a dimenticarmi, perché io non ce l’ho fatta. Ci ho provato, ci stavo riuscendo, ma ora sei tornata e mi hai sconvolto nuovamente.

    “Che cosa dovrò dire se mi venisse chiesto il perché di tutto questo?”, domandò.

    Sospirai, ma non lo guardai. Osservai la busta e la tenni stretta per un ultimo minuto.

    Tu eri l’unica.

    “Non servirà farlo”, sussurrai appena. Mi bagnai le labbra e gli consegnai la busta. Mike mi esaminò preoccupato, presumibilmente a causa del turbamento che mostrava il mio volto. “Lo capirà da sé”.

    Io avevo promesso di amarti, tu avevi promesso di restare.

    Mi avrebbe odiato sicuramente.

    “D’accordo, signore”, annuì senza porre ulteriori domande.

    Non mi ignorare. Non fare come se non fossi mai esistito.

    Ritorna.




    1 Riferimento all’ultima frase del capitolo 46 The Wish. In generale troverete sempre un qualche riferimento o ripetizione di parole che si collegano alla prima parte della storia… solo che la sottoscritta non lo specificherà. *sogghigna*

    2 Riferimento al capitolo Sober, quando Sarah se ne va e lascia a Michael un messaggio in una busta. Michael la apre e qualcosa cade fuori da questa, qualcosa che non avevo spiegato cosa fosse inizialmente: l’anello di fidanzamento.

    3 La lettera in questione tecnicamente esiste, ma non si hanno prove sulla sua originalità, anzi. Anche se ci sono molte probabilità che sia fake l’ho inserita lo stesso. La trovo davvero molto bella. La potete trovare anche qui: http://mjfa.forumotion.com/t2214-michael-j...-and-love-notes


    Edited by fallagain - 24/4/2020, 18:33
     
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  13. Sharon Jackson
     
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    Come va la scuola? :wub: :wub: Posta il prossimo per sapere se Sarah sta con un altro :kiss: :kiss: :kiss2: :hug:
     
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  14. wonderfulMJ
     
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    Il capitoluzzo è strabiliante, quante interpretazioni lascia intendere ...
    anche se io spero sia una sola!
    Sei davvero una fuoriclasse Ambra, complimenti!
    Spero in un arrivederci vicinissimo!
    :smack: Grazie!
     
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  15. Applehead97
     
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    Meraviglioso meraviglioso meraviglioso :love:

    Sono curiosa, di Sarah, di Michael ma soprattutto DI LORO DUE ❤

    Complimenti tesoro, sempre più brava!
     
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139 replies since 4/11/2012, 20:05   3420 views
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