Heroine.

Lisa Marie Presley/ Michael Jackson.

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  1. hugmejackson
     
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    Heroine.




    nbdlcx




    Personaggi: Michael Jackson/Lisa Marie Presley.
    Genere: Romantico, Sentimentale, Erotico.
    Rating Rosso.




    Prologo.



    1993.


    Mi trovavo sull’orlo del precipizio da un lasso di tempo che non ricordavo neanche.
    Un anno, forse due, addirittura tre.
    Cosa realmente volessi dalla mia vita non lo sapevo, al contrario conoscevo parte delle mie intenzioni e dei miei sogni, volevo soltanto che diventassero realtà.
    Come quando da bambina, seduta sulle gambe di mio padre, durante le poche volte in cui si trovava a casa, gli raccontavo quello che mi sarebbe piaciuto fare da grande.
    Avrei voluto incantare le persone con il mio lavoro, avrei voluto che tutti stessero bene grazie a me e, per quanto io mi sforzassi, non riuscivo mai a trovare un mestiere che coincidesse con le mie aspettative.
    Pensandoci bene, con il trascorrere degli anni ero arrivata alla conclusione che la cantante dovesse essere un lavoro che rispecchiava i miei parametri adolescenziali.
    Il problema era proprio quello.
    Non era soltanto un piccolo sogno da bambina, era il mio sogno di una vita e concretizzarlo mi avrebbe permesso di dare una svolta a tutto quello che avevo fatto del mio tempo.
    Avevo soltanto ventisei anni, ma era come se la mia vita fosse del tutto trascorsa velocemente, senza darmi nemmeno la possibilità di provare a sistemare le cose che avevo perso per la strada.
    Non erano molte, ma sicuramente un bel numero.
    Avevo lasciato, da qualche parte, la mia felicità e l’avevo scambiata a mio svantaggio ricevendo soltanto negatività.
    Era troppo tempo che ponevo al primo posto cose in cui non avevo un minimo ruolo o una minima voce in capitolo, avevo sempre anteposto la felicità degli altri alla mia.
    Mi ero sposata molto presto con Danny, un ragazzo conosciuto durante i miei anni alla ‘Scientology School’, con il quale c’era stato un rapporto tutt’altro che bellissimo e romantico come nelle favole.
    Il matrimonio sembrava andare a rotoli ogni giorno che passava. Non parlavamo più tra di noi ed era ormai giunta la fine, anche se nessuno dei due era ancora riuscito a mettere un punto a quel disastro.
    Avevo avuto anche due bambini meravigliosi, le uniche mie gioie in un percorso tormentato e frammentato da continue delusioni.
    La gente pensava che io fossi felice; ero soltanto molto ricca e figlia di un colosso della musica, ma dalla mia parte non c’era niente che potesse farmi stare bene.
    I soldi non facevano la felicità, lo avevo imparato a capire nel corso degli anni e neanche la fama mi concedeva il suo contributo.
    Avevo bisogno di qualcuno: di un uomo che mi permettesse di scoprire i lati belli della vita, un uomo al quale concedermi senza timore, un uomo capace di tenermi testa e di sopportare i miei sbalzi d’umore.
    Un uomo dotato di una personalità migliore della mia.
    Un uomo capace di entrare nel mio cuore per non uscirne più.

    Questa è la mia storia, tutto quello che ho da raccontare inizia da qui.






    Chapter 1.


    Ottobre 1993.

    Era una dolce serata autunnale, da pochi giorni il calore dell’estate era scomparso per far spazio ad un periodo più rigido e malinconico, ricco di abbondanti piogge e giornate di una lentezza estenuante.
    Non amavo particolarmente le mezze stagioni, non mi piacevano le mezze misure e in particolare non nutrivo affetto nei confronti dell’inverno e dei mesi freddi, mi incutevano tanta tristezza e non sapevo come scacciarla via.
    Mi piaceva l’estate e i sapori caldi che portava con sé.
    Mi piaceva avere la luce del Sole per gran parte della giornata, mi aiutava a sentirmi meno sola e mi aiutava nei momenti di sconforto, dal momento in cui ne avevo parecchi da un po’ di tempo.
    Ero sola, completamente sola e non avevo nessuno al mio fianco, soltanto i miei figli.
    Danielle e Benjamin erano le stelle del firmamento del mio cuore, erano le uniche luci in un buio che durava da troppo tempo, erano la mia felicità e la ragione del mio sorriso.
    Ero sposata, ma in realtà il mio era un matrimonio complicato e pieno di problemi. Non c’era più l’amore che io e Danny avevamo all’inizio, in realtà non c’era più niente di noi, di me e di lui, era tutto un qualcosa di inutile.
    Il rapporto veniva spinto ogni giorno e salvato dall’orlo del fallimento soltanto per mia volontà.
    Andava avanti così, un po’ perché non mi andava di separarmi con dei bambini così piccoli e un po’ perché in fondo speravo in un cambiamento.
    Speravo che lui cambiasse.
    Quando ci fidanzammo non avevo la minima idea di chi avessi davanti.
    Un uomo bellissimo esteticamente, ma con così tanti demoni al suo interno da spaventare chiunque.
    Non era mai a casa, tornava ad orari improponibili e la maggior parte del tempo lo trascorreva a bere e a divertirsi con le donne, ormai lo sapevo fin troppo bene e non ne rimanevo stupita.
    Faceva male, così male da impedirmi una qualsiasi reazione. Mi provocava soltanto dolore e non mi lasciava spazio per vivere la mia vita.
    Ero ancora abbastanza innamorata di lui, ce la mettevo tutta per far sì che il nostro rapporto tornasse come prima, ma lui non accennava una minima ripresa e a me non andava di mantenere un matrimonio soltanto dalla mia parte.
    Avrei fatto di tutto per tornare come prima.
    Avrei dimenticato tutti i tradimenti, tutte le bugie e tutto il male che mi aveva fatto pur di continuare ad avere un marito, un marito presente, un uomo sul quale poter contare.
    Il problema, però, si ripresentava di continuo.
    Mi prometteva di cambiare, diceva di amarmi e che tutto si sarebbe aggiustato, ma alla fine quella che ci cadeva ero sempre io e, di nuovo, non c’era mai niente.
    A farmi compagnia, d’altra parte, c’era la musica.
    Erano un po’ di anni che mi chiudevo nella mia camera a suonare e a comporre qualche melodia accompagnata dalle parole tristi che il mio cuore sprigionava, mi aiutava a sentirmi meno sola e abbandonata a me stessa.
    Mi piaceva suonare il pianoforte e lasciarmi trasportare dalla musica, era una sensazione che sembrava porre fine alle responsabilità che mi sentivo addosso e alle negatività.
    Era un modo che utilizzavo per sfuggire alla realtà che mi circondava, in quel modo era come se vivessi in un sogno e le cose, almeno lì, andavano come volevo io.
    Mi trovavo nel giardino della mia villa a Los Angeles, i bambini erano già andati a letto da un po’ ed ero lì per rilassarmi e per godermi la serenità della sera.
    La mia chitarra mi faceva compagnia, era poggiata al mio fianco, reduce da una suonata piuttosto lunga che mi aveva regalato delle belle emozioni, come sempre.
    Le luci dell’auto di Danny mi fecero sussultare: era appena tornato dalla sua ‘serata con gli amici’ e mi domandavo quale fosse la sua reazione al momento.
    Solitamente, quando non tornava ubriaco, si limitava a baciarmi con totale indifferenza e a mettersi a letto come se io non esistessi.
    Non mi dedicava più attenzioni, non esistevano più le sere in cui mi portava a cena fuori, era già tanto il fatto che dormissimo nello stesso letto.
    Per quanto io lo amassi, desideravo comunque un altro uomo.
    Rimasi ferma nella mia posizione, non mi preoccupai più di tanto del suo arrivo, semplicemente non me ne importava, non mi andava di cominciare un’altra litigata.
    Si guardò intorno per un po’ prima di notarmi a pochi metri da lui, lanciò un’occhiata nella mia direzione e si avvicinò lentamente con le mani dietro alla schiena.
    Fece un piccolo sorrisetto e si morse il labbro, come a voler sembrare il marito tanto dolce che non era.
    “Lisa, tesoro… che fai qui? Fa freddo, andiamo dentro!” – Disse avvicinando la sua mano al mio viso per lasciare una piccola carezza.
    Non c’era altra cosa più falsa di quel gesto.
    Lui non era capace di fare una cosa del genere, non era il tipico uomo dolce e premuroso che si prendeva cura di sua moglie, era capace soltanto di farle del male.
    In quegli anni di matrimonio non avevo mai notato o ricevuto un particolare gesto d’affetto nei miei confronti, lui era stato bravo soltanto a farmi soffrire.
    “Sono appena tornato, non mi dai neanche un bacio?” – Disse avvicinandosi nuovamente a me, lasciandomi un piccolo bacio a stampo all’angolo della bocca.
    “Danny, dobbiamo parlare.” – Sussurrai, chiusi gli occhi e sospirai piano prima di poter dire una qualsiasi cosa nei suoi confronti.
    “Senti, lo so. Sto provando a mettere le cose apposto, voglio rimediare.”
    Mi lasciai sfuggire una piccola risata sarcastica e incrociai le braccia per portarmele al petto.
    “E’ proprio questo il punto. Tu non fai niente per cambiare!”
    “Dammi un’altra possibilità, ti prego.” – Mormorò spalancando gli occhi e stringendomi le mani tra le sue.
    Cominciò ad accarezzarle lentamente e a sfiorarmi le dita con piccoli movimenti, mi guardò intensamente negli occhi, come a sperare in una mia risposta positiva.
    “Ho bisogno di più, Danny. Voglio di più, voglio che tu ci sia sempre, ho bisogno di un uomo che mi ami.”
    “Io ti amo, Lisa. Ti darò tutto quello che vuoi se mi concedi un’altra occasione. Sarò un marito e un padre migliore, credimi.” – Sussurrò portando di nuovo le sue labbra alle mie. Chiuse gli occhi con aria innocente ed io mi lasciai andare come non avrei dovuto.
    Ancora una volta.
    Il mio corpo era lì, ma il mio cuore stava cominciando ad allontanarsi sempre di più.

    ***



    “Tesoro, io sono seriamente preoccupata per te.” – Disse mia madre, osservandomi accuratamente dal retro dei suoi occhiali scuri e scuotendo piano il capo in segno di disapprovazione.
    Ero andata da lei perché avevo bisogno di parlare con qualcuno.
    Mi sentivo tremendamente sola e non riuscivo a sopportare il continuo stress degli occhi delle persone su di me, non sopportavo la situazione che stavo vivendo e mi sentivo un continuo sbaglio.
    Sembrava che ogni cosa che facessi fosse un danno non solo per me, ma per tutti gli affetti che mi circondavano.
    Era frustrante. Sentivo il continuo bisogno di cambiare e di dare un senso alla mia vita, ma ciò non accadeva e me ne tormentavo.
    Non chiedevo tanto, ero stata da sempre una persona che necessitava e donava molta cura all’amore e alle attenzioni che le persone le rivolgevano, per questo motivo volevo un uomo che mi amasse.
    Volevo essere l’unica per lui, dovevo sentirmi il centro del suo mondo e questo non accadeva mai.
    “Mamma, per favore. Sto bene, davvero.”
    “No, non stai bene ed io so anche il perché. Quell’uomo ti sta rovinando ed io non gli permetterò di distruggere la vita di mia figlia!” – Disse, scuotendo nervosamente il capo, mentre mi guardava con aria di disapprovazione.
    Sapevo quanto non ammirasse il mio matrimonio.
    Non era mai stata contenta della mia decisione di sposare Danny, non le era mai piaciuto e non aveva mai nutrito particolare affetto nei suoi confronti.
    “Mi ha promesso che cambierà.”
    “Oh, Lisa! Non lo ha fatto in questi anni e non lo farà neanche adesso!” - Disse, lasciandosi sfuggire un'abbondante dose di ironia in quell'affermazione.
    Stavo prendendo in giro me stessa e lo avevo fatto in tutto quel tempo nel quale avevo provato un po’ a dimenticarmi dei sentimenti che provavo per lui.
    La verità era che io tenevo fin troppo a lui e che forse, alla fine di tutto e in fin dei conti, il mio cuore continuava a rispondere ai suoi invisibili gesti.
    Non era l’uomo di cui avevo bisogno, non era l’uomo che mi avrebbe resa felice, non era la persona adatta a me.
    Le cose potevano ancora cambiare, potevo ancora risolvere l’enigma del mio cuore e porre fine alla sofferenza.
    Potevo riprendere in mano la mia vita e renderla la cosa più bella.
    Ero giovanissima, mi era permesso di tutto e avrei fatto le scelte migliori non solo per me, ma anche per i miei figli che meritavano la felicità.
    Non volevo grandi cose, uomini potenti e ricchi materialmente non mi interessavano, volevo un uomo ricco d’amore e dolcezza, il quale doveva sapermi sorprendere.
    Doveva entrare nella mia vita e stravolgere tutto.



    Chapter 2.

    “Lisa, sei bellissima con tutti gli abiti che hai provato fino ad adesso, non farti problemi!” – Disse Danny osservandomi dalla poltrona sulla quale era seduto, alzando gli occhi al cielo, stufo.
    Avevo cominciato a provare degli abiti e lui aveva insistito a prendere parte alla mia scelta, non lo avevo di certo obbligato e se ne sarebbe potuto andare comodamente.
    Non lo costringevo a sbuffare ogni volta che indossavo un capo per poi togliermelo da dosso subito dopo.
    Era sempre così.
    Ogni volta in cui dovevo partecipare ad una cena particolare o ad una festa cominciavo a riempirmi di complessi riguardanti il mio modo di vestire, anche quando non c’è n’era bisogno.
    Quella sera avrei preso parte ad un party di beneficenza, si trattava per meglio dire di una cena nella quale avrebbe partecipato chiunque avesse effettuato una propria donazione ad un’associazione benefica.
    Si trattava di gente dello spettacolo, persone costantemente sotto i riflettori e dovevo ammettere che, nonostante io non fossi un’estranea alla faccenda, mi trovavo leggermente a disagio.
    Ero sicurissima di non conoscere nessuno e speravo almeno di poter scambiare quattro chiacchiere con qualcuno, non volevo di certo annoiarmi fino alla morte e quelle situazioni spesso portavano a qualcosa del genere.
    Ero stata invitata a causa della donazione che io e Danny avevamo fatto alla fondazione organizzatrice, in realtà lui si era occupato soltanto di inviare il versamento, le mani al portafogli le avevo messe io.
    Avevamo avuto anche una pesante litigata per questo motivo, ma non era una grandissima novità dal momento in cui le nostre discussioni erano di routine.
    Litigavamo per ogni minima cosa, anche la più stupida poteva causare una conversazione che ci avrebbe portati alla rabbia.
    Per quella sera, però, ci eravamo promessi di essere una normale coppia come tutte le altre e che avremmo fatto a meno di farci del male.
    La verità era che non ero un tipo da cene e feste varie, non mi attiravano quel genere di circostanze e quella era una delle sere nelle quali avrei fatto a meno di uscire e vedere gente.
    Volevo rimanere a casa con i miei figli, volevo rilassarmi e stare sola, però non mi era possibile.
    La cosa che più non sopportavo, era andare in un maestoso ristorante in compagnia di mio marito e fingere di essere la bella coppia che non eravamo.
    Dovevo fingere, come sempre.
    Mi ero stancata di quel comportamento, volevo essere me stessa e stando con Danny non ce l’avrei mai fatta.
    Stare con lui richiedeva una finzione estrema e tanta interpretazione nel ruolo della moglie felice e innamorata.
    Innamorata, si. Felice, no.
    Quello non lo ero mai stata.
    “Sono pronta, andiamo.” – Dissi stirandomi addosso il vestito, lo feci scivolare con garbo lungo i miei fianchi e mi guardai un’ultima volta nello specchio.
    Nel riflesso vidi una ragazza che non sapeva più cosa fosse la felicità, una ragazza che non sorrideva e non provava amore da tempo.
    Era assurdo gettare una vita così per un motivo indefinito, il problema era tutto nella mia testa ed era raggruppato alla paura di lasciare quell’uomo.
    Avrei dovuto, per una volta, una volta sola nella vita, prendere la mia persona e i miei sentimenti e porli in primo piano, al di sopra di tutto.
    Avevo trascorso troppo tempo a pensare agli altri e a scegliere cose che andassero bene alle persone che mi circondavano, senza aver avuto mai un momento mio.
    Interamente mio.
    Sull’orlo di quei pensieri mi diressi fuori dalla mia camera da letto, Danny mi seguì e mi prese per un braccio, facendo si che mi appoggiassi a lui.
    Lo assecondai, in realtà era stato il mio cuore a farlo, ma giuravo che fosse l’ultima volta.
    La macchina era già pronta, entrammo rapidamente e partimmo solo dopo qualche istante.
    Durante l’intero tragitto non feci altro che guardare la strada scorrere davanti ai miei occhi, il panorama circostante mi rilassava e in qualche modo mi impediva di riflettere sulle negatività.
    Mi spingeva a pensare ad altro, alle cose belle della vita che, nonostante non ne avessi molte, erano pur sempre il motivo di un sorriso.
    Di tanto in tanto mi soffermavo ad osservare l’uomo che avevo sposato, i suoi occhi non erano più gli stessi di cui mi ero innamorata, erano bui e oscurati da ragioni astratte.
    Non era lo stesso uomo che avevo conosciuto, era cambiato nel giro di pochi anni ed io continuavo a chiedermi dove avessi sbagliato.
    Forse non ero io il problema, era lui.
    Mi sentivo eccessivamente nervosa, piena di pensieri che volteggiavano nella mia mente in compagnia di molteplici domande che richiedevano una risposta.
    “Sei bellissima.” – Sussurrò Danny, catturando la mia attenzione e interrompendo quel momento di silenzio che si era creato.
    Mi voltai nella sua direzione per qualche istante, gli mostrai un piccolo sorriso di ringraziamento e spostai subito il mio sguardo da lui, non volevo che sembrasse quello che non era.
    Apprezzai quel complimento che non mi faceva da molto tempo, probabilmente da quando eravamo fidanzati e ormai non faceva più il suo naturale effetto.
    Era finto, si notava.
    Una frase tirata a forza, trattenuta per meglio dire, priva di alcun sentimento.
    “A cosa pensi?” – Disse prendendomi la mano e cominciando ad accarezzarne debolmente il dorso.
    Non gli era mai importato niente di me, perché voleva, in quel momento, dedicarmi quelle attenzioni?
    Non mi avrebbe fatto cambiare idea, avevo già formulato le mie ipotesi e non sarei più tornata indietro.
    Un uomo doveva essere la felicità per la sua donna, invece lui era la mia distruzione, la provocava e non faceva niente per frenarla, bensì ne causava una maggiore.
    “Ti interessa così tanto saperlo?” – Dissi, voltandomi verso di lui e guardandolo con relativo stupore.
    “Certo, sei mia moglie!”
    A volte mi faceva proprio ridere, se ne usciva con delle affermazioni ridicole che non poteva permettersi minimamente di pronunciare.
    Per lui era tutto semplice, andava tutto bene e bisognava continuare in quel modo, secondo il suo parere.
    Diceva che io ero felice, ma non sapevo apprezzare la felicità e non sapevo neanche cosa volessi realmente.
    “Hai ragione, ma il nostro matrimonio è soltanto un foglio scritto, sbaglio?”
    “Che intendi?” – Chiese, si avvicinò di più a me e mi guardò con aria interrogativa, come se non capisse.
    “Intendo dire che io dovrei essere sempre tua moglie, non solo quando ti fa comodo. Se hai bisogno di soldi, questa volta non ti aiuterò.” – Mormorai.
    I soldi facevano parte della rovina del nostro matrimonio, in un certo senso.
    Danny trascorreva gran parte del suo tempo a giocare, con quel verbo intendevo i giochi pesanti, quelli che ti portavano via non solo le giornate, ma anche il denaro, soprattutto quello.
    Si indebitava di continuo per via di quel suo stupido vizio, era una malattia, una vera e propria malattia dalla quale affermava ogni giorno di essere guarito, ma la sera tornava tutto come prima.
    Mi ero stancata di essere sempre la sua salvezza, lo avevo tirato dai guai troppe volte, lo avevo sempre aiutato e lui non aveva mai fatto niente per me.
    Non pretendevo grandi cose, mi bastavano delle attenzioni da parte sua, avevo bisogno della dimostrazione del suo amore nei miei confronti.
    Avevo bisogno di un uomo che mi facesse stare bene e divertire, un uomo al quale non interessassero le altre donne, ma soltanto io, solo la sua, quella che aveva sposato.
    Non una delle tante, ma l’unica.
    Danny non era quel tipo ed io avrei fatto bene a comprenderlo prima, avrei evitato tanti errori, ma ormai non si poteva più tornare indietro.
    Le cose non si potevano cambiare, si potevano soltanto migliorare.
    “Lisa, io non ti capisco!” – Disse alzando leggermente la voce e ridendo in modo sarcastico, innervosendomi.
    Odiavo quel suo comportamento, si comportava come se tutto gli fosse dovuto.
    “Neanche io capisco te.” – Mormorai guardandolo negli occhi, accennai un sorriso ironico e scesi dalla macchina non appena si fermò.
    L’auto ci lasciò dinanzi all’ingresso principale del ‘Beverly Hilton Hotel’, lasciando scorgere l’insieme di luci e insegne che decoravano il tutto.
    Era molto elegante e pieno di fotografi e giornalisti pronti ad aspettare gli invitati a quell’evento.
    Danny si affrettò a prendermi per mano prima di cominciare a dirigersi all’interno di quella moltitudine con me al suo fianco.
    C’erano tantissimi cantanti, stilisti di fama mondiale, attori, attrici e personaggi dello spettacolo; era una meraviglia e mi sembrò tutto molto bello.
    La cosa incredibile era che tutti noi eravamo uniti dal bene e dalla solidarietà che donavamo alle persone meno fortunate, era importante.
    C’erano così tanti personaggi che mi sentii leggermente a disagio. Non ne avevo motivo, in realtà, però ero soltanto la figlia di Elvis Presley e non avevo alle spalle una grande carriera.
    Godevo dell’importanza di mio padre, dovevo ammetterlo, brillavo della luce del suo nome.
    Quello non era importante, avevo contribuito anche io al sostegno nei confronti delle persone bisognose e di conseguenza ero stata invitata.
    La sala nella quale si sarebbe svolta la cena era estremamente grande e relativamente dispersiva, dipendeva dai punti di vista e non appena arrivammo cominciammo subito con i saluti.
    Mi conoscevano tutti e questo mi aiutò molto per sentirmi di più a mio agio, si mostrarono tutti simpatici e gentili e non mi crearono problemi.
    Si respirava una bella atmosfera fiabesca e leggermente surreale per via delle decorazioni, era tutto ben fatto e ben organizzato.
    “Lisa! Non ci crederai, c’è Michael Jackson!” – Disse Danny parlandomi sottovoce, gettò rapidamente un’occhiata tra la folla per mostrarmi la sua scoperta e cominciò ad indicarlo con dei gesti più che comprensibili.
    Notai anch’io la sua presenza tra la marea di persone, sembrava un comune mortale a dirla tutta e non la star mondiale da milioni di dischi che tutti acclamavano.
    Avevo avuto modo di conoscerlo, non benissimo, ma quel tanto che bastasse per farmi capire che Michael fosse una brava persona e non quella che i giornali mostravano.
    Era un uomo dall’animo umile e gentile, non era un mostro o cose del genere, non era pazzo, era soltanto affascinato dalle cose semplici.
    La pazzia era ben altra, però le persone la rappresentavano sempre in modi particolari e non prestavano attenzione alla reale accezione del termine.
    Ero stata anche ad alcuni suoi concerti e dovevo ammettere che era un grandissimo artista, un performer magnifico, tanto di cappello a Michael Jackson.
    “Non fare così, non fargli capire che lo stai guardando.” – Sussurrai al suo orecchio, provando a distogliere l’attenzione da Jackson. Sapevo quanto lo mettessero in imbarazzo quelle situazioni.
    Sapevo come andavano le cose e non mi era mai piaciuto mettere in difficoltà le persone, volevo soltanto che tutti si trovassero a proprio agio.
    “Come posso non guardarlo! E’ Michael Jackson!” – Urlò.
    “Gli dà fastidio, è un tipo molto timido.”
    Non c’era cosa più vera di quella.
    “E tu come fai a saperlo?”
    “Lo conosco. Da piccola andavo spesso ai concerti che faceva con i suoi fratelli, abbiamo anche parlato qualche volta.”- Dissi con aria disinvolta, gettando qualche sguardo intorno alla sala per notare il resto dei presenti.
    “Cosa? Perché non me lo hai mai detto?” – Chiese, ponendosi di fronte a me e scrutandomi con attenzione.
    “Perché non me lo hai mai chiesto! Non sapevo ti piacesse.”
    “Lo adoro, conosco tutte le sue canzoni! Me lo presenti?”
    “Non ci pensare neanche.” – Mormorai, scuotendo nervosamente il capo.
    “Ti prego, Lisa! Fammi questo regalo, per favore. Vai da lui e lo saluti, voglio vederlo da vicino!”
    Strinsi gli occhi e sbuffai rumorosamente, non capivo perché fosse così importante per lui, perché voleva che andassi io?
    Poteva benissimo avvicinarsi a lui e salutarlo, a quanto ne sapessi, Michael non aveva mai mangiato nessun essere umano.
    Io e Michael non ci vedevamo da parecchi mesi. L’ultima volta risaliva ad una festa nella quale era stato invitato anche lui e avevamo scambiato due chiacchiere, poi c’era stato il tour e non lo avevo più visto in giro.
    Era sempre molto impegnato per via del suo lavoro e ultimamente era anche di continuo sui giornali, in televisione non si parlava di altro se non di lui e delle storie che gli venivano attribuite.
    Era un periodo molto complicato, era stato accusato di abusi sessuali nei confronti di un minore e sapevo benissimo quanto facessero male delle notizie assolutamente false.
    Ero convintissima che fosse soltanto un modo per fare soldi, lui era un uomo dall’animo puro e non avrebbe mai potuto fare una cosa del genere.
    Ne ero certa.
    Lo sapevo perché avevo avuto modo di guardarlo dritto negli occhi un paio di volte e i suoi non brillavano di cattiveria, si percepiva la bontà e la purezza del suo cuore.
    Mi avvicinai al Re del Pop, ero in fila per salutarlo dal momento in cui tutti erano intenti a scambiare con lui parole e sorrisi, altri gli stringevano la mano e poi c’era mio marito che moriva dalla voglia di vederlo dal vivo.
    “Ciao Michael!” – Dissi, mostrandogli un sorriso e avvicinando la mia mano alla sua per poterla stringere.
    “Lisa, ciao!” – Sussurrò, afferrò dolcemente la mia mano e chinò il capo di poco, mimando il gesto del bacio.
    La sua pelle era molto morbida e calda che quasi cominciai a sudare, mi trasmise tutto il calore che aveva dentro di sé e fu… strano.
    Mi colpì molto quel suo modo di fare, nessuno mi aveva mai baciato la mano e notare che non tutti gli uomini erano uguali mi fece molto piacere.
    Sapevo che il Re del Pop fosse un tipo molto galante e raffinato, ma forse mi era sfuggito il particolare del gentiluomo dolce il quale era.
    Fortunatamente le persone si erano già accomodate al tavolo e così potemmo scambiare qualche chiacchiera in buona amicizia, senza che nessuno ci disturbasse.
    “Sono felice di vederti, spero tu possa passare una buona serata.” – Riprese, parlava con una voce molto bassa e sottile che quasi era difficile da comprendere.
    Era molto elegante, non solo per quanto riguardava l’abbigliamento, ma in tutto.
    Distribuiva eleganza in ogni cosa che faceva, in ogni parola che la sua bocca pronunciava e in ogni gesto che il suo corpo compiva.
    Prima di allontanarmi da lui gli rivolsi un piccolo sorriso e mi voltai dall’altro lato per cercare Danny, accorgendomi soltanto poco dopo che era rimasto al mio fianco per tutta la minima durata della conversazione con Michael.
    Come avevo fatto a non notarlo prima era un immenso mistero.
    Mi ero dimenticata della sua presenza e mi era passato di mente il motivo per il quale lo avevo salutato, ovvero perché Danny voleva vederlo.
    Ci andammo a sedere insieme al tavolo, dispensai vari saluti e sorrisi a quasi tutte le persone presenti che ne avevano richiesto importanza e provai a rilassarmi.
    Ero nervosa e non ne conoscevo neanche il motivo.
    Durante tutta la cena non feci altro che toccarmi le mani, era un gesto di profonda ansia nei confronti di qualcosa e non mangiai neanche moltissimo, lo stomaco mi si chiuse all’improvviso.
    Di tanto in tanto gettavo delle occhiate nella direzione di Michael, quell’uomo mi incuteva tenerezza e pietà, non sapevo ben definire quelle sensazioni.
    Mi sembrava così umile e anche molto solo, tutti parlavano e ridevano con le persone al loro fianco e poi c’era lui che non scherzava con nessuno.
    Nessuno gli rivolgeva la parola se non per comunicargli cose che già sapeva, gli si avvicinavano soltanto per scoprire la megastar che stava donando loro il piacere della sua presenza.
    Mi dispiaceva tanto, vederlo in quelle condizioni mi si stringeva il cuore ed ero sicura che avrebbe fatto quell’effetto a chiunque lo avesse guardato con i propri occhi.
    I propri occhi, non quelli delle telecamere e dei giornalisti che sapevano soltanto buttare cattiveria su di lui.
    Lo chiamavano pazzo, dicevano che avesse comportamenti mostruosi e che fosse pieno di cattiveria, ma io non riuscivo a vedere niente di tutto ciò.
    Era un uomo che non meritava quelle calunnie, era una di quelle persone che arrivavano una sola volta nella vita e che con il proprio lavoro e con la propria persona rendevano il Mondo un posto migliore.
    Mi sorprese a guardarlo, arrossì per l’imbarazzo e sorrise dolcemente come un bambino al quale la mamma aveva scoperto uno dei suoi soliti scherzetti, io abbassai lo sguardo per un attimo e mi sentii a disagio.
    Mi dispiaceva metterlo in imbarazzo, mi sarebbe piaciuto poter parlare con lui ancora un po’, giusto per farlo sentire meno solo e intrappolato nella gabbia della fama.
    Lo salutai a distanza con un breve cenno della mano, volevo tenergli compagnia e mettere fine alla sua solitudine.
    Volevo che sorridesse, anche se i suoi erano sorrisi che coinvolgevano soltanto le labbra e non il cuore.
    Un cuore tormentato e straziato, ferito e distrutto da semplici parole capaci di fare tanto male.



    Chapter 3.


    Da sempre gli spazi chiusi mi angosciavano.
    Mi incutevano una sensazione di ristrettezza nei confronti dell’ambiente circostante, trasmettendomi, in alcuni casi, un continuo stato di monotonia e noia.
    La cena si stava svolgendo nel migliore dei modi, tutti gli invitati erano intenti a conversare con le persone che si trovavano al loro fianco e, in qualche modo, si divertivano.
    Non c’era un gran frastuono, ma soltanto un mormorio che di tanto in tanto diveniva di alta intensità, disturbando coloro i quali preferivano la solitudine e la tranquillità.
    Io, d’altra parte, mi sentivo annoiata da quello spettacolo e avrei preferito prendere una boccata d’aria, giusto per sentire la brezza del vento soffiare tra i miei capelli, regalandomi una leggera sensazione di benessere della quale avevo proprio bisogno.
    Adoravo quando nelle sere d’inverno l’aria mi sfiorava la pelle, era rilassante e ricordavo che da piccola era proprio una delle cose che preferivo di quella stagione.
    Quella situazione mi infastidiva non poco, ero stanca di stare lì seduta ad osservare le persone al mio fianco, non avevo intenzione di perdere del tempo inutilmente.
    Gettai una rapida occhiata nella sala e mi accorsi, dopo svariati minuti, che Michael non c’era.
    Non sapevo se fosse andato via, però il posto da lui occupato era vuoto e pensai per un attimo che avesse preso la decisione giusta.
    Rimanere ad ascoltare chiacchiere inutili di persone che non gli regalavano una minima partecipazione era stupido.
    Per quanto lui potesse inserirsi in conversazioni e momenti di colloquio, non ci sarebbe mai stata attenzione nei suoi confronti e nelle parole che la sua bocca si lasciava sfuggire.
    Non era strano o assurdo, semplicemente le persone non lo capivano o, almeno, non riuscivano a capire i suoi modi di fare e di parlare.
    Era dotato di troppa semplicità estranea al mondo circostante, quello nel quale viveva e che lo rendeva schiavo e intrappolato nell’invisibilità della fama.
    La gente non riusciva a comprendere la sua persona e il modo che utilizzava per porsi ai suoi occhi, essa credeva fosse pazzo, ma non era così.
    Michael poteva essere descritto con una moltitudine di aggettivi, eccetto quello.
    Avevo avuto modo di conoscerlo e potevo affermare personalmente che era un uomo con un’umiltà disarmante, una dolcezza notevole e una gentilezza fuori dal comune.
    Era tutt’altro che pazzo.
    Era un uomo di trentacinque anni al quale affascinavano le piccole cose, quelle insignificanti apparentemente, ma in realtà piene e ricche di senso.
    Era affascinato dalla vita e dagli occhi dei bambini, capaci di andare oltre le apparenze e vedere quello che gli adulti non riuscivano a percepire.
    Le persone erano superficiali, lui no.
    Seguita dall’onda di quei pensieri nei confronti dell’immensa star del pop, mi alzai dal posto che occupavo e mi diressi a piccoli passi verso il parco di quella struttura.
    Le scarpe che indossavo mi impedivano di poter accelerare il mio passo, ma non ce n’era bisogno, volevo soltanto allontanarmi dalla mischia di gente e godermi un po’ della mia adorata solitudine.
    Percepii una sensazione di serenità, il buio aveva ormai preso il posto della luce e, insieme ai rumori della sera, rendeva il tutto più bello.
    C’era una bella atmosfera fiabesca ed elegante, dotata di tanta tranquillità e, soprattutto, di piacevole silenzio.
    Non c’era nessuno in quel luogo, a parte me e una figura che riuscii a scorgere in lontananza, soltanto dopo aver rivolto lo sguardo a pochi metri da essa.
    Non riuscii a capire chi fosse, non se ne potevano osservare i lineamenti e la corporatura, ma da quel poco che vidi capii che fosse una persona molto sola.
    Come me.
    Se ne stava lì, con le braccia poggiate sulle ginocchia e la testa sollevata ad osservare il cielo notturno, come a voler contare le stelle presenti nel firmamento e a cercare in esse compagnia.
    Doveva essere sicuramente un uomo, era abbastanza alto e portava un cappello nero sul capo, sotto al quale si intravedevano dei riccioli scuri che gli cadevano elegantemente alla base del collo.
    Mi avvicinai a lui senza fretta, non volevo che si spaventasse, mi sembrava così concentrato e preso da quel che stava osservando che temevo di poter creare disturbo.
    Sentì i miei passi cadenzati e spostò il capo verso la mia figura e mi guardò, mostrando un piccolo sorriso timido e gentile.
    Michael.
    “Che ci fai qui tutto solo?” – Dissi, sorridendo debolmente e poggiando la mia mano sulla sua spalla ricoperta dalla stoffa di una giacca nera.
    “Potrei chiederti la stessa cosa. Vuoi sederti?” – Chiese, indicando un piccolo spazio posizionato al suo fianco.
    Annuii, mi morsi il labbro nervosamente e mi sedetti accanto a lui, rivolgendogli lo sguardo più comprensivo e sensibile che avessi.
    Ero contenta di trovarlo lì, volevo tenergli compagnia e dal momento in cui anche io non ero stata dotata di particolari attenzioni, credevo potessimo parlare tra di noi.
    Era buio, non riuscivo ad osservare attentamente il paesaggio circostante, né ciò che era presente intorno a noi, ma una cosa mi era ben chiara.
    I suoi occhi.
    Erano scurissimi e profondi come l’Oceano, contenevano al loro interno una tonalità di nero lucido e intenso, velati da una triste e quasi impercettibile malinconia.
    Erano contornati da una sottile linea di matita scura che donava loro una profondità maggiore, rendendoli oggetto di desiderio e di ipnosi.
    Solitamente li copriva con degli occhiali da sole e mi chiedevo il motivo di quell’abitudine, erano invidiabili al mondo intero ed era un peccato non mostrarli.
    Si formò tra di noi un silenzio quasi fastidioso, in quei pochi minuti non riuscii a fare a meno di osservare i suoi lineamenti e quegli occhi capaci di far percepire la sua vera essenza.
    Michael Jackson, per alcuni soltanto Michael, era proprio lì dentro.
    Da quel che capii, si trattava di un uomo triste e deluso, vittima di una solitudine che gli stava corrodendo l’anima e la persona che era, non permettendogli di trascorrere la sua vita come meritava.
    “Michael, come stai?” – Sussurrai con una nota di malinconia nella mia voce.
    Non rispose, forse non gli andava di parlarne, forse ero stata troppo invadente nei suoi confronti e avrei dovuto saperlo che fosse un uomo molto riservato.
    Avevo toccato il tasto che non avrei dovuto neanche sfiorare.
    Lo sentii sospirare appena, emise un piccolo suono quasi impercettibile e mi guardò con gli occhi lucidi, quasi bagnati da alcune lacrime.
    “Davvero ti interessa saperlo?” – Chiese.
    Annuii con un cenno del capo, non trovavo parole per esprimere quel momento, ma era come se Michael fosse sconvolto dalla mia domanda.
    Era come se io gli avessi chiesto la cosa più assurda del mondo.
    Solitamente, nei discorsi di routine, era una delle domande che introduceva le conversazioni vere e proprie, le persone la dicevano di continuo, come se fosse una frase del tutto normale.
    Egli, probabilmente, era uno dei pochi che provasse stupore nei confronti di essa.
    “Sei la prima persona che me lo chiede. E’ tanto tempo che non rispondo a questa domanda, non saprei cosa dire.” – Disse, abbassò gli occhi da me e si guardò le mani posate sulle sue ginocchia, in senso di vergogna e timore.
    Perché si comportava in quel modo?
    Perché provava vergogna nel dire una cosa del genere?
    Si vergognava dei suo sentimenti, delle sue sensazioni, delle sue emozioni e non era simbolo di sicurezza in un uomo.
    Era proprio questo il punto.
    Lui era diverso da tutti gli altri, era spontaneo e genuino, pieno di purezza al suo interno.
    “So che stai vivendo un brutto momento e ne sono consapevole. Volevo dirti che… insomma, se hai bisogno di qualcuno con cui parlare io ci sono.” – Dissi, mi passai una mano tra i miei capelli sciolti e gli mostrai un sorriso rassicurante.
    Quell’uomo era molto solo, aveva bisogno di qualcuno che lo ascoltasse e che gli dimostrasse un minimo di affetto nei suoi confronti.
    In quei pochi minuti che avevo trascorso a parlare con lui, mi resi conto che aveva bisogno di aiuto, un aiuto che solo un amico avrebbe potuto donare.
    Avevo sempre amato poter aiutare le persone in difficoltà e in quel caso era un amico a chiedere aiuto, seppur non esplicitamente.
    Decisi di prendermi la responsabilità, mi sarebbe piaciuto potergli concedere un po’ di ascolto e conforto, era un bravo uomo e meritava di stare bene.
    “Grazie, grazie di cuore.” – Sussurrò con la voce calda e pacata, avvicinandosi di più al mio corpo per stringermi in un abbraccio.
    Indugiò prima di compiere quel gesto, temeva potessi rifiutarlo e quella scena mi strappò un sorriso.
    Michael Jackson che era spaventato dall’idea di una mia possibile opposizione ad un suo abbraccio?
    Era divertente, però era reale, era tutto vero.
    Il suo profumo mi arrivò dritto al cuore, era una fragranza molto intensa e forte, non sapevo di preciso di quale marca fosse, ma potevo ammettere che dava alla testa.
    Era raffinato e sulla sua pelle sprigionava un odore travolgente, mi inebriò i sensi e mi stordì leggermente.
    “Il mio numero ce l’hai, vero?” – Mormorai.
    Annuì con la testa e vidi le sue labbra piegarsi in un piccolo sorriso, sussurrò un ‘grazie’ che riuscii a capire a stento, aveva il tono della voce estremamente basso, come se avesse paura di parlare.
    Sarei rimasta a parlare con lui per ore, ma si era fatto tardi ed io avrei fatto bene a rientrare dentro, sentivo freddo ed ero più che sicura che Danny mi stesse cercando da chissà quanto tempo.
    Sarei dovuta rientrare per evitare una pesante litigata con lui, non mi andava di discutere quel giorno e soprattutto avrei voluto mettere da parte la rabbia per un po’ di tempo.
    Volevo soltanto stare tranquilla.
    “Si è fatto tardi, mio marito mi starà cercando. Sarà meglio che vada.”
    “Si, hai ragione, fa anche un po’ freddo.” – Disse, alzandosi immediatamente per seguire il mio gesto precedente.
    Per quanto riguardava la galanteria meritava un dieci e lode, senza ombra di dubbio.
    Nella mia vita non avevo mai conosciuto un uomo come lui, con i suoi stessi comportamenti e con le sue stesse buone maniere, era un esemplare più unico che raro e che la sua donna avrebbe dovuto custodire con cura.
    “Mi ha fatto piacere parlare con te, mi hai salvato dalla noia, rischiavo di morire lì dentro!” – Dissi, accennando una piccola risata che contagiò anche lui.
    Lo sentii ridere dolcemente, aveva un modo di gioire diverso dagli altri, la sua risata era come una dolce melodia che toccava le corde più profonde del cuore.
    “Il piacere è stato tutto mio. Buonanotte, allora.” – Mormorò, mordendosi le labbra in senso di timidezza e portandosi le braccia dietro alla schiena.
    Lo credevo più basso di statura, invece mi sbagliavo, era più alto di me di circa quindici centimetri e aveva una corporatura esile e slanciata, tipica di uno straordinario ballerino il quale era.
    “Buonanotte, Michael.”
    Fu l’ultima cosa che dissi, mi diressi rapidamente verso l’ingresso della sala, ripercorrendo interamente la strada che avevo intrapreso soltanto poco tempo prima.
    Avevo appena terminato una chiacchierata in amicizia con Michael Jackson, gli avevo rammentato il ricordo del mio numero impresso sulla rubrica del suo cellulare e gli avevo persino chiesto di telefonarmi.
    Se lo avessi raccontato a Danny non mi avrebbe creduta.

    ***



    “Mi spieghi dove sei stata tutto questo tempo?” – Chiese mio marito, cominciando a gesticolare nervosamente contro di me e a blaterare frasi arrabbiate.
    Eravamo appena entrati in macchina, ero riuscita a raggiungerlo fuori dall’hotel prima che si arrabbiasse notevolmente, anche se in realtà non era servito a molto.
    Alle volte si adirava per questioni inutili, riteneva opportuno che io gli comunicassi tutti i miei spostamenti ed era una cosa che mi dava parecchio fastidio.
    Avevo, da sempre, puntato alla mia indipendenza e al mio essere autonoma che, una volta sposata, mi era stato completamente spazzato via.
    Io non ero un oggetto da possedere, io ero una persona e lui non riusciva a capirlo, nonostante io mettessi in pratica i miei tentativi per farglielo notare.
    “Sono andata a fare una passeggiata.” – Mormorai, rivolgendo il mio sguardo verso il finestrino dell’auto che mi separava dal panorama notturno confinante.
    “Ci hai messo tutto questo tempo?”
    “Si, qualcosa ti turba? Mi dispiace di non averti chiesto il permesso, mi sono vagamente dimenticata di avere un marito. Mi succede spesso, ultimamente.” – Dissi in tono sarcastico, mascherando il mio nervosismo.
    Non ero arrabbiata, non ne avevo un motivo, ero soltanto asfissiata dal suo comportamento e dai suoi modi di fare prepotenti e arroganti.
    “Adesso andiamo a casa, ho voglia di stare un po’ da solo con te.” – Sussurrò, cambiando argomento.
    Mi guardò negli occhi e lasciò che la sua voce trapelasse un velo di sensualità.
    Poggiò la sua mano al di sotto della stoffa del mio vestito e mi stampò un piccolo bacio a fior di labbra, spostando il suo corpo verso il mio per avvicinarsi.
    Sapevo cosa avesse intenzione di fare, lo vidi inumidirsi le labbra con la lingua e cominciare ad accarezzarmi il viso come non faceva da tempo.
    Mi sfiorava gli occhi e il contorno della mia bocca con piccoli movimenti, come a voler racchiudere i miei lineamenti attraverso i suoi tocchi.
    In momenti come quello, mi sentivo confusa e abbandonata a quel briciolo di sentimento che provavo per lui e che, nonostante ci fossero molti lati negativi, continuava a mantenere in bilico la nostra storia.
    “Sei mia.” – Mormorò, cominciando a baciarmi insistentemente il collo, bloccandomi con il suo peso contro il sedile in pelle dell’auto.
    Avrei voluto controbattere a quella sua affermazione fatta nel bel mezzo del desiderio, ma forse proprio esso mi impediva di poter dire una qualsiasi cosa.
    Io non ero sua, non lo ero da un po’, forse non lo ero mai stata.
    Ero di me stessa e dei miei figli.
    Era ancora mio marito e per quel motivo potevo sentirmi sua fisicamente, ma psicologicamente e sentimentalmente non ero sua, per niente.
    Non appartenevo ad un uomo che mi recava del male e che mi provocava soltanto dolore.
    Il suo concetto di possedere era, a mio parere, un qualcosa di stupido e privo di alcuna importanza.
    Esistevano persone, uomini e donne, che tendevano a sottomettere o a tenere per sé stessi un’altra persona in modo da proteggerla, secondo i loro ragionamenti.
    In realtà non proteggevano un bel niente, rischiavano soltanto di perdere quella persona a causa delle loro debolezze e insicurezze.
    A Danny stava succedendo proprio quello.
    Mi stava perdendo e neanche se ne accorgeva, prestava attenzione alle cose inutili che gli rovinavano la vita e non a quelle che avrebbero potuto migliorargliela.
    L’auto, dopo svariati ed interminabili minuti, si fermò e potemmo scendere per recarci nella nostra elegante villa.
    Mi teneva per mano e accarezzava dolcemente l’anello che portavo al dito, il nostro anello, quello che avrebbe dovuto rappresentare una promessa di amore eterno e che, al momento, non sapevo neanche dove fosse.
    Non sapevo dove fosse il nostro amore e la complicità che c’era tra di noi nei primi tempi, non sapevo chi fosse lui e chi fossi io, non sapevo più niente e il mio cervello si era rassegnato all’idea di porsi delle domande.
    Non ne avevo più, erano soltanto risposte.


    Chapter 4.

    Era una rigida giornata invernale, una di quelle giornate durante le quali avrei preferito rimanere a dormire per qualche ora in più del solito, in modo da non provare il freddo e i suoi fastidi.
    Il mio desiderio, mio malgrado, non venne esaudito a causa del mio cellulare privato che cominciò a squillare incessantemente, disturbando il sublime stato di sonno nel quale ero caduta.
    Aprii gli occhi con difficoltà, gettai immediatamente lo sguardo sulla sveglia elettronica poggiata sul mio comodino in legno e notai, a malincuore, che erano appena le sei del mattino.
    Danny non aveva dormito con me quella notte, era a New York per lavorare ad un nuovo disco e sarebbe stato via da casa per un bel po’ di giorni, lasciandomi ancora una volta da sola, come da sua abitudine.
    Quello non era un problema per me, era diventata una vera e propria consuetudine, tanto che facevo fatica a reputarmi ancora una donna sposata.
    Ritornando alla faccenda del telefono, mi chiedevo chi potesse essere ad un’ora simile del mattino, dopotutto era anche sabato e in quel giorno nessuno a Los Angeles lavorava, le persone si lasciavano andare con il riposo come avrei fatto bene anche io se non fosse stato per quel suono stridulo.
    Mi alzai con il busto per poggiare la schiena contro la testata del letto, allungai il mio braccio verso la superficie alta del comodino e afferrai il cellulare distrattamente.
    Guardai il numero, non lo avevo memorizzato e di conseguenza non comparì il nome del mittente, ma per quanto riuscissi a ricordare non avevo ricevuto mai una chiamata da un numero simile.
    “Pronto?” – Biascicai con la voce impastata dal sonno che provai a schiarire con un colpetto di tosse.
    “Lisa…”
    Dall’altro capo del telefono, una voce sottile e flebile già sentita in precedenza mi fece trasalire, sorprendendomi e lasciandomi di stucco.
    Non mi aspettavo di ricevere una chiamata del genere ad un tipico orario, oserei dire improponibile, ma conoscevo abbastanza le sue abitudini e sapevo che per lui fosse una cosa del tutto normale.
    “M-Michael.” – Balbettai, incredula.
    All’improvviso fu come se la rabbia per essere stata svegliata da un sonno profondo fosse del tutto scomparsa, mi bastò la sua voce per ristabilire in me il buonumore e la serenità.
    Era assurdo, ma quell’uomo riuscì con la sua voce a rilassarmi, aveva una cadenza così dolce che sarebbe stata capace di tranquillizzare gli animi delle persone.
    In realtà lo faceva ed era una cosa che gli riusciva anche piuttosto bene, in fin dei conti era il suo mestiere ed era una delle punte di diamante nel mondo della musica.
    “Stavi dormendo? Ti ho svegliata?” – Disse, utilizzando un tono che racchiudeva al suo interno una sensazione di dispiacere che venne immediatamente allo scoperto.
    “Non fa niente, mi sarei dovuta svegliare comunque!” – Dissi in tono scherzoso, provando a metterlo a proprio agio e ad evitare che si sentisse in colpa per un’inutile causa.
    “Mi dispiace tantissimo, sono mortificato, davvero. Ti prego di scusarmi, non volevo.” – Mormorò rapidamente, mostrando il suo evidente imbarazzo alla situazione.
    Era mortificato dall’idea di avermi svegliata, era così dispiaciuto che non potei fare a meno di trovare una frase che potesse tranquillizzarlo, era troppo educato e unito alle buone maniere per poter trascurare la faccenda.
    Non mi interessava, ero contenta di aver ricevuto la sua chiamata, era l’ultima persona che poteva scusarsi con me, non meritavo un comportamento simile da parte sua.
    Non mi aveva mai fatto un torto, era un buon amico per quello che avevo avuto modo di vedere e mi aveva sempre trattata con rispetto, io avrei fatto lo stesso con lui.
    “Va tutto bene, Michael, non scusarti. Sono contenta che tu mi abbia chiamata.”
    Non avevo mai ricevuto gesti carini e raffinati da parte di un uomo, non ero abituata a quel tipo di cose, dal momento in cui mio marito non conosceva la galanteria nemmeno lontanamente.
    Dovevo ammettere che apprezzavo molto il carattere di Michael.
    Era un gentiluomo e una persona rispettosa come poche, era un uomo che donava venerazione alla donna ed era una condotta ammirevole, non esistevano molti uomini come lui.
    Aveva una concezione personale per intendere il sesso femminile che molto spesso lasciava senza parole.
    Alcuni uomini trattavano le donne come oggetti, come un qualcosa che si possedeva, mentre Michael le considerava di importanza fondamentale per il mondo e per la vita.
    Ci fu qualche minuto di assoluto silenzio, nessuno dei due riusciva a parlare e si percepivano i suoi sospiri dall’altro capo del telefono.
    “Come stai, Michael?” – Dissi, con il chiaro intento di portare avanti la conversazione.
    Non avrebbe mai avuto il coraggio di parlarmi degli affari che lo riguardavano, così pensai che probabilmente fare il primo passo non sarebbe stato male.
    Volevo soltanto aiutarlo.
    “Meglio. Tra qualche giorno sarò in Sud America per la parte finale del mio tour e sono contento del risultato. Tu, invece?”
    Perché avevo come l’impressione che non dicesse la verità?
    Sapevo di non essere la sua migliore amica o cose del genere, ma volevo che fosse sincero con me e volevo che si confidasse.
    Ero lì per quello.
    Non sapevo perché tenessi così tanto a quella situazione, forse ero io che speravo di trovare un amico con il quale parlare e trascorrere del tempo, vedendo in lui la persona giusta.
    Era quello il motivo principale: la mia solitudine.
    Il mio non era un comportamento da persona egoista, perché volevo aiutare Michael, sapevo che si trovasse in orribili circostanze, ma allo stesso tempo volevo aiutare anche me.
    Volevo smettere di sentirmi perennemente sola.
    Avevo bisogno di qualcuno con cui scambiare qualche parola, qualcuno con il quale condividere delle giornate e del tempo, una persona che mi avrebbe permesso di essere meno tormentata dalla tristezza che possedevo.
    “Sto bene. Senti, ti andrebbe di vederci? Se non hai altro di meglio da fare, ovviamente.” – Dissi, alzandomi dal letto e indossando rapidamente una vestaglia.
    “Certo che sì, mi farebbe molto piacere! Vuoi venire a Neverland?”
    “Va benissimo, l’unico problema è che non conosco la strada e non saprei come arrivarci.”
    Avevo spesso desiderato di poter visitare Neverland, mi sembrava ricca di così tanta magia che ero sicura che mi avrebbe donato un po’ di gioia in un momento abbastanza difficile della mia vita.
    “Manderò qualcuno a prenderti.” – Disse con un tono di voce più sereno rispetto ai precedenti, mi sembrò più rilassato e a suo agio e la cosa mi fece molto piacere.
    “A dopo, allora.” – Mormorai.
    “A dopo, Lisa.” – Disse con la voce calda, chiudendo la chiamata.
    Era un orario assurdo per uscire di casa, ma avevo appena chiesto a Michael Jackson di vederci e lui aveva accettato senza problemi, come se non avesse avuto altro da fare che perdere tempo con una ragazzina del Tennessee.


    ***



    Feci una rapida doccia che mi aiutò a gettare le emozioni negative che avevo accumulato in quei giorni, in qualche modo l’acqua calda e il suo rumore mi aiutavano a rilassarmi e a regalarmi un aspetto riposato e disteso.
    Mi preparai in un tempo record a giudicare dalle mie “prestazioni” precedenti e fui pronta soltanto dopo mezz’ora dalla chiamata di Michael che, apparentemente, sembrava mi avesse sconvolto la giornata.
    Lasciai i bambini sotto la custodia di Lydia, la mia domestica, in modo da poter stare tranquilla a godermi una giornata diversa dal solito.
    Michael mandò il suo autista personale a prendermi, era un uomo di colore molto alto, corporatura robusta e a giudicare dal suo aspetto doveva essere anche molto simpatico.
    Mi salutò cordialmente e mi aprì la portiera di un auto scura ed elegante, dove mi accomodai e attesi il tempo necessario ad arrivare nell’imponente dimora Jackson.
    Ero felice all’idea che avrei rivisto Michael, ma soprattutto ero contenta perché avrei trascorso del tempo con una persona e non succedeva da molto, da un lasso di tempo esagerato.
    Ultimamente avevo sfruttato i miei giorni dedicandoli ai miei figli e ad un marito che non meritava niente di tutto quello, avevo trascurato me stessa e i rapporti che avevo con quelle poche persone di cui mi fidavo.
    Era orribile non poter contare su nessuno e conservare tutte le proprie forze per sé stessi.
    Non avevo nessuno con cui poter condividere un momento di gioia o di tristezza, avevo soltanto Benjamin e Danielle, ma erano entrambi troppo piccoli per poter partecipare attivamente alla mia vita.
    Ero consapevole del fatto che un po’ di tempo trascorso fuori dalle mura di casa mia mi avrebbe fatto bene, mi avrebbe aiutata a rilassarmi e a sentirmi meglio anche con me stessa.
    Durante l’intero tragitto non riuscii a fare a meno di giocherellare nervosamente con le mie mani e con i miei capelli, ero agitata ed emozionata perché avrei visto Neverland ed era una cosa stupefacente.
    Avevo intravisto alcune immagini impresse su delle riviste, credevo fosse un’idea geniale quella di costruire un parco giochi in un ranch del genere e avevo sempre sognato di poterlo visitare.
    Era un vero e proprio regno: il regno del Re del Pop.
    Mi chiedevo soltanto se fossi all’altezza per poter accedere ad un luogo di simile importanza.
    Quando l’auto scura varcò i cancelli di Neverland provai una strana sensazione allo stomaco, era l’adrenalina che trasmetteva un posto del genere insieme allo stupore di ciò che era presente al suo interno.
    All’improvviso, la portiera alla mia destra si aprì e lasciò scorgere la figura di Michael che venne ad accogliermi.
    Uscii e mi posi dinanzi a lui, un Michael sorridente, quella volta.
    “Benvenuta a Neverland!” – Disse, rivolgendomi uno dei suoi sorrisi più belli, le sue labbra si piegarono e lasciarono scorgere una fila di denti bianchissimi.
    Aveva un sorriso così bello e dolce che, secondo il mio giudizio, avrebbe dovuto mostrare più spesso.
    Trasmetteva sicurezza e buonumore, era una dote che non tutte le persone avevano e avrebbe fatto bene a renderla un pregio, anche se egli non condivideva il mio stesso mio parere.
    Ci salutammo con un amichevole bacio sulla guancia, accompagnato da un sorriso affettuoso da entrambi.
    Lo trovai più rilassato rispetto all’ultima volta in cui avevamo avuto modo di vederci, era trascorsa appena una settimana, ma mi sembrò in forma positiva e non eccessivamente malinconico.
    Era già un grande passo avanti.
    “Vorrei farmi perdonare per averti svegliata. Ti va di fare colazione?” – Mi chiese, mordendosi timorosamente il labbro inferiore e sollevando il cappello per aggiustarsi i capelli.
    Aveva dei capelli scuri e ricci, non erano corti, bensì gli giungevano fin sotto il collo e si posavano elegantemente lungo la stoffa della camicia costosa che indossava.
    “Non è stato un problema, ma certo, molto volentieri.”
    Mi aspettavo che mi facesse strada, solitamente si usava quando una persona non conosceva il posto e di conseguenza aveva bisogno di qualcuno che glielo mostrasse.
    Michael, a differenza degli altri, non fece un solo passo e rimase statico nella sua posizione, non permettendomi di comprendere il suo comportamento.
    Mi guardò e allargò il braccio per farmi un piccolo cenno, in modo che passassi prima di lui.
    “Dopo di te, Lisa.” – Mormorò.
    Ero impressionata dalla sua cortesia e dal suo garbo, rimanevo sempre più senza parole ogni volta che mi rivolgeva uno dei suoi gesti raffinati, non avevo mai conosciuto un uomo del suo livello.
    Aveva, inoltre, ordinato ai suoi domestici di apparecchiare un tavolo in una maestosa sala di Neverland, in modo che potessimo accomodarci lì per consumare la grande quantità di vivande preparate, accompagnando il pasto con qualche chiacchiera in amicizia.
    Eravamo lì proprio per quel motivo.
    Avevamo entrambi bisogno di sentirci meno soli e di mettere da parte la solitudine per dedicarci qualche momento soltanto per noi.
    “Tè o caffè?” – Disse, versandosi del succo d’arancia in un bicchiere e accavallando le gambe nervosamente.
    Era nervoso, da quando ci eravamo seduti non aveva fatto altro che muoversi ed agitarsi in continuazione, come se non si trovasse a proprio agio.
    “Caffè, grazie.” – Bisbigliai.
    C’era una strana atmosfera tra di noi, non avevamo intrapreso conversazioni di distinto spessore, ma avevamo solo parlato di cibo e cose di quel tipo, lasciando sfuggire la poca passione che aveva Michael per la cucina.
    Da quanto ero riuscita a capire, egli mangiava per necessità e non per il puro piacere di farlo, dopotutto era un ballerino e sapevo quanto fosse importante per lui il peso e l’attenzione nei confronti del fisico.
    “Tra qualche giorno riprendi il tour, giusto?” – Dissi, provando a rompere il ghiaccio con qualcosa che avesse a che fare con il suo lavoro.
    Era l’unica cosa che lo metteva a proprio agio, sapeva bene di essere un fuoriclasse nel suo campo e non provava timidezza in questioni che lo riguardavano.
    “Si, andrò a Buenos Aires per l’ultima parte. Sarò in Argentina, Brasile, Cile e Messico, poi farò ritorno a casa, finalmente!” – Disse accennando un sorriso liberatorio, appoggiandosi di peso allo schienale della poltrona sulla quale era seduto.
    “Sarai anche a Città del Messico?”
    “Si, ti piace?”
    “Oh mio Dio, la amo! Ci sono stata in viaggio di nozze qualche anno fa, ma non ho avuto modo di visitarla al meglio. Spero di poterci tornare, un giorno.” – Mormorai, sorseggiando parte del caffè fumante che Michael mi aveva versato gentilmente nella tazza.
    “Ti piace viaggiare?” – Mi chiese, assumendo un atteggiamento di interesse nei miei confronti.
    “Tantissimo. Mi piace stare a contatto con persone con culture differenti dalla mia e conoscere nuove città, credo sia fantastico.”
    Non disse niente, lo vidi annuire con il capo e scrutarmi con attenzione, mi ascoltava e non era una dote tipica di tutti.
    Non tutti gli uomini avevano quella capacità, molti di essi sapevano soltanto parlare ed esporre i propri problemi e le proprie passioni dinanzi ad una donna, ma non lasciavano ad essa la possibilità di replicare.
    Dopo aver consumato la colazione, ci dirigemmo verso il parco per poter fare una passeggiata all’aria aperta.
    Mi aveva confessato la sua passione per gli spazi aperti, diceva che rimanere in camera per tempi molto lunghi gli dava fastidio ed era una cosa che accadeva soprattutto in tour, quando non poteva uscire per non destare un panico generale.
    Anche a me accadeva una situazione del genere, soprattutto quando ero sola in casa e non avevo l’opportunità di parlare con nessuno, se non con i miei domestici.
    Danny era un cantautore e di conseguenza trascorreva gran parte del suo tempo fuori casa, lasciandomi il più delle volte in balìa della mia solitudine che aumentava di continuo.
    “Ho fatto costruire tutto questo per sentirmi meno solo. Sai, nei momenti di solitudine mi aiuta molto venire a fare una passeggiata ed essere circondato dalla natura. E’ come se lei mi facesse compagnia insieme alle sue bellezze.” – Disse improvvisamente, guardandosi intorno e mostrandomi il suo regno fatto di giostre per bambini, animali e camioncini dei gelati.
    Era quasi come se parlasse con sé stesso, aveva il comportamento di chi sapeva di non essere ascoltato da nessuno e, di conseguenza, si sfogava con la propria persona.
    “A quanto ne so, questo posto riceve ogni anno moltissimi bambini, è vero?”
    “Si, in realtà è uno dei motivi principali che mi hanno spinto a creare un luogo del genere.” – Disse con un velo di orgoglio nella voce.
    “Perché, allora, nessuno ne parla?” – Chiesi, provando a mascherare la malinconia nella mia voce.
    Era un lato di lui che solo una ristretta cerchia di persone conosceva, il resto di esse era capace soltanto di dar retta ai giornali e alle idiozie che inventavano sul suo conto pur di fargli del male.
    Dipingevano un Michael che non esisteva e lo utilizzavano per ferire i suoi sentimenti e per guadagnare denaro, sfruttando il suo nome.
    “Perché è un qualcosa di positivo nei miei confronti. Mi va bene così, in ogni modo. Non lo faccio per popolarità, ma perché è bello poter aiutare le persone in difficoltà e i bambini, soprattutto.” – Sussurrò.
    Era una persona meravigliosa, non esistevano uomini capaci di affrontare concetti di questo tipo e a maggior ragione nessun uomo sarebbe mai stato capace di creare un parco giochi per bambini malati e bisognosi di cure.
    Non dissi niente dopo quella sua affermazione, non riuscivo a trovare le parole adatte per poter dire una qualsiasi frase idonea al contesto nel quale ci stavamo muovendo, potevo soltanto dire di aver trascorso del tempo con un uomo speciale.
    Continuammo a passeggiare in lungo e in largo, Michael ci tenne a mostrarmi ogni zona di Neverland ed io ero affascinata dal suo modo di vedere ed intendere le bellezze della vita e della natura.
    Dopo svariate ore, ci sedemmo sul prato a lasciarci riscaldare dal tenue calore del sole invernale, lui era al mio fianco ed io mi sentii finalmente, dopo tanto tempo, meno sola.
    Avevo trascorso una bella mattinata con Michael Jackson, anche se io avevo avuto modo di vedere soltanto Michael, un uomo che aveva bisogno di qualcuno con cui parlare per evitare di essere schiacciato dalla solitudine.
    D’altra parte c’ero anche io, non potevo dire di vivere nella sua stessa situazione, ma riuscivo a comprendere i suoi sentimenti e i suoi bisogni di affetto e di compagnia, tanto che mi ci rispecchiavo.
    Sentivo il bisogno di ringraziarlo, mi aveva permesso di fuggire temporaneamente dalla realtà che mi circondava e se non fosse stato per lui e per la sua chiamata alle sei del mattino, non ce l’avrei mai fatta.
    “Lisa… grazie.” – Mormorò sottovoce, rivolgendomi uno sguardo sincero e pieno di riconoscenza nei miei confronti.
    “Di cosa, Michael?”
    “Per essere venuta qui e per aver passato del tempo con me.” – Sussurrò, abbassando il capo.
    “Sono io che devo ringraziarti. Mi hai fatto evadere dalla realtà che mi circonda, sono stata bene e di questo te ne sarò per sempre grata.” – Dissi, poggiai una mano sulla sua spalla e gli sorrisi come avrebbe fatto una vera amica.
    Ci fu un attimo di silenzio nel quale nessuno parlò, ognuno era assorto nei propri pensieri che venivano conciliati dalla tranquillità del posto, trasmettendo una sensazione di quiete.
    “Ti andrebbe di rimanere a pranzo qui? Se non hai altro da fare e se non è un problema.” – Mi chiese con timidezza, sfilandosi gli occhiali da sole che indossava per lasciarmi intravedere i suoi occhi.
    Non avrei mai potuto dargli una risposta negativa, non ce l’avrei mai fatta e poi sapevo che mi faceva piacere poter rimanere con lui, quindi la mia era una risposta retorica.
    “Certo, perché no?” – Dissi e automaticamente le sue labbra si piegarono in un sorriso vero, uno di quelli che ultimamente non mostrava con assiduità.
    Non sapevo come spiegarlo, ma durante la mia presenza a Neverland a contatto con la natura e con un amico così gentile e buono, persi completamente la cognizione del tempo e non mi accorsi che le ore volarono via con una velocità inverosimile.
    Era presto per poter trarre conclusioni, ma se cercavo realmente un cambiamento e una svolta nella mia vita avrei fatto bene a ripartire e a riformattare il tutto dall’amicizia.
    L’amicizia era il sentimento più puro e sincero, quello di cui ogni persona aveva bisogno per poter essere felice nel vero senso del termine.



    Chapter 5.

    Le immagini scorrevano rapide e veloci dinanzi ai miei occhi, rimanevano impresse nella mia mente senza darmi la possibilità di decidere se lasciarle dentro di essa o meno, logorandomi a poco a poco il cuore e i sentimenti.
    Reggevo tra le mani una rivista, una di quelle che si trovavano comunemente in giro, una delle tante che inventavano per lo più storie di completa fantasia.
    Colori, notizie di elevata importanza, scoop e news di qualsiasi tipo, nessuno di questi argomenti riusciva ad attrarre la mia attenzione come quelle fotografie che stavo osservando da un periodo di tempo indefinito.
    Raffiguravano mio marito Danny in dolce compagnia di una giovane donna bionda, non ne conoscevo il nome e non mi importava neanche, ero soltanto delusa e amareggiata da quella situazione che stavo vivendo.
    Si era preso gioco di me, mi aveva presa in giro e usata, poi gettata via come se fossi stata un oggetto che non gli sarebbe più tornato utile.
    Sapevo che avesse storie con altre donne, più che altro lo sospettavo, ma mai ero riuscita ad accertare realmente le mie ipotesi come in quel momento.
    Non aveva avuto neanche il buonsenso di avere relazioni extraconiugali di nascosto, si era anche preoccupato di farsi fotografare in atteggiamenti compromettenti con una donna, baciandola dinanzi al Mondo intero.
    Mi aveva umiliata, non aveva avuto un minimo di rispetto nei miei confronti e in quelli dei suoi figli, aveva agito come se fosse stato un giovane uomo single, il quale non era.
    La prima cosa che fece, dopo essere tornato a casa da New York, fu andarsene in giro con i suoi amici come se niente gli importasse e come se avesse meritato quel piccolo svago.
    Ero stesa sul letto della mia camera, le lenzuola bianche e candide coprivano il mio corpo e lo proteggevano dall’ambiente circostante e dalle sue impurità.
    Avevo il capo poggiato sulla federa del cuscino e copiose lacrime rigavano il mio volto, marcando con insistenza i miei lineamenti e sciogliendo il trucco che decorava il mio viso.
    Avevo gettato al suolo quella rivista, avevo già visto abbastanza, quanto bastasse per lacerarmi i sentimenti che provavo verso quell’uomo squallido e vigliacco.
    Non meritava le mie lacrime, nemmeno una minima attenzione, era riuscito a distruggere anche quel poco che era rimasto del nostro matrimonio e dell’amore che esso conteneva.
    Avrei dovuto comprendere fin da subito le intenzioni di Danny e non lasciarmi trascinare via dalle sue menzogne e dalla sua bellezza estetica, ma soprattutto non avrei mai dovuto sposare un uomo del genere e dargli dei figli.
    Loro erano il motivo per il quale vivevamo ancora insieme e ci comportavamo come tutte le altre coppie, fingendo costantemente.
    Non mi sentivo nelle condizioni adatte a chiedere un divorzio, i bambini erano ancora troppo piccoli ed io ero contraria ad una cosa del genere, avremmo potuto lasciare le cose a giacere come facevano da tempo.
    Sposati, separati, divorziati, ormai non contava più niente e non faceva alcuna differenza.
    Lui non era più niente per me, ma non potevo pretendere che uscisse dalla mia vita, era pur sempre il padre dei miei figli e una figura di cui essi necessitavano.
    La mia mente lo aveva già rimosso, mentre il mio cuore faceva fatica ad assimilare la mancanza di un affetto considerato da me fondamentale, ma prima o poi ci sarebbe riuscito anch’esso.
    Non nascondevo l’amore che ancora provavo per lui, ma ero consapevole che avesse sbagliato tante volte con me e che mi avesse portata sull’orlo del precipizio, mi aveva distrutta psicologicamente e gran parte della mia solitudine era stata causata da lui.
    Non ne potevo più, volevo il cambiamento nella mia vita, volevo riprenderla in mano e lasciarmi trasportare in dimensioni che non avevo mai esplorato.
    Volevo continuare a vivere e stare con un uomo del genere mi avrebbe portata soltanto al punto del non ritorno.
    Nella penombra della stanza, all’improvviso, la porta si aprì lentamente, emettendo un breve cigolio quasi fastidioso.
    Sentii dei passi avvicinarsi alla mia figura, qualcuno si sedette sul materasso e cominciò ad accarezzarmi i capelli.
    “Amore…” – Mormorò.
    Appena sentii quelle parole e non appena mi accorsi della voce di mio marito, ovvero dell’uomo che reputavo tale, mi sollevai con il busto e scesi dal letto per allontanarmi.
    “Vattene!” – Urlai.
    Mi guardò con lo sguardo assente, come se non capisse, come se non si fosse accorto della mia conoscenza alle sue storie e alle bugie che mi raccontava da anni.
    “Che ti prende? Sei impazzita, per caso?” – Disse, alzandosi immediatamente e parandosi di fronte a me.
    “Non ti caccio da questa casa, perché sono una persona migliore di te, ma voglio che tu te ne vada da questa stanza.”
    “Perché? Lisa, tesoro, che hai?”
    “Non chiamarmi tesoro. Mi fai schifo.” – Dissi, raccogliendo la rivista dal pavimento e scaraventandola contro il suo petto.
    Si chinò a terra per afferrarla e non appena si rese conto della cosa alla quale mi riferivo, aprì la bocca in senso di stupore e mi guardò tranquillo, come se non avesse niente da nascondere.
    “Non crederai mica a quello che hanno scritto! E’ solo un’amica, siamo usciti insieme un paio di volte ed è stata lei a baciarmi. E’ stato un comune bacio, non è stato niente per me. Lisa, devi credermi.” – Mormorò, guardandomi intensamente negli occhi.
    “Non ti credo da un pezzo, Danny e non inizierò a farlo adesso.”
    “Lisa, per favore…” – Sussurrò, si avvicinò a me per baciarmi, ma fui più rapida di lui e riuscii a scansarlo.
    “Non mi toccare. Sei un uomo orribile, mi fai pena.” – Urlai, sferrandogli un forte schiaffo sulla guancia, arrossandogli la pelle chiara.
    “Adesso mi metti anche le mani addosso? Sei solo una troia viziata!” – Urlò a sua volta, spingendomi con forza contro il muro e colpendomi in viso più volte, facendomi male.
    Riuscii ad allontanarmi dalla sua presa, non piansi, nessuna lacrima sfuggì via dai miei occhi, non gli avrei dato la soddisfazione di vedermi debole per causa sua, non lo meritava.
    “Permettiti un’altra volta e non vedrai più i tuoi figli.” – Dissi, lo minacciai e non utilizzai quella frase per metterlo a tacere, avevo realmente intenzione di farlo, dopo aver conosciuto il suo lato peggiore.
    Non aveva mai alzato le mani su di me, non mi aveva mai parlato in quel modo e non si era mai permesso di fare una cosa simile.
    Aveva superato il limite, il mio limite, o almeno era sul punto di farlo.
    “Lisa, non puoi farlo, lo sai!” – Urlò, andandosene dalla stanza e sbattendo la porta violentemente, lasciando che emettesse un tonfo.
    Avevo bisogno di andare via.
    Necessitavo di trascorrere qualche ora al di fuori di quelle quattro mura che mi circondavano e mi asfissiavano, avevo bisogno di respirare e di allontanarmi temporaneamente da quella casa.
    Non mi importava sapere che ora fosse, era ormai notte inoltrata e trovare qualche persona per strada sarebbe stato quasi assurdo.
    Mi andava bene in quel modo, avevo bisogno soltanto di uscire e di riflettere, anche se sfogarmi con qualcuno mi avrebbe aiutata a sentirmi meglio.
    Ero sola, con chi avrei dovuto farlo, se non con me stessa?

    Le luci della città illuminavano la mia figura che si aggirava con cautela per le strade, di tanto in tanto mi soffermavo a riflettere, lasciando scivolare dai miei occhi delle calde e copiose lacrime.
    Avevo sbagliato tanto, avevo preso una moltitudine di decisioni errate e avevo anteposto la felicità degli altri alla mia.
    Mi ero stancata di quella vita, avevo soltanto ventiquattro anni e avevo dinanzi a me un lungo viaggio e la possibilità di cambiare le cose.
    In quel preciso istante sentivo il bisogno di una persona che mi ascoltasse, avevo bisogno di sfogarmi e di parlare con qualcuno, rimanere chiusa in me stessa non avrebbe aiutato, ma al contrario avrebbe soltanto peggiorato le cose.
    Mi sentivo tremendamente sola e abbandonata nel vero senso della parola, era una sensazione orribile e dolorosa alla quale non esisteva una cura.
    C’era una persona, un uomo, per meglio dire, che avrebbe fatto al caso mio e che ero sicura potesse farmi compagnia come se fossi stata una sua amica di vecchia data.
    Michael.
    Se c’era un punto che avevamo entrambi in comune, quello era composto dalla solitudine che ognuno di noi si portava dentro, come se essa fosse stata intrappolata al nostro interno e ci privasse dei lati positivi.
    Decisi di chiamarlo, la sua voce mi trasmetteva serenità e in qualche modo mi avrebbe aiutata, ne ero sicura.
    Michael aveva sempre una buona parola per ognuno, era un bravo amico ed ero sicura che non mi avrebbe donato dei termini fini a sé stessi.
    Composi il suo numero rapidamente, corrispondeva ad una linea strettamente privata alla quale rispondeva soltanto lui e non i suoi domestici o persone che lavoravano in casa sua.
    Erano le due del mattino e probabilmente dormiva, ma avevo una tremenda necessità di parlare con qualcuno, altrimenti sarei stata peggio.
    Non ero egoista, volevo soltanto stare bene.
    Il telefono squillò interminabili secondi, una voce calda e liscia rispose soltanto pochi istanti dopo.
    “Pronto?” – Biascicò.
    “Michael… sono Lisa. Scusami se ti chiamo a quest’ora, mi dispiace tanto, ma ho bisogno di qualcuno con cui parlare.” – Dissi, la mia voce era interrotta dai frequenti singhiozzi e mi impediva di potermi far comprendere al meglio.
    Volevo essere sincera con lui, non mi andava di inventare scuse inutili, lui era l’unica persona in grado di capirmi.
    “Va tutto bene, stai tranquilla.”
    “Stavi dormendo?” – Chiesi precipitosamente, immaginandone una ipotetica risposta.
    Cosa avrebbe mai potuto fare ad un orario simile?
    “No, io… faccio un po’ fatica ad addormentarmi, ero sveglio. Dove sei?”
    “In un parco, non mi va di andare a casa.” – Mormorai con la voce bassa e rotta dal pianto.
    “Fa freddo, Lisa. Dove sei di preciso?” – Sussurrò, lasciandosi sfuggire un tono di palese preoccupazione.
    “Al primo parco sulla Sunset Boulevard.”
    “Rimani lì, mando il mio autista a prenderti.” – Disse, chiudendo la chiamata e lasciandomi perplessa.
    Michael aveva chiaramente percepito la difficile situazione nella quale mi trovavo, era un buon amico dal momento in cui si era subito messo a disposizione e aveva persino sciolto il sonno di quel povero uomo che lavorava per lui.
    Era Michael Jackson e il suo nome automaticamente permetteva tutto, bastava una sua richiesta che subito veniva accontentato, come in quel momento.
    Non aspettai eccessivamente, nel giro di pochi minuti un’auto scura e mai vista prima si fermò a pochi passi da me, sull’asfalto illuminato dalla luce dei lampioni che rendeva l’atmosfera meno solitaria.
    Qualcuno scese e mi rivolse un sorriso, quell’uomo lo avevo già visto quando ero andata a Neverland per la prima volta e non mi ci volle molto a capire che fosse l’autista di Michael.
    Mi salutò formalmente con un piccolo cenno del capo e mi aprì la portiera, in modo che salissi sull’auto e mi accomodassi, mettendo fine alle mie malinconie almeno per qualche ora.
    Fu quella situazione a confermare le mie ipotesi su Michael, non mi sbagliavo sul suo conto, era una persona stupenda e sempre al servizio di tutti coloro che ne richiedevano la necessità.
    L’uomo partì immediatamente ed io mi sentii, ad un tratto, stupida ad aver disturbato Michael e il suo autista soltanto per un mio capriccio, ma avevo un terribile bisogno di qualcuno con cui stare.
    Era strano da pronunciare, ma Michael era l’unica persona in grado di comprendere il mio stato di solitudine ed era l’unico che poteva aiutarmi.
    Arrivammo a Neverland con una velocità incredibile, non appena l’auto si fermò, la portiera si aprì e lasciò scorgere la figura di Michael in tenuta da casa.
    Indossava dei pantaloni del pigiama e una maglietta di Topolino che mi portò improvvisamente il sorriso, era completamente diverso da come lo si immaginava.
    Michael Jackson, l’uomo dalle giacche militari con i lustrini in pubblico, alle magliette colorate della Disney nella vita privata.
    Lo guardai con gli occhi lucidi e pieni di lacrime, non sapevo cosa dirgli, mi stava aiutando moltissimo e gli sarei stata grata per sempre.
    “Posso, Michael?” – Chiesi timidamente, passandomi una mano sul viso per asciugarmi le lacrime.
    Era palese la mia richiesta di abbracciarlo, mi avvicinai timorosamente al suo corpo e lo guardai intimidita, come se temessi un suo ipotetico rifiuto.
    “Certo, Lisa. Vieni qui.” – Disse, sorrise e aprì le braccia per accogliermi con dolcezza.
    Mi sentii bene, la sua figura esile e allo stesso tempo piazzata mi fece sentire protetta e priva di tristezza, fu come se tutto il resto intorno a me fosse scomparso.
    Quell’abbraccio nato da una timida richiesta era tutto quello di cui avevo bisogno.
    Il suo profumo mi inebriò i sensi e mi spinse a chiudere gli occhi e a poggiare la testa sul suo petto ricoperto dal cotone della maglia che indossava.
    Sentii la sua mano poggiarsi dietro la mia schiena per accarezzarla da sopra al tessuto della camicia che la ricopriva, trasmettendomi tanta sicurezza e azzerando, in parte, quella solitudine che mi portavo dentro.
    Riuscii a percepire il calore della sua pelle e la leggerezza dei suoi tocchi, distese completamente il palmo della mano per compiere dei piccoli movimenti su di me, rilassandomi.
    “Non piangere, va tutto bene.” – Sussurrò.
    “Sono piombata a casa tua nel cuore della notte, mi dispiace tanto, sono un disastro.”
    “No, non è vero. Sono contento che tu sia qui, te lo assicuro.” – Disse, sfilò dalla tasca dei suoi pantaloni un fazzoletto di stoffa bianca con le sue iniziali ricamate e me lo porse.
    Mi asciugai le lacrime e lo ringraziai con un piccolo cenno del capo.
    “Vieni con me, ti preparo qualcosa di caldo.”
    Fu l’ultima cosa che disse, prima di dirigersi a piccoli passi verso l’abitazione, muovendosi seguito da me nella penombra della notte.
    Mi fece accomodare sull’enorme divano del suo salotto in stile antico e nei toni del marrone, era arredato in modo estremamente raffinato e decorato da numerosi quadri appesi alle pareti.
    “Grazie, Michael. Mi sentivo sola, avevo bisogno di qualcuno e…”
    “Stai tranquilla, non c’è bisogno che ti giustifichi. Per me è un grande piacere averti qui.” – Disse, mostrandomi un sorriso sincero e porgendomi una tazza di tè.
    Si sedette al mio fianco e si passò le mani sul viso, stropicciandosi gli occhi in senso di stanchezza.
    “Dovrei essere io a ringraziare te. Posso comprendere la tua solitudine, è esattamente ciò che sto vivendo. E’ strano per me essere qui con te, solitamente non ricevo mai nessuno, solo dei bambini quando vengono a Neverland.” – Sussurrò sottovoce, rivolgendomi uno sguardo malinconico che mi entrò dentro, toccando le corde del mio cuore.
    Apprezzavo il fatto che non mi avesse chiesto il motivo delle mie lacrime, era educato da parte sua, mi aveva accolta in casa come se fossi stata sua madre o sua sorella ed era un gran bel gesto.
    Ci conoscevamo da tanti anni, ma avevamo cominciato a parlare e a frequentarci da qualche settimana, aveva avuto il pieno diritto di non preoccuparsi per me e invece non lo aveva fatto.
    “Non hai un amico con il quale trascorrere del tempo?” – Chiesi, piegando la testa di lato e rivolgendogli uno sguardo comprensivo.
    “No. Non esco neanche molto, in realtà e le uniche persone che potrebbero parlare con me sono i miei dipendenti, ma non lo fanno. Mi trattano con distacco, come se io fossi un loro superiore, ma non è così. Io non sono superiore a nessuno, capisci?”
    Era dotato di un’umiltà e di una sensibilità fuori dal normale, era genuino e puro, non avevo mai conosciuto un uomo come lui.
    Un uomo capace di ascoltare e di aiutare, ma soprattutto di donare gesti di conforto a chi ne aveva bisogno.
    “Ti capisco perfettamente, succede qualcosa di simile anche a me. Sto trascorrendo un periodo difficile con mio marito e le uniche persone che ho sono i miei figli.” – Dissi.
    Non disse niente, si limitò a guardarmi con gli occhi di chi sapeva quello che stavo dicendo, comprendeva ogni mia singola parola e si immedesimava nel mio discorso.
    “Si è fatto un po’ tardi. Se ti va, potresti rimanere qui per la notte. Se non ti crea problemi, ovviamente, altrimenti ti faccio riaccompagnare a casa.” – Disse, gettando lo sguardo sull’enorme orologio appeso alla parete della stanza.
    Apprezzai tanto quella richiesta da parte sua, di tornare a casa non se ne parlava proprio, avrei trovato Danny ad aspettarmi e non mi andava di continuare a litigare con lui fino all’alba.
    Avrei trascorso del tempo con Michael, in quel modo avrei potuto aiutarlo e accompagnarlo nella solitudine che possedeva.
    “Va bene, grazie per avermelo chiesto.”
    Ci fu un breve silenzio, nessuno dei due parlò, riuscivo a sentire i suoi sospiri leggeri e i piccoli singhiozzi che si lasciava sfuggire di tanto in tanto.
    “Lisa, ti andrebbe di… di dormire con me? Non voglio stare da solo.” – Chiese, mordendosi il labbro e abbassando il capo, visibilmente imbarazzato.
    Perché non riuscivo a dare una risposta negativa ad una sua domanda?
    Mi era impossibile, sapevo quanto stesse soffrendo e quanto stesse male, infatti quelle conoscenze mi impedivano di potergli dire di no, non me la sentivo e non ce la facevo.
    Probabilmente gli avrei chiesto la stessa cosa, non volevo dormire da sola, non riuscivo a prendere sonno gran parte delle volte e trascorrere una notte con lui non mi avrebbe recato danni.
    Sapevo che Michael non mi avrebbe sfiorata con un solo dito quella notte, non era il tipo di uomo che faceva cose del genere, conoscevo la sua educazione e la sua gentilezza e non avevo dubbi su di lui.
    Comprendevo il suo stato di malessere, sapevo cosa significava sentire il continuo bisogno di una persona al proprio fianco nei momenti di dolore, ma anche in quelli di gioia e non avrei potuto fargli un torto di quel tipo.
    Non risposi, gli feci un cenno con la testa e vidi le sue labbra piegarsi in un piccolo sorriso.
    Quella notte avremmo dormito insieme come buoni amici, eravamo due persone che erano costantemente oppresse dalla solitudine e non riuscivano ad uscirne.
    Non avevo mai dormito con un uomo che non fosse Danny, quella era una prima volta per me e mi sentivo bene all’idea che avrei potuto stringere il suo corpo durante la notte, magari ci avrei guadagnato un altro abbraccio che mi avrebbe fatto soltanto bene.
    Non sapevo esattamente se avessimo preso sonno, ma l’importante era riuscire ad aspettare l’alba del nuovo giorno, insieme.
    Osservare il chiarore del mattino senza sentire quel peso al centro del petto che impediva di respirare, senza avere il cuore con meno battiti del normale e con l’animo triste e afflitto.
    La solitudine era come una malattia che corrodeva l’anima e la persona che ne soffriva, possedeva una forza estrema capace di provocare dolore fisico e psicologico, portando l’individuo sull’orlo del precipizio.


    Chapter 6.

    Novembre 1993.

    Le note di una dolce melodia risuonavano tra le mura insonorizzate di quella stanza, le parole mi scorrevano sulla pelle prima che io potessi pronunciarle, sfiorando e pizzicando le corde del mio cuore.
    Ero in uno studio di registrazione ed ero intenzionata, da tempo, a lavorare ad un singolo sotto l’aiuto e la supervisione della mia casa discografica che riteneva necessaria una pubblicazione di un pezzo scritto e composto interamente da me.
    Il mio rapporto con la musica era da sempre molto importante, fin da bambina avevo imparato ad apprezzare quella forma di espressione che le persone amavano e di cui non riuscivano a fare a meno.
    Ero riuscita con le mie forze a fare di essa la mia vita, scrivendo canzoni per giovani artisti o interpretando brani di diversa importanza musicale.
    Quella mattina mi recai in quell’insolito luogo per dare spazio alle mie emozioni che, da un po’ di tempo, non avevano fatto altro che essere negative, in modo da tenermi legata al sistema del quale facevo parte.
    L’amore era la nota dolente della mia situazione, facevo un’estrema fatica a dimenticarmi delle cose accadute e a farmi una ragione sul fatto che Danny, mio marito, non avesse una minima intenzione a donarmi una vita dignitosa.
    Durante quel mese non erano affatto mancate le sue dichiarazioni e i momenti in cui, trovandomi a girovagare distratta per i corridoi della casa, si era gettato ai miei piedi con la speranza di far ritornare le cose al loro posto.
    Ero dell’avviso che un vaso rotto non sarebbe stato più riparato, sarebbe stato possibile mettere insieme i cocci, ma ottenere il risultato iniziale sarebbe stato a dir poco impossibile.
    Non nascondevo il mio desiderio di poter ritornare con lui, dopotutto era l’uomo che avevo scelto di sposare e colui che, nonostante la rabbia travolgente che possedeva, non riuscivo a smettere di amare.
    Ero consapevole, allo stesso tempo, di non avere più al mio fianco il ragazzo che avevo sposato, bensì un manipolatore incapace di amare.
    Era capace soltanto di fare del male e di chiedere perdono dopo aver compiuto le sue cattiverie, non curandosi del fatto che le persone non fossero a disposizione per un periodo di tempo illimitato.
    Più trascorreva il tempo e più mi capacitavo di aver bisogno di una persona che mi facesse del bene, una persona capace di farmi sentire importante e di salvarmi con il suo amore, trasportandomi altrove, lontano dalla mia solitudine.
    Ero entusiasta per quel pezzo che stavo incidendo da giorni, ero legata ad esso da un particolare legame affettivo e ritenevo opportuno che il risultato finale fosse eccellente.
    Quel progetto era il punto di partenza verso una nuova vita, quella che aspettavo da tempo e che ero sicura che non avrei sprecato inutilmente.
    Ritornai a casa soltanto dopo una manciata di ore trascorse in sala di incisione, fortunatamente era una tranquilla giornata autunnale e il calore del Sole riscaldava lievemente, donando una sensazione di pace interiore.
    Tornai a casa con il chiaro intento di riposarmi, erano giorni che non riuscivo a chiudere occhio per via dei numerosi pensieri che affollavano la mia mente, così da impedirmi di precipitare nella forza del sonno e donandomi un aspetto sgradevole.
    La mia ultima dormita, se così la si poteva definire, la ottenni precisamente un mese fa, quando mi recai a Neverland per cercare aiuto, in preda alla mia tristezza e al mio dolore.
    Dormii con Michael, rimasi abbracciata al suo corpo caldo per tutta la notte e riuscii a percepire il calore che possedeva dentro di sé, come se fosse stata una strana forza dalla quale non si poteva sfuggire, ma soltanto donarsi.
    Quella notte dormimmo insieme come buoni amici, non ci fu alcun tipo di contatto fisico che andasse oltre a dei semplici abbracci, nati dalla necessità di entrambi di sentirci meno soli.
    Il suo profumo mi inebriò totalmente i sensi, mi spinse a fidarmi di lui e a fare della sua persona un’ancora alla quale mi appesi in un momento di estrema difficoltà.
    “Buongiorno, signora.” – Disse Lydia, accogliendomi nell’ingresso della mia abitazione con un sorriso smagliante.
    Reggeva tra le braccia il piccolo Benjamin, il mio piccolo angioletto, che mi porse non appena mi vide arrivare.
    La salutai con un cenno del capo e sorrisi, accarezzai la testina di mio figlio con dolcezza e gli stampai un piccolo bacio sulla guancia, vedendo le sue labbra piegarsi in un sorrisetto tenero.
    “Signora, sono arrivati dei fiori per lei. Mi sono permessa di metterli nell’acqua, sono così belli!” – Disse, estraendo da un vaso una confezione di fiori di diverso tipo e porgendomeli tra le mani.
    Non avevo idea di chi potesse essere stato, probabilmente si trattava di mio marito che, nonostante il tempo trascorso lontano da me, tentava una delle sue ultime carte per riconquistare me e la mia fiducia.
    Vivevamo ancora insieme sotto lo stesso tetto, ma dormivamo in camere separate e i nostri rapporti erano ridotti al minimo indispensabile.
    Osservai attentamente quel regalo floreale e ne rimasi colpita, la confezione era decorata con una carta trasparente e un fiocco rosso, di tipo elegante, manteneva i fiori legati tra di essi.
    Nella mia vita avevo ricevuto pochissimi omaggi di quel tipo e dovevo ammettere che ad una donna facevano sempre un gran piacere.
    C’era una busta da lettere inserita tra i gambi di due tulipani che la mantenevano in vista e non possedeva nessuna firma sulla facciata d’apertura.
    Non credevo potesse essere Danny, non era il tipo che compieva gesti di tale raffinatezza, probabilmente avevo conosciuto l’uomo sbagliato che nel frattempo era riuscito a migliorarsi.
    Benjamin scese dalle mie braccia e mi precipitai nel parco, avevo intenzione di leggere quel biglietto lontana da occhi indiscreti, volevo godermi la sensazione dell’essere importante per qualcuno.
    Mi sedetti su una panchina in legno e aprii lentamente la busta, sfilando il biglietto, facendo attenzione a non strappare la carta che lo conteneva.
    Poche parole scritte a penna, l’inchiostro nero e la calligrafia mi aiutarono a comprendere il mittente, prima che potessi leggerne la firma.
    “Grazie di tutto. - Michael.”
    Un sorriso si posò sul mio volto alla vista di quel nome scritto in basso al foglio, le lettere erano un po’ confuse a causa del corsivo utilizzato, ma conoscevo la sua firma e sapevo che appartenesse soltanto a lui.
    Non mi sarei mai aspettata di poter leggere il suo nome, ne rimasi leggermente sorpresa, anche se conoscevo i suoi modi gentili e raffinati che non mi lasciarono di stucco.
    Sfilai il cellulare dalla tasca della mia gonna, volevo telefonargli per ringraziarlo, ma anche per poter sentire la sua voce e per conoscere il suo stato di salute.
    Era in tour e in quel periodo ci eravamo sentiti molto poco, di solito era lui a comporre il mio numero e a lasciarsi andare a dei discorsi nel pieno della notte.
    Dovevo ammettere che parlare con Michael a sera tarda era una gran bella sensazione, riuscivo a sentirmi bene durante quei brevi lassi di tempo nei quali ascoltavo la sua voce, era sempre molto pacata e sottile e trasmetteva tranquillità.
    All’interno della busta bianca era posizionato un biglietto aereo che riuscii a scorgere soltanto dopo aver sfilato il bigliettino, era poggiato dietro di esso e mi fu impossibile notarlo prima.
    Los Angeles – Città del Messico.
    Il viaggio era programmato per il giorno successivo ed io non sapevo minimamente come comportarmi a quel dono, era eccessivo ed io non mi sentivo nelle condizioni per poter accettare un simile regalo.
    Michael era un realizzatore di sogni, ne ero consapevole, non solo permetteva alle persone che lo seguivano e lo amavano di poterlo vedere da vicino, di abbracciarlo e di parlare con lui, ma allo stesso tempo si preoccupava anche delle persone che non avevano niente a che fare con la sua musica.
    Sapeva che Città del Messico fosse una delle mie mete preferite, era capitata l’occasione di regalarmi una gioia e lui ne aveva approfittato, come un buon amico avrebbe fatto.
    Il problema era proprio quello.
    Michael voleva sdebitarsi con me per tutto quello che avevo fatto, per averlo aiutato in un momento difficile e per avergli donato l’ascolto di cui necessitava.
    Quella era soltanto una sua concezione.
    Io non avevo commesso niente, non ero corsa in suo aiuto, volevo soltanto fargli del bene e gran parte del lavoro lo aveva fatto lui per me.
    Mi accolse a braccia aperte, quando le uniche persone che avevo al mio fianco erano i miei figli, aveva anche asciugato le mie lacrime e si era preoccupato di aiutarmi, nel vero senso della parola.
    Avevo bisogno di parlargli, era diventata improvvisamente una necessità e composi il suo numero rapidamente, sperando con tutta me stessa che rispondesse.
    Il cellulare squillò a lungo, sentivo i suoni battere al ritmo del mio cuore, cominciarono a tremarmi leggermente le mani, fino a quando qualcuno non rispose.
    “Lisa...” – Sussurrò piano, con una punta di stupore nella voce.
    “Michael… ti disturbo? Ho sbagliato momento?” – Dissi, provando ad accertarmi che fosse disponibile e che non avessi interrotto qualcosa di importante.
    “Certo che no, sono in pausa. Come stai?”
    “No, non parliamo di me, non è importante. Voglio sapere di te.” – Mormorai precipitosamente, sentendo la voce spezzarsi in gola.
    Lo sentii sospirare dall’altro capo del telefono, rimase qualche secondo in silenzio a lasciarmi percepire il suo fiato che sfiorava la cornetta, come a voler toccare la mia.
    Era come se io riuscissi a sentire quel calore accarezzarmi la pelle, partendo dalle guance e terminando con il collo, fino a giungere verso l’intero perimetro del mio corpo.
    Quella sensazione mi lasciò senza fiato, non ero mai riuscita a provare un’emozione simile, mai con nessuno.
    “Il tour sta andando alla grande, la gente è entusiasta, stiamo facendo un buon lavoro.”
    “Michael, voglio sapere come stai tu. Sii sincero con me, ti prego.” – Sussurrai, lasciando trapelare dal mio tono una supplica nei suoi confronti.
    Un altro silenzio.
    “Sono solo, credo che questo spieghi tutto.” – Mormorò.
    Sentii la sua tristezza, riuscii a conoscerla e a provarla sulla mia pelle, in modo da rivolgere i miei pensieri e le mie sensazioni su di lui.
    Avvertii il dolore delle sue parole, chiusi gli occhi e cominciai ad accarezzarmi nervosamente la gamba ricoperta dalla stoffa della gonna che indossavo, provando a depositare il mio pensiero lontano dalla sua malinconia.
    “Grazie per i fiori, sono bellissimi, non dovevi.” – Dissi, cambiando discorso per non continuare a fargli del male involontariamente.
    Era doloroso per lui parlarne, avrebbe soltanto sofferto più del dovuto e non volevo, volevo che stesse bene.
    “Dovevo ringraziarti, ne sentivo il bisogno.” – Disse.
    “Michael, per quanto riguarda il biglietto…”
    “Lisa, ti prego, vieni.” – Sussurrò in tono triste, sospirando forte, quasi a volermi convincere ad andare da lui.
    “Ho bisogno di una persona che mi stia vicino, di un’amica, non posso superare tutto questo da solo. Ho bisogno di te.” – Riprese, parlando lentamente e singhiozzando.
    “Ho bisogno di te.”
    Non riuscivo a tirarmi indietro, quell’uomo stava male e mi stava chiedendo aiuto proprio come avevo fatto io con lui, non era il tipo che si piangeva addosso e per parlarmi in quel modo significava che sentiva di essere invaso dal dolore.
    Quella frase fu come una doccia gelata che mi colpì in pieno inverno, sentii quelle quattro parole risuonarmi nella testa, fino a farmela girare vorticosamente.
    Non sapevo cosa mi fosse successo, cominciai ad avvertire un forte calore che si propagò verso ogni parte del mio corpo, trattenni il respiro e chiusi gli occhi istintivamente.
    “Anche io ho bisogno di te.” – Biascicai con un filo di voce, sentendo il fiato morirmi in gola pian piano e la voce strozzarsi all’improvviso.
    “Mi manchi, Michael.”
    Quella frase scappò dalla mia bocca senza che io me ne accorgessi, sfilò via dalle mie labbra senza darmi la possibilità di trattenerla, come se quella fosse stata l’unica cosa da dire.
    Ci fu un silenzio, nessuno dei due parlò e l’atmosfera tra di noi si fece tesa e carica di tensione, tanto che temevo avesse chiuso la chiamata.
    “Puoi… puoi ripetere, per favore?” – Disse con la voce roca, facendomi percepire una scossa che si irradiò verso il mio basso ventre.
    “Mi manchi.” – Ripetei.
    “Oh… anche tu, Lisa.” – Sussurrò, parlando sottovoce e aprendo il suo cuore, lasciando interamente allo scoperto le sue emozioni.

    ***



    “Grazie per essere venuta.” – Disse Danny, osservandomi con aria grata e riconoscente.
    Avevo accettato l’invito di trascorrere una serata con lui, avevo bisogno di mettere le cose in chiaro e non potevo continuare ad ignorarlo senza scendere a patti.
    Eravamo a casa nostra, in modo da poter stare non solo tranquilli, ma anche liberi da occhi circostanti e da pressioni inutili che non avrebbero aiutato la nostra situazione.
    Eravamo seduti sul divano in pelle del salone, era sera tarda ed eravamo ricoperti da una bolla, capace di trasmetterci un’atmosfera tesa e nervosa, come se fosse appesa ad un filo in bilico.
    Ero consapevole che mi avesse trattata come un sudicio straccio, mi aveva considerata un oggetto da utilizzare e gettare via a suo piacimento, ferendo più volte i miei sentimenti.
    D’altra parte, non potevo continuare il mio silenzio nei suoi confronti, eravamo ancora marito e moglie, nonostante tutto e avremmo dovuto comportarci come tali.
    Danny mi sembrò intenzionato a mettere a posto le cose, anche se era una situazione che ebbe modo di ripetersi più volte nel corso degli anni.
    “Lisa, scusa. Mi dispiace per tutto quello che ho fatto, ti ho trascurata moltissimo e non sono stato un buon marito, lo riconosco.” – Mormorò, allungando lentamente le sue mani verso le mie poggiate sulle mie gambe, per accarezzarle.
    “Non sei stato un marito, neanche un amico. Un completo estraneo.” – Risposi freddamente, irrigidendomi a quel contatto.
    “Lo so, ti chiedo scusa.” – Disse, portando il suo braccio destro dietro la schiena e sfilando uno scatolino dalla tasca laterale dei suoi pantaloni.
    “Questo è per te, spero ti piaccia.” – Riprese, aprendo la confezione e infilando un anello d’oro nel mio dito.
    Era decorato con un piccola pietra al centro e lavorato in modo semplice e raffinato allo stesso tempo, era bellissimo.
    Non ricevevo un suo regalo dal nostro fidanzamento, i suoi occhi erano lucidi e brillavano non di cattiveria, bensì di una leggera dolcezza ed emozione che mi spinse a sorridergli.
    “Grazie, è stupendo, dico davvero.”
    Rimase in silenzio e anche io feci lo stesso, rimasi ad osservare quel gioiello che possedevo intorno al dito e mi sentii confusa, per la prima volta dopo tanto tempo.
    Sentivo che Danny era la persona che desideravo, ma non quella che volevo, erano due sensazioni in contrasto e non riuscivo a dare loro un senso, un significato.
    Era mio marito, eppure provavo disagio in sua presenza, mi sentivo completamente fuori posto e non era una positività in una coppia.
    Provavo dei sentimenti per lui, ma c’era qualcosa, una forza o una magia che li spingeva e si opponeva ad essi, come se dentro di me si fossero formate due parti contrapposte.
    “Tesoro, riproviamoci, ti prego. Sarò un uomo migliore, te lo prometto.” – Sussurrò, avvicinando maggiormente il suo corpo al mio e lasciandosi scivolare due lacrime dagli occhi.
    Non aveva mai pianto in mia presenza, non era un uomo di elevata sensibilità e quello, forse, era un aspetto che non apprezzavo molto del suo carattere.
    Non dissi niente, mi limitai a mordermi il labbro nervosamente e ad abbassare lo sguardo, sentendomi imbarazzata dal sentire suoi occhi sul mio corpo.
    Poggiò la sua mano su una mia guancia e la accarezzò piano, mi rivolse un sorriso gentile e si chinò su di me per baciarmi sulle labbra, spingendomi con il suo peso e facendomi aderire al suo corpo.
    Mi stesi sul divano e mi lasciai andare a lui, alle sue carezze che mancavano da tempo, ai suoi baci carichi di un amore intenso e alle sue parole che, seppur banali e retoriche, continuavano a stordirmi come la prima volta.
    La forza dell’opposizione continuò a farsi strada dentro di me, improvvisamente i suoi tocchi divennero estranei al mio corpo e al mio cuore, quasi da procurare un dolore interno e psicologico, un sensazione alla quale non ne conoscevo rimedio.
    Le sue mani si insinuarono sotto la stoffa del mio vestito, mi toccarono con ardore e desiderio, provocandomi dei leggeri e quasi impercettibili brividi che mi fecero chiudere gli occhi.
    Quella notte, seppur contrariamente alla mia volontà, mi lasciai andare, il corpo ebbe la meglio sulla mente e si lasciò trasportare lontano dai pensieri e dai desideri che il mio cuore possedeva.






     
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  2. BirraBlu
     
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    ciao
     
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