E.S. Endless Soul

Genere: Fantastico Rating: Rosso

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    E.S. ENDLESS SOUL



    Premessa: Sono passati circa tre anni da quando ho cominciato a scrivere la mia ultima fan fiction (open your eyes and look into your heart) e forse è anche per questo che ora per poco non mi tremano le mani nel battere i polpastrelli delle dita sulla tastiera del pc.
    Da un lato, mi ritengo soltanto una ragazza dalle umili doti di scrittura; le mie capacità e le mie conoscenze sono quelle di una studentessa media che frequenta il quinto anno di liceo… non so molto e, mi costa dirlo, non leggo molto; non perché non provi piacere, anzi, riconosco nella lettura la chiave d’accesso per mondi fantastici, che pur avendo l’impronta della nostra realtà permette a chi legge di estraniarsi da ciò che lo circonda, di accedere ad altre dimensioni e provare mille sfumature di sensazioni pur restando incollato alle pagine di un libro. È proprio a causa di questo piacere di leggere, questo “dolce naufragar nel mare della letteratura” , capace di distogliermi da tutto e da tutti per attimi interminabili, che mi trattengo dal gettarmi nella lettura. Sono veramente molto, molto lenta quando si tratta di leggere; anche se si tratta di una sola pagina, l’“immersione” è tanto piacevole dal portarmi via un mucchio di minuti e visto che sono una che va sempre di fretta, sono poche le volte in cui mi dedico ad un libro. Male, molto male! Dovrei frenarmi più spesso.
    Per quanto riguarda la scrittura, non è una dote in cui eccello, non credo proprio. Eppure ogni volta è una liberazione: posso lasciare la creatività prendere il sopravvento ed esprimere nero su bianco idee, sentimenti, emozioni… e viaggiare con esse, dentro di esse.
    Scrivere è un altro modo per evadere, assaporare mondi che sono frutto della tua creazione, che tu puoi gestire ed è fantastico potersi distaccare della realtà in questo modo, dico davvero.
    Sono anni che penso di scrivere questa fan fiction e finalmente ci sono; sarà difficile, non sarà una storia come le altre… ma spero di saperla rendere al meglio.
    Ringrazio tutti coloro che mi leggeranno e mi auguro di ricevere i vostri commenti: che siano apprezzamenti, o critiche; serviranno a “costruirmi”, non so se mi spiego…
    Con questo vi auguro una buova lettura, sperando che la storia vi piaccia. Grazie davvero!




    “UNUSUAL”


    [font=Times]
    Era primavera inoltrata, l’estate era ormai alle porte anche se nella west coast se ne avvertiva già la presenza: le spiagge iniziavano a riempirsi di bagnanti dai fisici asciutti o scolpiti, già ambrati dall’abbronzatura artificiale delle lampade ad ultravioletti. Nelle strade più frequentate di L.A. la temperatura che sfiorava già i venticinque gradi non favoriva chi si ritrovava inghiottito dalle folle, che scorrevano come fiumi irrefrenabili sui larghi marciapiedi; di sicuro sarebbe stato meglio attraversare la città in auto, con la piacevole frescura dell’aria condizionata, al riparo dal sole picchiante.
    Si stima che in tutta la provincia di Los Angeles, nel mese di Giugno, piova un giorno soltanto e la coincidenza del caso, o forse non era del tutto un caso, volle che piovesse proprio in quel giorno.
    La pioggia si riversava sulla Lincoln Limousine tamburellando sui vetri scuri, producendo un rumore piacevole, rilassante, disegnando copiosi rivoletti che scorrevano lenti lungo la carrozzeria della vettura.

    “Dolcezza, credo sia meglio che ti copra se non vuoi che ti prenda un accidente. Vuoi che faccia accendere i riscaldamenti?” Domandò Robert porgendole il suo soprabito in pelle marrone, masticando il sigaro per non farselo cadere dalla bocca.
    “Grazie Rob, ma non ce n’è bisogno: sto bene così.”
    Rispose lei, scostando la giacca impregnata dalla Private Blend Tobacco Oud, una fragranza speziata, che richiamava l’odore del tabacco aromatico.
    In realtà l’aria all’interno della limousine cominciava a farsi umida, abbastanza da pizzicarle la pelle delle gambe e degli avambracci scoperti. L’elegante tailleur salmone e le ballerine abbinate non erano adatte all’atmosfera, ma Edelweiss era fin troppo orgogliosa per accettare la cortesia propostale.
    Di rimando, l’uomo aspirò una boccata dal sigaro per poi soffiare il fumo in uno sbuffo seccato, guardandola sottecchi. “La smetterai di fare la bambina, vero?” Domandò con un ghigno, allungando la grande mano per scostarle le ciocche biondo miele dal volto ed accarezzarle la guancia.
    “Cosa pretendi? Ho trentatré anni meno di-” Le parole le morirono in bocca; gli occhi si spostarono verso il basso.
    “Avanti, dillo, dillo pure, bambina.” La esortò con un ghigno, marcando l’ultima parola proferita. Ed era vero, del resto era una bambina nei suoi confronti: correvano trentatré anni di differenza tra le date delle loro nascita; poteva essere sua figlia.
    Si erano incontrati tre anni prima ed era stato lui a farla emergere nel campo della moda, a far diventare quel suo viso fresco e candido uno dei volti più ricercati d’America.
    In breve tempo Edelweiss era diventata una sorta di mania, per lui: dal momento in cui i suoi occhi grigi l’avevano incontrata nella sede dell’O.F.S., di cui lui stesso era il dirigente, quell’uomo tutto d’un pezzo si era sentito come stregato. Il bisogno di averla accanto cresceva irrefrenabile ed aveva fatto di tutto per ottenere ciò che voleva, per tirarla al suo fianco e trattenerla finché non si sarebbe scocciato. Oh, ma di lei non se ne sarebbe mai stancato: era la sua linfa vitale; la sua presenza bastava a farlo rinvigorire e sentirsi come un ragazzino. Ah, bella trappola l’amore! Era ridicolo che un uomo della sua età corresse dietro ad una bimba capricciosa come lei, lui stesso se ne era reso conto sin da subito, ma non poteva farne a meno, era più forte di lui.
    “Oh, scusami Rob, scusami!”
    Piagnucolò gettandogli le braccia al collo. Se l’era aspettato, conosceva fin troppo bene la sua bimba capricciosa. Sorrise compiaciuto e con fare paterno le coprì il dorso con la giacca, mentre lei si accoccolava sul suo petto sospirando.
    “Quando arriveremo?”
    “Tra non molto, dolcezza; tra non molto…”


    Una volta giunti a destinazione, l’autista si affrettò a farli scendere porgendo loro un ombrello per mettersi a riparo dalla pioggia che si era fatta ancora più insistente. Da buon gentiluomo, Robert aveva lasciato che Edelweiss lo precedesse, nonostante lei sembrasse restia all’idea di smuoversi dalla limousine: sarebbe stato un gran peccato inzuppare le belle e costose ballerine che le calzavano i piedi; ne possedeva una miriade, ma il suo materialismo la rendeva decisamente troppo ligia. Poggiò un piede sul selciato consumato, poi l’altro, acquisendo maggior sicurezza nonostante la smorfia di ripugno. Quando uscì completamente dalla vettura, alzandosi in piedi, l’autista dovette allungare il braccio per alzare di più l’ombrello.
    “Da’ qua, Phil, ci penso io.” Si affrettò Robert prendendo il paracqua e chiudendo la portiera alle sue spalle, cingendo con un braccio la sua dama.
    Mentre l’autista si affrettò a rientrare nella costosa limousine, l’omone sfilò dalla tasca dei jeans scuri un mazzo di chiavi, facendolo roteare intorno all’indice destro, mentre si avviavano verso la grande struttura che si presentava alla fine del sentiero sul quale si trovavano.
    “Cosa te ne pare?” Domandò soddisfatto, inarcando le labbra all’ insù, esitando sul portone che dava l’accesso nella villa.
    “Immaginavo qualcosa del genere. Tu ed il tuo gusto per l’antico.” Ribatté sprezzante, cinica, lasciandosi sfuggire una risatina capace di renderlo impotente: abbassò gli occhi e scosse la testa ridendo divertito; l’avrebbe fatto diventar matto! Anzi, lo era già… e da un bel pezzo, ormai.
    “Entriamo, avanti.” La esortò non stando più nella pelle dalla voglia di mostrarle la loro futura reggia, dove lui immaginava di poter ricominciare una vita al suo fianco e, magari, se lei glie lo avesse concesso, di crescere dei bambini tutti loro. Sarebbe stato fantastico poter conseguire quel sogno e lui le sarebbe stato grato per tutta la vita per averlo reso l’uomo più felice del mondo.
    L’aria si fece pesante e un brivido le tracciò gelido la spina dorsale. Fu subito colta da una strana sensazione: d’improvviso la stanchezza iniziò a gravarle sulle palpebre ed, in particolar modo, sulle gambe, tanto che a stento riuscì a tenersi in piedi. Incolpò il viaggio estenuante e la lunga mattinata passata sotto i riflettori e dietro gli scatti delle macchine fotografiche; diede un colpo di tosse e si rinvigorì, sfregando le mani contro le braccia, sotto il soprabito di lui.
    “Pensa che ha più di cento anni. Gli impianti e gli elettrodomestici sono tutti d’ultima generazione, ma ho cercato di rimodernarla il meno possibile. Non vedevo l’ora di fartela vedere… c’è ancora tanto lavoro da fare, per quanto riguarda gli esterni e le altre strutture; ma la casa è terminata. Una volta chiuse le pratiche per il divorzio, ci trasferiremo qui. Che te ne pare?”
    Trasalì. Quell’uomo le aveva dato tutto e lei non poteva non essergli grata, ma l’idea di poter abitare con lui, in quella reggia di oltre cent’anni… la spaventava.
    Fino ad allora non le aveva mai parlato di compiere un passo tale. Certo, in diverse occasioni lui le aveva confessato il desiderio di volerla sposare, ma poi quei discorsi erano sempre sfumati in risate leggere; stavolta, invece, si mostrava serio e deciso, più del solito, e la cosa la spiazzava. Iniziava a rendersi conto che, al suo contrario, lui non scherzava; che forse aveva azzardato troppo nel concedersi a quell’uomo per ottenere il successo che tanto la dilettava.
    “Non mi sento molto bene, Rob. Questa giornata mi ha sfiancata.” Sospirò scuotendo le spalle, indirizzando lo sguardo verso il parquet in noce del pavimento.
    “Vuoi distenderti un po’? Ti porto qualcosa da mettere sotto i denti? Non hai toccato quasi nulla, oggi…” Ribatté con fare premuroso. Ancora una volta si era fatto da parte per preoccuparsi di lei. Povero sciocco… ma come biasimare un poveruomo, vittima di una donna fatale e degli strani schemi dell’amore?
    “No, non ti preoccupare. Mostrami una stanza e fammi dormire in pace.”
    Quella risposta lo irritò, e non poco; eppure non reagì. Si strinse nelle spalle, poi le cinse la vita e la guidò verso una delle innumerevoli stanze da letto che componevano l’enorme villa.
    Perché ti fai trattare come un cagnolino? Cosa ne è rimasto dell’uomo che sei sempre stato? Quello che non permetteva mai a nessuno di farsi mettere i piedi in testa? Quello abituato a mettere tutti sotto le sue scarpe? Quello sempre ascoltato ed obbedito? E chi è quella mocciosetta impertinente che osa portarsi in tal modo? L’unica persona al mondo in grado di sfuggirti e l’unica che ti fa esplodere il cuore con una tale forza. Povero me, ingannato dai disegni dell’amore.
    Giunsero di fronte ad un portone massiccio, al limite del corridoio del secondo piano. Robert spalancò la porta con lentezza e le luci del lampadario a candelabro si accesero automaticamente illuminando la stanza arredata da mobili scuri, che riprendevano uno stile molto antico, così come piaceva a lui. Al centro, sopra un ampio tappeto persiano, c’era un letto a baldacchino dai tendaggi color bordeaux, mentre le lenzuola erano di un grigio opaco, in contrasto con i numerosi cuscini bianchi adagiati sul materasso.
    “Se hai bisogno di rinfrescarti, la stanza da bagno è dietro quella porta. Troverai tutto ciò che ti serve. Come hai visto, le luci si attivano automaticamente quando entri nella stanza; ma puoi decidere se spegnerle o accenderle battendo le mani in questo modo. Scendo a prendere le valigie, Phil dovrebbe averle già portate dentro.” Le diede un bacio sulla fronte, poi la lasciò sola nella stanza e le luci si spensero cogliendola alla sprovvista. Alzò un sopracciglio sorpresa, poi batté le mani come le era stato indicato, ma le luci non si accesero. Provò un’altra volta, ma niente ancora.
    “Impianti di ultima generazione, eh? Vorrei sapere qual è il cane che ha provveduto ai lavori… ma ci sarà pure un interruttore, no?” Le finestre si aprirono improvvisamente ed una ventata d’aria fredda, intrisa di un aroma dolciastro, fece scostare i tendaggi del letto che produssero una sorta di fruscio. Rabbrividì, ma seppe ricomporsi in breve tempo. Ancora una volta batté le mani e le luci si accesero. “Finalmente! Quando rientrerà, glie ne dirò quattro.” E si diresse veloce verso le finestre, chiudendole con forza. Si sentiva gelare e la stanchezza si era fatta ancora più pesante sul suo esile corpo, tanto che, senza pensarci due volte, decise di abbandonarsi sul letto, cadendo immediatamente in un sonno privo di sogni; insolito per lei, che con la mente non smetteva mai di fantasticare.



    Edited by Flower.7 - 29/3/2015, 19:34
     
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    Lui è un tipo pratico e ha subito mirato al sodo, speriamo che tutto vada bene. Grazie per il bellissimo inizio Rita, attendiamo presto la continuazione
     
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    Grazie tante, Francesca!

    “LITTLE CONFIDENCES”



    “Tesoro, fattelo dire: hai proprio una brutta cera.” Commentò osservando l’amica, con un tono appena percettibile: sapeva che quegli occhi gonfi, impastati di correttore, non promettevano nulla di buono.
    “Siamo stati nella sua nuova villa…” Soffiò Edelweiss abbandonando la forchetta nel piatto, lasciando due terzi della misera cena che aveva ordinato. Aveva un nodo allo stomaco e ciò non era dato dal fatto che fosse abituata a mangiare come un uccellino.
    “E…?”
    Roteò gli occhi guardando altrove e, senza proferir parola, avvicinò il bicchiere di limonata alla bocca; sorseggiò la bevanda dalla cannuccia nera.
    “Non ho voglia di stare qui… meglio tornare a casa.”
    Sbottò. Il vetro del bicchiere tintinnò contro quello del tavolino al quale sedevano.
    “Ma Edel, hai toccato a malapena due foglie di insalata… sforzati di mandar giù qualche boccone, altrimenti rischi di svenirmi qui! E non ho intensione di portarti in braccio fino all’auto.” Ridacchiò giocherellando con una delle ciocche castane, cercando di smorzare il tono riluttante dell’amica, aspettando una sua risposta.
    “Lay, non ho fame. E ho detto di voler andare a casa.” Si alzò spazientita. In un batter d’occhio era stata in grado di cancellarle ogni traccia di sorriso dal viso.
    Che stronza. Pensò amareggiata, mentre l’altra si alzava dalla sedia con noncuranza, sistemandosi la giacca. E si chiese ancora cosa la spingesse a dar retta a quella smorfiosa che non faceva altro che calpestare tutto e tutti, come fossero delle insulse formiche, vittime delle smanie di un bimbo capriccioso, pronto ad incenerirle con la sua lente d’ingrandimento o a devastare il formicaio da un momento all’altro. Ma poi scosse la testa e come al solito si scoprì rattristata da quel pensiero velenoso. Del resto lei adorava la sua Edelweiss, conosceva tutto di lei, e sapeva che, nonostante a volte le capitasse di ostentare la sua corazza dura anche con lei, in realtà le voleva un gran bene. Qualcosa non andava, ecco perché tanta ristrettezza nei suoi modi; ma lei l’avrebbe aiutata, l’avrebbe fatta tornare a sorridere anche quella volta.

    “Ora vuoi dirmi cosa ti prende?” Sedevano sull’ampio letto della sua stanza, nel tranquillo appartamento della Beverly Boulevard. Con le mani teneva ben salde le sue spalle nude e candide, mentre gli occhi color nocciola indagavano i due laghi ghiacciati di lei.
    Scosse la testa sconsolata, interrompendo quello scambio di sguardi: quello denso di Layla ed il suo, che non avrebbe retto per altro tempo ancora. Due ciocche bionde le si gettarono dinnanzi al viso; soffiò subito per scostarle, poi prese respiro. Erano sole in quella stanza, lontane da occhi indiscreti e da orecchie da mercante, non doveva più indossare alcuna corazza; poteva farlo: poteva svuotare quel fagotto ingarbugliato, dove aveva custodito avidamente i pensieri che quasi la tormentavano da due giorni. Ma non voleva; era come se qualcosa la trattenesse. Possibile che mi vengano in mente simili sciocchezze? Cosa diamine mi sta prendendo?
    “Le ha chiesto il divorzio. Dice che vuole sposarmi e vivere con me in quella reggia del cazzo.”
    Oh, ma non era questo ad arrecarle sconforto: in quel momento non glie ne importava nulla se uno sciocco milionario si era preso la briga di lasciare moglie e figli per correre dietro la gonnella di una ragazzina, capace di manipolarlo come fosse un burattino, pretendendo di sposarla così come aveva fatto con… quante altre donne? Non le interessava: ciò che contava era che non gli sarebbe mai appartenuta; non sarebbe mai stata una di loro. E’ soltanto questione di trovare un altro stupido fantoccio in grado di farmi restare la numero uno, poi me ne sbarazzerò una volta per tutte. Povero Rob; le faceva quasi pena: del resto non doveva ringraziare altri se non lui, per aver raggiunto la vetta a cui tanto aveva aspirato; il picco che tre anni prima le era apparso quasi irraggiungibile. E lei lo aveva illuso facendolo sentire apprezzato, ammirato, adulato; ma era tutto uno sporco gioco del quale aveva imparato sin da subito a gestire le pedine.
    “Questo si che è un bel casino. Ti avevo detto di non azzardare troppo…”
    “E cosa avrei dovuto fare? Guardami, sono uno dei volti più ricercati d’America. E non sarei mai arrivata a questo punto se non fosse stato per lui.”
    Nell’azzurro glaciale delle sue iridi sfavillò una scintilla, dritta dalle pupille nere e strette. Le gote si arrossarono lievemente.
    “Ed ora cosa hai intenzione di fare?” Riuscì a sostenere l’asprezza del suo sguardo, stringendo al petto uno dei soffici cuscini che odorava di camomilla. Ne dovrebbe prendere un po’, magari smetterebbe di essere così schizzata.
    “Cosa vuoi che faccia? Aspetterò la scadenza del contratto. Ho molte porte aperte; varcherò quella giusta quando non sarò più vincolata all’O.F.S.”
    Sorrise con fare beffardo: aveva sempre le carte in pugno, lei, e la partita era tutta sua. Oh, sì, ne sarebbe uscita vincitrice.
    “Sarà un peccato non poter più lavorare con te… stai così bene con quegli abiti vecchio stile: sembri uscita da un’altra epoca.”
    Sibilò Layla con tono d’ammirazione. C’era, forse, un pizzico di tristezza nelle sue parole: l’autostima era una di quelle caratteristiche con le quali non aveva mai imparato a prendere dimestichezza, al contrario della sua amica; per questo non era in grado di valorizzarsi come doveva. In fondo non aveva nulla da invidiare: fisico snello, slanciato, con un bel seno sodo; il volto semplice, ma ricco di vitalità ed espressione grazie agli occhi magnetici e ai capelli castani dai riflessi ramati che ne facevano da cornice.
    “Stella, sarai tu a prendere il mio posto. Sei fantastica… vedrai che finiremo col farci concorrenza!”
    Il ghiaccio si era rotto. Sorrideva sincera. C’era da ammettere che, quando voleva, era brava a tirare su di morale le persone a cui teneva.
    “Oh, se ti aspetti che mi sbatta Rob per diventare Miss America, ti sbagli di grosso!” La punzecchiò divertita, gettandole il cuscino contro il viso.
    “Non è poi così male, per avere la sua età. Certo è che sui tempi lascia molto a desiderare, ma almeno ti farebbe smuovere un po’… temo stia rischiando di arrugginirti, Lay.” Ghignò divertita afferrando il morbido guanciale: sapeva bene come farla arrossire, in preda alla vergogna, e trovava la cosa decisamente spassosa.
    “Quanto siamo stronze!” Sbottò l’amica fingendosi offesa, sommersa dalle risate dell’altra. Perlomeno era riuscita a farla ridere... eppure quel momento di brio non durò molto: qualcosa la fece tornare improvvisamente seria, quasi preoccupata, avrebbe osato dire.
    “Ti dispiacerebbe dormire da me questa sera? Stanotte non sono riuscita a chiudere occhio… ed è strano, perché la sera precedente mi ero addormentata come un sasso!”
    “Io non ci trovo nulla di strano…”
    La interruppe, per continuare a punzecchiarla.
    “No, Layla; non è come pensi. È strano… Si strinse nelle spalle, mentre l’amica si era fatta seria e ora la guardava con attenzione, pronta ad ascoltarla. Era ora di disfare il fagotto.
    “Quando sono arrivata in quella casa, è stato come se quel poco d’energia che mi restava fosse stata interamente risucchiata. Rob era in fibrillazione, voleva mostrarmi tutto, ma ho preteso di andare riposarmi: una volta giunta in una delle innumerevoli stanze da letto che la villa ospita, sono crollata sul letto addormentandomi come un sasso; ma è stato un lungo, nero, noiosissimo sonno… ed era come se non fossi in grado di destarmi! Stanotte mi sentivo addirittura più stanca… eppure non sono riuscita a chiudere occhio, e… no, niente.”

    Lo sguardo era rivolto verso la parete alle spalle dell’amica, ma i suoi occhi non miravano una precisa direzione: tutt’un tratto era come spaesata, le pupille sembravano aver aperto una danza ondeggiante coi suoi pensieri.
    “Cosa, Edel? Continua…” L’invogliò l’amica, assorta dal suo racconto, alquanto preoccupata da quegli occhi impensieriti. Edelweiss scosse la testa rinvigorendosi, come per disfarsi da quei pensieri insensati; con tono freddo e spezzato disse soltanto:
    “Non mi piace quel posto, né l’atmosfera che vi regna.”
    “Sei sicura che sia solo questo, Edel?”
    Domandò con preoccupazione, mentre l’amica si spostava per scostare le lenzuola profumate ed infilarsi al di sotto di esse.
    “Sì, stai tranquilla. Ho solo bisogno di riposare… resti qui?” La sicurezza con cui le rispose parve convincerla. Sì, forse era soltanto scombussolata per via della proposta di Robert, ma se la sarebbe cavata come sempre; credeva in lei.
    Annuì con un lieve e roseo sorriso e si fece spazio nel letto, posizionando i cuscini su una delle due sponde; poi si augurarono la buona notte, e stavolta Edelweiss poté dormire sonni tranquilli.

    Spero vi piaccia :) Lasciate un commento, please

    Edited by Flower.7 - 29/3/2015, 19:36
     
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    Certamente si tratta di una scelta molto importante, speriamo bene. Grazie per il bellissimo capitolo Rita, attendiamo presto la continuazione
     
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    Grazie tante, Francesca! :D

    “WHAT A BLAST!”



    Sì, Layla ha ragione: non c’è nulla di strano in quella casa. Sarà stato qualche difetto dell’impianto elettrico, la faticosa settimana di lavoro, quella sciocca proposta di Robert… potrebbe anche essere colpa della pioggia! Ha preso alla sprovvista mezza Los Angeles… e poi io non sopporto la pioggia! Mi fa sentire di malumore ogni volta.

    Nei giorni successivi l’argomento si era presentato più volte nei loro discorsi e Layla aveva tentato di scovare ogni possibile giustificazione, pur di tranquillizzarla e di convincerla che tutto era riconducibile ad una causa concreta, razionale.
    “Credere nel paranormale, ormai, è un’usanza superata da decenni.” Le aveva detto il Venerdì successivo, cogli occhi ridenti, mentre sorseggiava il suo Millennium Cocktail.
    “Hai ragione… quanto sono stupida!” Aveva risposto lei, scuotendo la testa e ridacchiando nervosamente; ciò era forse dovuto all’effetto dell’alcool che già le scorreva nelle vene, nonostante fossero appena le dieci di sera. Aveva promesso a Robert che il giorno successivo lo avrebbe raggiunto nella sua reggia, così aveva deciso di darsi alla pazza gioia, di uscire con la sua amica per divertirsi un po’.

    “Tesoro, io starei qui fino a notte fonda… ma non mi sento più le gambe!”
    Erano le due del mattino e Layla cominciava a sentire le forze venirle meno.
    Al contrario, Edelweiss sembrava più carica che mai: in preda ad una scarica d’adrenalina, ballava a ritmo della musica assordante, che sembrava ripercorrere sempre le stesse note; il fumo, colorato dalle luci a led, le circondava il corpo imperlato di sudore.
    “Uff… ma io voglio ballare…” Biascicò accigliandosi, muovendosi con più lentezza. Poi si fermò e, con lo sguardo, seguì l’amica mentre si dirigeva verso Mattew, la guardia del corpo di Edel: un metro e novantasette di muscoli; gli occhi di ghiaccio e la carnagione chiara ne rivelavano le origini finlandesi.
    “Mattew… sono stanca. Possiamo tornare a casa?” Domandò impostando una voce vellutata, raggiungendo il suo bodyguard e precedendo Layla che le rivolse uno sguardo perplesso, trovando incredibile il modo in cui l’amica riusciva a cambiare radicalmente idea da un momento all’altro: un attimo prima sembrava non volerle dare ascolto, quasi avesse l’intenzione di ballare fino all’alba; ora si sentiva improvvisamente stanca, e domandava di tornare a casa forgiando un sorriso perverso.
    “Certamente, Miss Blinding.” Rispose prontamente il ragazzo, pronunciando il suo cognome con tono affabile. Blinding, abbagliante: non c’è cognome più azzeccato per questa ragazza. Aveva pensato osservandola attraverso le lenti scure degli occhiali da sole, con uno sguardo che sembrava in grado di poterla divorare. Sentiva il suo bassoventre iniziare ad irrigidirsi, ma doveva mantenere il controllo se non voleva rischiare il posto di lavoro. Si schiarì la voce e scosse la testa, tentando di scacciare le fantasie perverse che la sua mente stava formulando; poi le cinse la vita con un braccio e si fece largo tra la gente, seguito da Layla.


    “Ci vediamo Lunedì, Edel. Mi raccomando…” La salutò una volta scesa dall’auto, strizzando un occhio e sorridendo maliziosamente. Edelweiss rispose con un gesto della mano ed un risolino nevrotico, poi l’amica chiuse la portiera e l’auto ripartì a tutta velocità.
    “Allora, siamo rimasti soli…” Strinse il labbro inferiore tra gli incisivi e gli rivolse uno sguardo allettante. Mattew sentì il sangue ribollirgli nelle vene, mentre la temperatura si alzava di qualche grado rendendo l’atmosfera asfissiante.
    “Sì, Miss Blinding.” Deglutì osservandola, quasi fosse in grado di spogliarla con gli occhi. Le sue mani fremevano all’idea di poter stringere quel corpo esile per renderlo suo, dopo averlo privato di ogni indumento.
    “Mattew, la mia amica stava per guastarmi la serata… ma poi ho avuto una brillante idea! Ti piacerà…”
    Si propese verso il ragazzo, sussurrandogli all’orecchio. Qualsiasi cosa gli avesse detto, era bastato per farlo esplodere come dinamite: il cuore aveva preso a battergli contro il petto come un forsennato, le tempie ne seguivano il ritmo, mentre la fronte si imperlava di sudore.
    “Si-signorina Blinding, non credo sia il caso… insomma… io ho da poco questo lavoro… lei è impegnata e… e…” Furono inutili i tentativi di mantenere la ragione: Edelweiss, la quale non accettava mai contraddizioni, lo mise subito a tacere, rassicurandolo del fatto che quanto sarebbe accaduto quella notte sarebbe rimasto un loro piccolo segreto.
    “E poi… sei un così bel ragazzo… dovrai pur divertirti un po’ con una bella ragazza, no? Sarà uno sballo, vedrai!” Aveva aggiunto soffiando contro le sue labbra, avvinghiandosi al suo collo. A quel punto non era più in grado di tirarsi indietro, non voleva, non poteva: ancora una volta Edelweiss era riuscita ad ottenere ciò che desiderava. Si fiondò sulla sua bocca baciandola con tutta la passione che gli ardeva nel petto, costringendola a distendersi sui sedili in pelle dell’auto, mentre le sue mani le cingevano i fianchi con forza, facendole quasi male.
    L’auto si fermò bruscamente facendogli perdere l’equilibrio; per poco non le cadde addosso con tutto il peso.
    “Siamo arrivati.” Ridacchiò divertita dalla situazione e lo scostò per alzarsi dai sedili e scendere dall’auto.
    “Temo debba prendermi in braccio e portarmi dentro… gira tutto… non mi reggo neanche in piedi!” Aggiunse subito dopo. D’improvviso iniziò a sentire gli effetti dell’alcool: era ubriaca fradicia e le forze cominciavano a venirle meno.

    “Sei un angelo…” Aveva sussurrato senza staccargli gli occhi di dosso, sorridendogli grata, mentre lui l’adagiava sul letto della sua stanza.
    “Per te questo ed altro.” Soffiò con tono sommesso, osservandola con premura.
    Sì, forse Edelweiss aveva ragione: chi altro si sarebbe comportato come lui, lasciandosi sfuggire l’occasione di portare a letto una delle donne più desiderate d’America, quando lei stessa gli si era offerta su un piatto d’argento?
    Fece per andarsene, ma lei lo trattenne pregandolo di restare. Sì, era decisamente bevuta: Edelweiss non si sarebbe mai abbassata a tanto! Lei non pregava nessuno, semmai erano gli altri a farlo.
    Il ragazzo sembrò esitare, ma ancora una volta non riuscì a sottrarsi dalla volontà di quella donna fatale: finalmente si tolse gli occhiali scuri per adagiarli sul comò dove abbondavano le riviste di moda insieme ai trucchi e ai gioielli; un vero e proprio caos, pensò divertito snodandosi la cravatta per poi sfilarsi la giacca.
    “Ci metti ancora tanto?” Domandò indispettita, giocherellando con alcune ciocche dei suoi capelli, biondi come il miele.
    Sorrise imbarazzato e quando si voltò verso di lei restò come imbambolato.
    Cotto a puntino, pronto per essere servito in tavola! Si disse lei provando soddisfazione, mentre il ragazzo lasciava cadere la cintura sul tappeto della stanza.
    Si sdraiò al suo fianco provando impaccio; non percepiva più l’atmosfera bollente che lo aveva colto mentre tornavano a casa: vederla in quelle condizioni gli faceva provare una sensazione mista di tenerezza e di pena nei suoi confronti. Tuttavia non poteva fare a meno di ammirarla: quel viso dai grandi occhi di ghiaccio, la bocca carnosa… i suoi capelli che le ricadevano vaporosi lungo le braccia, sopra il seno… quel seno perfetto, così sodo e…
    Lo stato di contemplazione nel quale si trovava, fu interrotto dai movimenti sinuosi della sua mano, che percorrevano con facilità il suo bassoventre provocandogli inevitabilmente una scarica di piacere. Trattenne il respiro, deglutì rumorosamente, poi afferrò la sua mano: non potevano, non era giusto.
    Lo guardò in cerca di spiegazione, poi ridacchiò brevemente e si fece più vicina a lui.
    “Sei davvero un tipo strano!” Le palpebre dei suoi occhi calarono insieme al tono della voce, caldo, sensuale, un’arma invincibile; poi prese il suo volto tra le mani e lasciò che la sua lingua gli dischiudesse le labbra, inoltrandosi con prepotenza all’interno della sua bocca.
    Non posso resisterle. Per Matt era la fine; si era promesso di non spingersi oltre, ma era pur sempre un essere umano ed era comprensibile che il suo livello di resistenza fosse decisamente andato a farsi benedire. L’afferrò per la vita stretta e la posizionò sul suo corpo. Prese ad accarezzarla con smania, bramosia, fin quando le sue mani si soffermarono sul suo seno. Di risposta alle fantasie che gli balenarono in testa, la sua erezione si fece ancora più dura. Si sentiva scoppiare: doveva spogliarla al più presto e farla sua, non avrebbe resistito ancora per molto.
    “Dio…” Sibilò ritrovandosela nuda davanti ai suoi occhi, mentre si sedeva a cavalcioni sopra di lui.
    Si fiondò sul suo petto baciandolo e succhiando i capezzoli turgidi tra le labbra bollenti, compiacendosi dei sospiri di appagamento che riusciva a strapparle. In balia del piacere Edelweiss inarcò la schiena gettandosi all’indietro, sostenuta dalle mani grandi di lui, che prese a morderle i fianchi, dirigendo la sua bocca sempre più in basso, fino ad arrivare al bacino, poi all’interno coscia. Lei mugolò grevemente, graffiandogli le spalle larghe, mentre la lingua di lui si inoltrava all’interno della sua intimità per disegnare lentamente dei cerchi umidi e tiepidi intorno al clitoride.
    “Matt, Matt…” Lo chiamò irrigidendosi, incitandolo a sollevarsi.
    Il volto le era diventato bianco come un lenzuolo, la sua espressione non prometteva nulla di buono. Matt sentì un brivido gelido percorrergli, rapido, la spina dorsale: era confuso e, al contempo, spaventato: cosa stava accadendo?
    La risposta la ebbe due minuti dopo, quando si ritrovò nella stanza da bagno che comunicava con la sua camera, a tenerle i capelli mentre rimetteva, abbracciata al water.

    “Scusami ancora per la terribile nottata…” Proferì sull’uscio, mentre le luci dell’alba davano inizio al nuovo giorno. Non riusciva neanche a guardarlo in viso, ma pur di non sminuirsi rivelando il suo senso di imbarazzo, aveva impostato un tono di noncuranza. Già è troppo chiedergli scusa. Riteneva, provando fastidio.
    “Figurati. Ehm… sei sicura di voler partire da sola? Santa Barbara è distante, lo scorso viaggio è stato estenuante per te e…”
    “Ma stavolta non andrò con una pidocchiosa limousine.” Tagliò corto. “Ti sei dimenticato che siamo nel ventiduesimo secolo? E bene, raggiungerò Santa Barbara con una macchina del ventiduesimo secolo e non ci saranno viaggi estenuanti, né altre scocciature. Inserisco il pilota automatico e vado.”
    Eccola lì, tornata quella di sempre; ed ora bacchettava anche il povero Mattew che si era preoccupato per aiutarla e l’aveva assistita per tutto il tempo.
    La realtà era che non aveva accettato quanto era accaduto, la pessima figura che lei, Edelweiss Blinding, aveva fatto di fronte alla sua guardia del corpo. La cosa le dava terribilmente ai nervi e, come se non bastasse, in meno di due ore avrebbe dovuto raggiungere Robert nella sua odiosa reggia.


    Spero vi piaccia! ...vi prometto che Michael arriva presto!
    Lasciate un commentino, pls :love:

    Edited by Flower.7 - 29/3/2015, 19:52
     
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    Ragazza ma tu scrivi benissimo! Altro che modeste doti è tutto molto scorrevole e coinvolgente :tunz: grande!
    La storia mi piace molto,la protagonista è una tipetta con un carattere niente male ma staremo a vedere,sicuro ci saranno delle sorprese :shifty: :shifty: :shifty: non vedo letteralmente l'ora che continui ;) :piace:
     
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    Concordo con Effulgent, grazie per i bellissimi capitoli Rita, attendiamo presto la continuazione
     
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  8. Flower.7
     
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    :love: Oh, mamma! Eff che legge la mia fan fiction e che, per di più, si complimenta così con me!
    E’ un onore, davvero! Non immagini quanto ti stimi e quanto adori il tuo modo di scrivere… “A thousand lives” è sensazionale, qualcosa che va oltre gli schemi! Mi hai ispirata molto, Eff ed anche per questo ti ringrazio tanto

    Cara Francesca, grazie di cuore! Gentilissima come sempre
     
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    Wa :D pensavo che avessi postato,mi sono precipitata :lool: no comunque ribadisco e sottoscrivo tutto sei bravissima e non vedo l'ora che continui! Un abbraccio cara,a prestissimo spero! :piace: :piace: :piace: :congra:
     
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  10. Flower.7
     
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    Eff, così mi lusinghi troppo!
    E non sai quante volte mi è capitata la stessa cosa (precipitarmi sulla tua ff) da quando hai ripreso a scrivere :D :D
    Un abbraccio forte e grazie ancora


    “FACE TO FACE – Part one”



    “Bambina, mi sei mancata!” La accolse Robert sull’uscio di casa, facendole cenno di entrare.
    Con lieve insicurezza varcò la soglia ed entrò nell’ingresso. Perfetto, nessuna strana sensazione. Ma era presto per pensarlo: il rumore del portone che si chiudeva alle sue spalle la fece sussultare, dato che Robert stava proprio di fronte a lei, con quel sorriso smielato che aveva sfoggiato non appena l’aveva vista. Sbatté ripetutamente le palpebre e, come se fosse stata vittima di una stregoneria, si accorse che lui non era più davanti a lei. Trasalì. Il respiro si fece più affannoso ed il cuore cominciò a palpitarle nel petto, a ritmo sostenuto: era ad un passo dall’attacco di panico. Si voltò velocemente: Rob aveva ancora una mano sul pomello del portone, appena chiuso. Ok, Edelweiss. Hai semplicemente bisogno di dormire… è normale che la mente ti giochi brutti scherzi, dopo la nottata trascorsa.
    Ridacchiò nervosa, dando un colpetto contro il petto di Robert. “Avanti, lo sai che non sopporto quando mi chiami in quel modo!”
    “Oh, tesoro, ma tu sei la mia piccola bambina! Vieni qui…” Le braccia di lui le circondarono il busto, mentre le labbra calde sfiorarono quelle fredde di lei.
    “Ti senti bene? Ti vedo pallida… e sei piuttosto fredda!”
    “Sto bene, Rob… è solo che stanotte non sono riuscita a chiudere occhio. Mi mancavi te…”
    Mentì spudoratamente, guarnendo il tono con una spolverata di zucchero. I suoi occhi di ghiaccio puntarono quelli di lui, scorgendo uno sfavillo nel nero delle sue pupille. Si fiondò contro il suo petto, stringendo la camicia azzurrina impregnata del suo profumo, il solito: Private Blend Tobacco Oud.
    Detestava quel profumo, era troppo suo, eppure, al contempo, l’odore del tabacco aromatico le ricordava quello delle sigarette che sua madre fumava di nascosto, quando lei era ancora una bambina.

    Un giorno, l’aveva vista dietro uno spiraglio della porta che dava al soggiorno: si dirigeva a passo svelto verso la cucina, forse per raggiungere il retro, con una lunga asticina che terminava con una sigaretta
    Sapeva cosa fossero le sigarette: aveva visto diverse persone fumare, compreso suo padre; sua madre invece no, lei si nascondeva sempre: ci teneva che sua figlia non prendesse il vizio del fumo, e non voleva essere lei a darle “cattivo esempio”.
    La sua attenzione era stata colta da un pacchetto che sua madre aveva lasciato sbadatamente sul tavolo del soggiorno, così aveva deciso di studiare da vicino “l’oggetto misterioso” e subito scorse quattro sigarette. Afferrò il pacchetto furtivamente e sgattaiolò nella sua cameretta; seduta sul letto aveva portato il pacchetto sotto le narici e aveva ritenuto che l’odore fosse molto buono, poi, sentendo dei passi avvicinarsi alla sua stanza, era schizzata a nascondere il pacchetto nel suo “angolino segreto”.


    “Dolcezza, vuoi andare a riposare un po’?”
    “Forse è meglio di sì, Rob…”


    Non appena entrò nella stanza, la stessa stanza dove una settimana prima aveva trascorso due notti tremende ed interminabili, fu colta da una fragranza estremamente dolce, densa, che pesava nell’aria; una fragranza che quasi la nauseava e che aveva un qualcosa di familiare; non lo ricordava, in quel momento, ma aveva già sentito quell’odore una settimana prima. Sospirò e si diresse verso la finestra, tentando di aprirla, ma era bloccata. Mantieni la calma, Weiss. Pensò mordendosi il labbro inferiore: le stranezze continuavano. Avrebbe voluto scendere al piano di sotto per chiedere a Rob di aiutarla, ma la tempie cominciarono a pulsarle, forte da far male.
    “Ci mancava questo mal di testa.” Sbuffò e, dopo aver gettato le scarpe in un angolo della stanza, si distese nel letto, sotto le lenzuola odorose di pulito. Si sorprese nel percepire la sofficità del materasso: la settimana precedente le era sembrato duro come un sasso. Si sentì come coccolata e due minuti dopo stava già dormendo, rannicchiata su sé stessa.

    Era l’una del pomeriggio e Robert era uscito per fare delle compere: aveva notato che c’era qualcosa di strano nel comportamento della sua amata Edelweiss e aveva pensato di poterla rendere felice con quale stuzzichevole regalino; quindi aveva abbandonato la villa approfittando del fatto che Edel stesse dormendo, promettendosi di non tardare troppo e lasciando un avviso su uno dei comodini della sua stanza da letto.
    Le cortine di fronte alla finestra tremarono frusciando, un suono confuso rimbombò in ogni parte della stanza. L’odore dolciastro che Edelweiss aveva avvertito non appena aveva messo piede nella camera da letto, sembrava esser svanito quasi del tutto, ma ora pareva essersi fatto quasi più forte. D’improvviso, una figura comparve proprio di fronte al letto a baldacchino; i suoi colori, inizialmente fiochi ed opachi, si fecero sempre più vividi rivelando un uomo dalla carnagione chiara: alto, dalla corporatura snella, asciutta. Il viso riportava un’espressione accigliata, messa in risalto dagli occhi inverosimilmente scuri, neri come la pece. Osservava la ragazza attento; il labbro superiore copriva quello inferiore. Si avvicinò lentamente a lei, fluttuando nell’aria; salì sul letto e si mise a gattoni per fissarla in viso, mantenendo sempre la stessa espressione.
    “Svegliati!” Ordinò duro, tirando in giù le lenzuola, scoprendole le spalle. Edelweiss arricciò il naso e contorse la bocca, come per disappunto, ma non si svegliò.
    “Svegliati!”
    Di tutta risposta, la ragazza gli voltò le spalle. Lui andò su tutte le furie. Vagò per la stanza, indeciso sul da farsi, poi la vista di un cartoncino bianco, adagiato sopra il comodino alla destra del letto, lo incuriosì.


    “Ho approfittato del tuo sonnellino per uscire a fare compere. Torno presto, dolcezza.”


    Sorrise malizioso, rivolgendo uno sguardo alla ragazza dormiente. Prese il cartoncino in una mano e fece per accartocciarlo, quando fu preso da una strana sensazione: si sentì quasi rabbrividire. Gli occhi di ghiaccio della ragazza lo stavano fissando. Sparì immediatamente, o almeno così parve: rimase nella stanza senza farsi vedere.
    “È solo un sogno…” Aveva sussurrato all’orecchio di Edelweiss, che si era riaddormentata all’istante.
    Decise che si sarebbe presentato più tardi, quindi scomparve attraversando la finestra.


    Lasciate un commentino, please :love:

    Edited by Flower.7 - 29/3/2015, 20:00
     
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    :yeah: :yeah: :yeah: :yeah: :yeah: :yeah: :yeah: e così abbiamo il fantasma eh!! Immaginavo che in questa villa antica di 100 anni ci fosse qualcosa di interessante Ora però non sto più nella pelle e voglio che torni a far visita a Edel :rolleyes:
    Tutto fantastico come al solito,solo una richiesta,o un consiglio se posso:ingrandisci poco poco il font con cui posti così è più rilassante da leggere,mi sa che sono un po' cecata :laught:
    Complimentissimi :congra: :yep:
     
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    Eff, proprio non so come ringraziarti :') sono felicissima che ti piaccia! :love:
    Grazie mille del consiglio; farò come mi hai detto! :D
     
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    Grazie per lo splendido e magico capitolo Rita, attendiamo presto la continuazione
     
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    Grazie di cuore, Francesca! Gentilissima come sempre!



    “FACE TO FACE – Part two”



    Sbadigliò rumorosamente e si mise a sedere sul letto ancora intontita dal sonno. Sgranchì le gambe assopite ed inarcò la schiena. Subito dopo, fu pervasa da una strana sensazione e quel solito profumo dolciastro si insinuò nelle sue narici, quasi con prepotenza, come se qualcuno glie lo avesse posto sotto al naso.
    “Ma che diam-” Le parole le morirono in bocca, quando vide una figura proprio davanti ai piedi del letto. Provò uno spavento tale, che non riuscì a coglierne le caratteristiche nell’immediato. Voleva urlare, ma le grida le rimasero soffocate in gola: tutto ciò che le uscì dalla bocca fu un gemito strozzato. Afferrò le lenzuola, portandole davanti al volto, come se sparendo alla vista di quell’uomo avesse potuto scomparire veramente e ritrovarsi da qualche altra parte.
    “Ssh.” Fece lui, scostandole le lenzuola dal viso.
    I loro sguardi si incrociarono. Ghiaccio e buio sullo stesso percorso. La tensione era alle stelle, palpabile, rovente, come scintille fulminee pronte ad incendiare qualsiasi cosa sfiorassero al loro passaggio.
    “Chi-chi sei?” Stavolta era terribilmente spaventata, glie lo si poteva leggere negli occhi, nelle labbra increspate, nel pallore del suo viso, bianco come il latte.
    Era lui. Lo stesso uomo che aveva creduto di aver sognato poco prima.
    Lui: la causa di tutte le stranezze che le erano accadute da quando aveva messo piede in quella casa; ma questo lei non poteva ancora saperlo.
    “Sono il proprietario di questa casa.” Affermò senza toglierle gli occhi di dosso, insistente, quasi fosse capace di penetrarle l’anima con lo sguardo.
    “E’ impossibile. Il proprietario di questa casa è Robert Rooney. E vedrai come ti prenderà a calci in culo, quando scoprirà che ti sei introdotto nella sua proprietà.” Affermò sprezzante, riconquistando sicurezza, sorridendo beffarda.
    L’uomo rise fragorosamente; tanto che la sua risata echeggiò in tutta la stanza ed Edelweiss fu pervasa da un brivido gelido, che le percorse la spina dorsale dal basso all’alto; ma doveva mantenere calma, se voleva fronteggiare l’intruso a dovere.
    “Tu non hai idea…”
    “Robert!”
    “Rilassati… tanto non può sentirti nessuno.”
    Parlò mantenendo un tono pacato, forgiando un sorriso che manifestava piena sicurezza.
    La vide irrigidirsi, poi le sembrò quasi spiazzata: i suoi occhi vagavano disorientati tra le mura della stanza.
    Poteva giurare che in vita sua non aveva mai assunto un tale comportamento: si divertiva a spaventare gli amici ed i parenti coi suoi scherzi, era un esperto in materia, ma questi non avevano mai avuto uno scopo malvagio. Con lei era diverso: ma lei era un’intrusa. E lei non le piaceva affatto. Tantomeno le piaceva l’uomo che aveva acquistato il suo amato ranch, dove la sua anima continuava a persistere da ben centodieci anni. Oh, ma presto avrebbe sistemato anche lui.
    “Invece lui verrà. Robert! Robert!”

    Sorrise con malizia, soddisfatto, convinto che lei fosse l’unico essere vivente in tutta la casa. Ma si sbagliava: la sua certezza fu presto contraddetta dai passi pesanti che salivano le scale.
    Sparì all’istante, sotto gli occhi sgranati della ragazza.
    Questo è davvero troppo. Ora era più confusa ed impaurita che mai. Cosa diamine è stato?
    “Hey, dove sei sparito?!”

    La porta si spalancò facendola sussultare: Rob si presentò nella stanza respirando affannosamente, col cuore in gola e la fronte imperlata di sudore. Sentire Edel urlare tanto forte il suo nome, lo aveva allarmato; per questo si era precipitato in camera da letto.
    “Dolcezza, sono qui! Non hai letto il biglietto che ti avevo lasciato sul comodino?”
    La ragazza deglutì rumorosamente. Guardò altrove, tentando di nascondere il panico che la stava prendendo.
    “Quale biglietto?”
    “Il biglietto… Hey, si può sapere cos’hai?”
    Preoccupato, si sedette al suo fianco e le scostò una ciocca di capelli dal volto.
    “Niente… ehm!” Si schiarì la voce dando un colpo di tosse “niente. Soltanto un incubo terribile…” Rispose soltanto, scombussolata.
    Cos’altro avrebbe potuto dirgli? Che un uomo si era intrufolato nella sua stanza e poco dopo era sparito nel nulla come fosse stato un fantasma? Assurdo.
    “Edel, forse dovresti considerare l’idea di andare da un neurologo. Non ti vedo affatto bene questi giorni… non so, magari hai bisogno di prenderti una pausa dal lavoro, di concederti un po’ di relax…”
    “Sto bene, Rob. Sto bene.”
    Tagliò corto ghiacciante, ma sapeva anche lei che stava mentendo.
    Scosse la testa e prese un gran respiro: quel profumo, quel dannato profumo, non se ne era ancora andato. Era lui, lo sapeva. Difatti era lì e si godeva la scena divertito, quasi si nutrisse delle paure di lei, quasi provasse piacere nel fatto che la ragazza non potesse rivelare la verità, la ragione del timore che la scuoteva dalla testa ai piedi e che, forse, non l’avrebbe mai abbandonata.
    Sorrise soddisfatto e sparì.
     
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    Incubo o realtà? Presto lo scopriremo, grazie per l'emozionante capitolo Rita, attendiamo presto la continuazione
     
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