I'LL BE THERE - Storia di un angelo caduto

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  1. *Catwoman*
     
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    Ragazze ciao a tutte!!!
    Mi sono decisa a postare qui, in questo bel forum, questa FF realizzata da me, dopo "Il Canto del Re" in collaborazione con Ylenia Jackson.

    Non so se riuscirò a fare tutto in modo corretto perchè non ho ancora molta dimestichezza con questo tipo di impostazioni (ad esempio non riesco a utilizzare la funzione "prendi colore") però, cercherò di mettercela tutta per permettervi di leggere questa mia storia che, mi auguro, vi possa far trascorrere dei momenti di lettura piacevoli.


    Scusate ancora se la grafica non sarà molto bella ma, come vi ho detto, ho difficoltà con queste impostazioni!!!


    Mi auguro di farvi cosa gradita e mi scuso se non potrò postare sovente perchè sono impegnata.
    Spero anche di non aver sbagliato sezione perchè la mia FF è terminata e ho pensato che questa fosse la sezione giusta per postarla....... :**: .

    Comunque, bando alle ciance, BUONA LETTURA A TUTTE!!!!

    :fiore:




    "I'LL BE THERE"-Storia di un angelo caduto




    "Succede che gli Angeli
    perdano le loro ali,
    cadendo sulla Terra.
    Io ho conosciuto Michael
    ed ora so che è così".


    PREMESSA
    aprile-05






    "È passato il tempo,
    quello che sbiadisce i ricordi,
    attenua il dolore,
    dà un sospiro di sollievo
    e trasforma il sale
    di una lacrima in certezza.
    Certezza di rivederti, di rincontrarti
    laddove ogni dolore è dimenticato"




    "Ciao, Ester, come stai?"

    Mi si fermò il respiro. Erano anni che non sentivo più la sua voce, stentavo a crederci e non sapevo cosa pensare.
    Avvertivo la mano che reggeva il cellulare sudare improvvisamente; stringevo forte il telefonino per impedire che mi cadesse.

    "Papà, ciao……...-mi sforzavo di mantenere un tono del tutto indifferente-a cosa devo l'onore di questa chiamata?"-chiesi leggendo nella sua voce un forte imbarazzo.

    "Ho bisogno di te, non mi abbandonare proprio adesso…….-faticava a parlare-…………Lisa Jeane se ne è andata, io….io non so che ho fatto di male…..solo che lei…lei era uno spirito libero, mi sono svegliato e non c'era più. Aiutami Ester, mi sento così vuoto…..".

    Ecco, era successo, come immaginavo. Mio padre, 65 anni, americano di adozione, si invaghisce di una donna poco più grande di me e molla tutto: moglie e figlia, lavoro, gli amici e si trasferisce a vivere negli States in California, a Los Angeles. Quella visita al Cenacolo di Leonardo, in Santa Maria delle Grazie, cinque anni prima gli era valsa l'incontro con una turista americana, con tanto di cappello di paglia alquanto trash in testa, fotocamera digitale ultima generazione al collo e un paio di occhiali da sole, imitazione RayBan, che celavano uno sguardo accattivante da casalinga frustrata. Era così che l'aveva conosciuta, Lisa Jeane e lei, in men che non si dica, se l'era portato via. Lo aveva portato via a me e a mia madre, in un giorno di sole, di un' estate milanese.

    "Cosa vuoi?-chiesi senza trattenere una inclinazione malinconica nella voce-cosa posso fare?".

    Non so perche' domandai così, so solo che il mio cuore non riusciva a trattenere le lacrime che per anni mi avevano rigato il volto. Ogni sera.
    Lo sentivo fragile, indifeso. Era come uno dei miei pazienti, quando sdraiati sul lettino del mio studio di Corso Buenos Aires, aprono le finestre della loro anima ad una perfetta estranea e cominciano a buttare fuori i loro dolori, le loro paure, le ansie e le loro frustrazioni, rivelandomi i loro più intimi segreti e quando hanno finito di parlare, a volte, piangono, come se fossero più leggeri e non sentissero più il peso della vita che li opprime schiacciandoli sotto la quotidianità di una routine soffocante. Lo so, lo so che penserete che sia un po’ strana. Ma questo è il mio lavoro e chi fa il mio lavoro deve essere strano. Sono dottoressa in psicanalisi. Si, avete capito bene. Una di quelli che si
    caricano sulle spalle le ansie del mondo e poi se le portano a casa, rischiando di rovinarsi la vita. Come è successo a me.

    "Ester….Ester,!? Ci sei? Sei ancora lì??"- la voce di mio padre mi scosse dai miei pensieri.

    "Sii…si, papà, ci sono-risposi- dicevi?".


    "Devi venire qui, Ester! Ti prego, ho bisogno di vederti, ho bisogno di un tuo consiglio. Se non vuoi aiutarmi come figlia non ti biasimo, avresti tutte le ragioni di questo mondo ma, ti prego, fallo almeno come medico".

    Fallo almeno come medico…..; non avrei mai immaginato di sentirmelo dire dalla persona che mi ha generata. Io, di solito, posso metabolizzare le pene degli estranei, di persone che per me sono solo un nome e un cognome. Come potrei aiutare colui che dovrebbe, anzi meglio, avrebbe dovuto aiutare me, avrebbe dovuto esserci quando il secondo uomo più importante della mia vita, mi ha girato le spalle, chiudendo la porta dietro di se'?

    Un tuffo al cuore…………..ho trascorso centinaia di notti insonni a pensare a lui. Se avesse ancora i baffi, se avesse perso i capelli, se avesse ancora quel vizio di canticchiare per ore lo stesso pezzo di una stessa canzone che innervosiva mia madre. Pensavo a tutto questo e mi misi a sorridere. Forse avevo capito, avevo guardato dentro di me ed avevo capito.
    Avevo trovato la pezza per quel cuore stanco di riempire con le lacrime un vuoto tanto doloroso.

    "Cerco un volo disponibile e parto domani. Aspettami".










    CAPITOLO I

    maggio-05






    "Dannato è l'angelo mio
    Che tenta di volare,
    mai vi riesce,
    dolorosamente cade.
    L'angelo mio è condannato ad avere le ali".




    Ero lì da un mese ormai. Per fortuna la mia amica Elisa aveva provveduto a sostituirmi e ad avvisare i pazienti che mi sarei assentata per un periodo piuttosto lungo.
    La metropoli americana è grande quasi quanto un'intera regione della mia adorata Italia. Ma non importava. Riuscivo, stranamente, a sentirmi a casa. Avevo bisogno di rivederlo, di poterlo abbracciare, ancora una volta. Non c'erano più i baffi, diceva che lo ringiovanivano ma io ero convinta che stesse molto meglio così. Non parlavamo più di Lisa Jeane, ormai.
    Solo degli anni che ci avevano separato, dei nostri successi, lui come ingegnere civile, io come medico ma anche dei nostri fallimenti, di quando ci eravamo persi e avevamo capito che non potevamo perderci di nuovo. Per questo decidemmo che sarei rimasta lì. Era
    strano, avvertivo una sensazione di benessere vivendo in quella grande città, qualcosa mai provato prima come se LA fosse sempre stato il mio punto di riferimento, forse perche' sapevo che quelle immense strade trafficate, quel cielo perennemente azzurro, quel profumo di agrumi della California che aleggiava nell'aria tersa, fuori dalla città, verso le colline, erano diventati il mondo di mio padre e lui li aveva fatti suoi e li stava condividendo con me.



    "Chissà quando finirà!"- pensavo quella mattina assolata e calda, mentre attraversavo la strada principale della contea di Santa Maria.

    Avevo un appuntamento con un amico di mio padre, un certo Robert Sanger, di professione avvocato.
    Aspettavo Robert fuori dal Tribunale dove si stava svolgendo l'ennesima udienza del processo più "chiacchierato" del secolo:
    lo Stato della California vs Michael Jackson.



    Una incredibile ressa, assiepata dietro le transenne, proprio nel piccolo spiazzo adiacente l'ingresso principale, mi aveva fatta desistere dal tentativo di avvicinarmi all'edificio del Tribunale. Era veramente impressionante, il numero di persone presenti sul luogo e notai anche come fossero eterogenei fra loro, per razza e ruolo. Alcuni gridavano, altri intonavano cori, altri ancora piangevano ma, nonostante ciò, era palpabile la sensazione di trovarsi in un mondo a se': quello dei fans del Re del Pop.
    Un esercito formato da soldati agguerriti e uniti nella lotta per difendere con tutte le forze, il loro idolo.
    "Michael INNOCENT!!!!----Michael INNOCENT!!!!" era lo slogan che primeggiava su tutti.
    Guardai l'orologio: 11 e 45, quasi. Non ne potevo più, il caldo stava diventando talmente soffocante da portarsi via anche la più piccola molecola di acqua di cui il mio corpo aveva disperatamente bisogno.

    All'improvviso, un boato di voci. La folla si spostò verso la porta scorrevole dell'edificio, preceduta da uno stuolo imponente di reporter e fotografi, armati fino ai denti di telecamere, microfoni e macchine fotografiche con obbiettivi smisurati.
    Agenti di polizia e addetti alla sicurezza, si affrettavano a districare la matassa di corpi che si stava ammassando davanti al Tribunale, separandola su due file ben distinte e tenendola a debita distanza creando così, una sorta di corridoio, attraverso il quale, di lì a poco, sarebbe passato il più grande entertainer di tutti i tempi: Mr Michael Jackson.

    Ora, il mio campo visivo era letteralmente sopraffatto da quel mare di teste e quant' altro (cartelloni, striscioni, telecamere ecc)e non riuscivo nemmeno ad intravvedere la porta che, però, poco dopo, si spalancò.
    Vi uscirono, nell'ordine: quattro agenti di polizia, un numero imprecisato di body guards, disposti in cerchio al centro del quale, faceva mostra di se' un ombrello nero. A seguire, dopo alcuni secondi, un gruppetto di persone, ben vestite, con in mano delle 24h, rigorosamente nere. Eccoli, gli avvocati, difficile non notarli. La chioma bianca del loro capo era così evidente da essere inconfondibile, anche in mezzo a tutto quel can-can di gente
    che si muoveva in modo scomposto e frenetico.

    "Finalmente!!!"- esclamai a gran voce, con la piena consapevolezza che, tanto, nessuno mi avrebbe sentita.

    Dopo alcuni minuti, vidi Robert dirigersi, a fatica e zigzagando tra la folla, verso di me.

    "Ciao Ester!!!!"- mi salutò ancora ansimante per la prova di "attraversamento " della strada, senza subire danni da schiacciamento, da parte di quella marea umana che si muoveva, senza alcun controllo, nella direzione esattamente opposta alla sua.


    "Anche per oggi è finita.- disse asciugandosi con un fazzoletto la fronte imperlata di sudore- come stai, hai atteso per molto?"

    "Ciao Robert. A parte la disidratazione e un senso di confusione mentale, tutto bene, sono arrivata da appena venti, interminabili ed infuocati, minuti! Tu? Tutto ok?"

    "Diciamo di si….se consideriamo che sono la bellezza di due mesi che convivo, ogni giorno, con un climatizzatore, in quell'aula, che mi sta lentamente ma inesorabilmente,
    distruggendo la cervicale!!"-
    rispose lui con il tono ironico che lo distingueva.

    "Ma quando finirà, tutto questo?"- gli chiesi indicando, con un dito della mano, lo spettacolo mediatico che, pian piano, andava sfilando via, davanti ai nostri occhi.

    "Siamo alla stretta finale, fortunatamente. Abbiamo buonissime probabilità di spuntarla; Mr Jackson ha molta fiducia in noi e Thomas, come sempre, si è dimostrato un grande!"

    Già. Thomas A. Mesereau Jr., uno degli avvocati più in gamba della California e, probabilmente, anche uno tra i più sensibili ed umani. Avevo sentito spesso parlare di lui, ultimamente, per ovvi motivi. Stava difendendo, con il cuore, prima che con la spada, la più grande superstar del mondo, l'icona pop di fama planetaria mai esistita prima, da accuse, tanto infamanti, quanto distruttive, tali che nessuna mente umana avrebbe potuto fronteggiarle senza perdere il contatto con la realtà.

    Ma Tom, era dotato di una intelligenza e di un carisma in grado di contrastare un fiume in piena di assurde imputazioni ed illazioni che da anni, ormai, piovevano addosso, da ogni parte, all'uomo più in vista, più amato e più controverso del nostro tempo:Michael Joseph Jackson, The King of Pop.

    "Ho bisogno di parlarti- mi disse Robert-andiamo a mangiare qualcosa in un ristorantino italiano che conosco. E' a poche miglia da qui, se ci sbrighiamo saremo là in dieci minuti- continuò, mentre cercava di recuperare le chiavi della sua auto finite in un remoto angolo della tasca interna della sua giacca blu-qualcuno ha bisogno del tuo aiuto, sei una brava psicanalista e in questo momento c'è una persona che non può più fare a meno di te".


    Lo guardavo stranita, mentre camminavamo, uno di fianco all'altra, con passo veloce verso l'automobile di Robert, un SUV nero, parcheggiata a mezzo isolato da dove ci trovavamo noi.

    "Non ti anticipo niente, per ora. Aspettiamo di essere seduti davanti ad un buon piatto di spaghetti e ad un bicchiere di chianti, poi ti dirò. So quanto tu sia preparata, nel tuo lavoro e così, il nostro team legale, ha preso la decisione, di comune accordo, di contattarti dopo essere stati interpellati da una persona "speciale", che ci ha chiesto di aiutarla."

    Nel frattempo, avevo preso posto sull'auto, accanto al lato guida. Robert girò la chiave nel cruscotto e partimmo.





    CAPITOLO II
    giugno-05 - parte prima






    "Non occorre dover passare la porta del Paradiso
    per poter incontrare un angelo".





    Quel pomeriggio Robert chiamò mio padre per confermare che il giorno successivo, sarebbe passato un autista a prendermi per portarmi nella residenza di Encino della popstar, affinchè potessi incontrarlo, per accordarmi con lui riguardo le sedute di psicoanalisi.
    Si, perchè era di questo che la persona "speciale", aveva bisogno e, quella persona era proprio lui, Michael Jackson.

    Era stato assolto, Mr. Jackson, da tutti i capi d'accusa a lui ascritti.
    Thomas Mesereau e il suo team avevano, ancora una volta, fatto centro.
    Ma, Robert, mi chiese di fare qualcosa per aiutare il Re del Pop, annientato, nel corpo e nello spirito, da anni ed anni, di continui attacchi mediatici e non solo, che lo avevano visto come bersaglio.

    "Lo hanno massacrato, infangato, devastato. Gli hanno ucciso l'anima"-mi disse in quel ristorante alcune settimane prima.


    Robert era una persona sensibile, sulla sessantina, con barba e baffi non molto vistosi. Era sposato con una donna molto bella, Miranda, che si occupava di mandare avanti l'azienda del fratello venuto a mancare qualche anno prima. Anche lei era di origini italiane, venete se non erro. Conoscevano mio padre da quattro anni, da quando lo avevano contattato per la costruzione della loro villa a Beverly Hills. Diventarono buoni amici e, da allora, si frequentavano assiduamente.

    Robert veniva spesso a cena nella nostra casa alla periferia di LA. Una villetta senza troppe pretese in un quartiere tranquillo, immersa nel verde di un viale alberato.
    Solo ultimamente, non si faceva vivo troppo spesso dato che era completamente assorbito dal suo lavoro.

    Collaborava da circa due anni con Mesereau, da quando, cioè, era iniziato il procedimento giudiziario, per abusi su minore, nei confronti di Mr. Jackson.
    L'estrema sensibilità di cui era dotato, gli aveva permesso di leggere in quegli occhi scuri, il disagio dello spirito del suo cliente, così duramente provato.
    "Ci sono le vite e la serenità di tre bambini, in gioco....."- disse anche.


    "Come sta, ora che il processo si è concluso per il meglio?-chiesi con l'intenzione di sondare in profondità la sofferenza di Mr. Jackson; volevo sapere cosa mi sarei dovuta aspettare.

    "Sono stato due giorni fà nella residenza di Encino. Dovevamo fargli firmare dei documenti, sai, solita prassi burocratica, verbali ecc. ecc.
    Portava un paio di occhiali scuri, da sole suppongo, dato che per scrivere li ha sostituiti con occhiali da vista.
    Ho guardato i suoi occhi, in quel momento e, non sono riuscito a vedere la luce della sua anima..........
    Quando siamo andati via, si è seduto su di una poltrona di pelle marrone, nel salone di ricevimento degli ospiti e ha ripreso a leggere la Bibbia."


    "Grazie, Robert. Credo che il mio lavoro non sarà molto facile. Avrò bisogno di tempo.
    Devo ricostruire una vita. La sua vita."
    -sospirai.

    Queste rivelazioni, mi avevano fatto tremare il cuore.

    "Come si può- pensai- essere tanto malvagi da distruggere così un uomo?".

    Michael Jackson era stato vittima di una serie di cattiverie indescrivibili, perpetrate negli anni in modo talmente subdolo e meschino da provocargli ferite profonde come piaghe che nemmeno l'amore dei suoi figli, le persone più importanti della sua vita, avrebbe potuto sanare.


    Adesso toccava a me, cercare di medicare le ferite di una mente troppo a lungo pressata e di un'anima che sopportava da tempo, un'agonia insostenibile per chiunque.
    Michael Jackson soffriva; soffriva di un "male di vivere" contro il quale, nessun essere umano al mondo, dovrebbe mai trovarsi a lottare.





    giugno-05 - parte seconda






    "Ma l’uomo, l’uomo orgoglioso, ammantato d’una breve autorità,
    sommamente ignorante di ciò di cui si crede più sicuro,
    nella sua essenza fragile, come uno scimmione collerico,
    compie tali trucchi fantastici, al cospetto dell’alto cielo,
    che gli angeli piangono."



    Erano appena passate le dieci quando arrivammo davanti ad un grande cancello. L'autista premette sul telecomando ed entrammo a bordo di una Limousin color avorio.
    Mi guardavo intorno e vedevo un immenso giardino, con moltissimi fiori di ogni tipo, piante ed una fontana.
    Sembrava di essere in un Paradiso, al quale io non ero abituata.

    Avevo visto più volte, in televisione, sia la residenza di Encino che il Neverland Ranch, dove Mr. Jackson, dopo il processo, si era rifiutato categoricamente di fare ritorno. Non sopportava, mi disse Robert, di pensare alla sua dimora "violata" dall'intrusione di 70 uomini delle forze dell'ordine, che la perquisirono da cima a fondo per cercare qualche straccio di prova che lo inchiodasse alle sue responsabilità, che lo facesse marcire in una cella per più di 50 anni.


    Questo mi disse Robert, parlandomi delle "trame" bieche e disoneste, ordite dal Procuratore Thomas Sneddon. Si, perchè se fosse stato giudicato colpevole e avessero conferito il massimo della pena per ogni reato ascritto, questo sarebbe stato ciò che lo aspettava.

    Invece, Michael Jackson era innocente. Pulito, come un fanciullo e questo Mesereau e i suoi collaboratori, lo avevano capito subito.
    Avrebbero difeso l'uomo, in quell'aula di Tribunale, prima ancora che la celebrità, dimostrato la sua innocenza e avrebbero vinto. Così fu.



    Entrammo in casa (o dovrei dire a palazzo!), salimmo una scala in marmo.
    Non avevo mai visto Mr Jackson dal vivo, perche' quando venne in Italia per i concerti, io ero ancora sposata e il mio ex marito, non amava quel genere di musica anzi, non amava proprio la musica.
    Un signore molto gentile, probabilmente faceva parte della "security", mi invitò ad oltrepassare la soglia di una porta ma non mi seguì e la richiuse dietro di me.


    C'era una luce intensa, quel giorno, che entrava dalla finestra di un ampio studio, molto ben arredato.
    Scrivania in legno, credo fosse mogano, dietro la quale trovava posto una sedia Luigi XVI, un tavolino con una lampada "Tiffany" in stile liberty.
    Sulla parete opposta, facevano mostra di se', un numero considerevole di quadri, vere e proprie opere d'arte.
    Alcuni ritraevano Mr. Jackson, rigorosamente in abiti regali.
    Al centro della stanza, sul pavimento di legno, un bellissimo tappeto pakistano le cui trame intrecciate davano vita alle immagini di due pavoni dal piumaggio sgargiante, che sembravano volteggiare in una sensuale danza di corteggiamento.
    Sulla sinistra della porta d'ingresso, poggiato al muro, notai un divano stile impero, foderato in velluto carminio di fianco al quale si trovava una libreria colma di tomi ricoperti in pelle marrone dal "sapore" antico.
    Un quadro molto grande, invece, era posto sulla parete dietro la scrivania.
    Un ritratto, a grandezza naturale, della popstar, nei panni di …….un angelo
    .




    "Se cerchi gli angeli
    non guardare molto lontano..
    ...essi non sono distanti...
    ...ma sono qui, vicino a noi..
    ...vestono i nostri abiti...
    ...sorridono con il nostro volto..
    ...vivono in noi."



    "Buon giorno, dottoressa Baldini!"- disse l'uomo di spalle davanti alla finestra, voltandosi piano verso di me.

    Aveva una voce suadente, molto sottile, leggermente androgina, i capelli nero corvino, perfettamente lisci, lunghi sino alle spalle, ben pettinati. Indossava una camicia rossa, con le maniche arrotolate appena sotto i gomiti, pantaloni neri, curiosamente troppo corti ma la cosa che mi colpì, più di tutte, fu quella luce….no, non quella che entrava dalla finestra bensì quella luce che egli aveva negli occhi, profondi e scuri, come la notte.

    Ecco, qualcosa pareva sfuggirmi…..ebbi come la sensazione che, dietro a quella luce, vi fosse un buio impenetrabile.
    Quelli non erano gli occhi di un uomo felice.


    Gli sorrisi e risposi:
    "Piacere, Mr. Jackson"- allungando la mano per stringere la sua, senza mai perdere il
    contatto con quello sguardo che mi appariva sempre più fuggente, etereo.

    "Ha fatto un buon viaggio?"- domandò con un certo imbarazzo nella voce, mentre abbassando lo sguardo, si osservava le dita della mano destra.

    La guardai in quel momento e notai che sia la mano che le dita, erano gonfie; se ne accorse.


    "Oh, questa? Siii……..artrite. Ce l'ho da alcuni anni, a volte mi da delle noie ma per adesso riesco a controllarla abbastanza bene. Lei, piuttosto, come sta?………Oh, mio Dio, che stupido sono, è lei il medico!!!!"- sogghignò simpaticamente, arrossendo leggermente in volto.

    Avevo come l'impressione che la mia presenza lo imbarazzasse oltre modo.
    Sembrava un bambino davanti alla nuova maestra, il primo giorno di scuola.
    Pareva essere l'esile ombra di sè stesso, un Peter Pan, come egli era solito definirsi, che non poteva più volare.





    "Un Angelo può illuminare il pensiero e la mente dell'uomo
    rafforzando il potere della visione e
    mettendo alla sua portata un po' della verità
    che l'Angelo stesso contempla."





    Era indubbiamente molto provato dall'esperienza dalla quale era appena "tornato"; un viaggio in uno dei peggiori incubi che un essere umano possa fare.
    Un viaggio nella paura, quella vera, che ti entra dentro, ti possiede, scava nella tua mente, ti fa desiderare il risveglio, quella che ti assale la notte, costantemente, quella che ti chiude le porte sul mondo, butta la chiave e spegne la luce degli occhi, quella che ti deride, anche, e lo fa perche' sa perfettamente..... che sei solo.

    Ecco, cosa ero riuscita a vedere in quei pochi minuti che sembravano infiniti.
    La solitudine, nei suoi occhi, intorno a lui, in quella stanza; la solitudine e la paura, quella che non passa, che non riesce a uscire, radicata da anni sotto la pelle, fin dentro l'anima.

    Avevo visto e avevo compreso che dovevo aiutarlo ad aprire le finestre del suo cuore "malato", permettere al suo dolore di uscire, per guarire quel "male di vivere" che lo stava uccidendo.
    Insomma, dovevo aiutarlo a "tornare indietro".


    So cosa state pensando, che forse la mia è stata una diagnosi affrettata.
    Ma vi assicuro che, in tutti questi anni, mi sono abituata a vedere il volto della morte, quella dell'anima e fu ciò che i suoi occhi mi mostrarono, quel 25 giugno del 2005.






    Capitolo III
    giugno - 05







    "Dunque serba nel tuo cuore la pietà,
    per non scacciare un angelo dalla tua porta".







    "Ho bisogno del suo aiuto, Ester……..la prego, non posso continuare così, non dormo la notte, non riesco a mangiare ma la cosa che mi ferisce di più è dover rispondere ai miei figli che papà è stanco e non se la sente di giocare con loro.
    Mi aiuti, ho bisogno di lei, ho bisogno di rivedere la luce del sole, di sentire che qualcuno mi vede per quello che sono e non solo per ciò che rappresento.
    Ho bisogno di sentirmi amato.....ed ho paura…… paura di restare nella prigione dalla quale non mi sono mai mosso.
    La mia vita............una prigione senza finestre, senza sbarre, senza soffitto, senza pareti, dove mi è impossibile persino aggrapparmi ai ricordi perche', anche loro, sono le mie paure".

    Così mi disse, Mr. Jackson, mentre le lacrime gli rigavano il volto, quando lo ascoltai,
    alla prima seduta di psicanalisi, sdraiato sul lettino del mio studio, nella villetta di mio padre,
    a Los Angeles, due giorni dopo il nostro primo incontro.


    Mi ero sempre chiesta, durante gli anni della specializzazione, come possa la mente umana
    affrontare e reagire alle avversità.

    Ne dedussi che, probabilmente, nella profondità della coscienza, vi è la consapevolezza
    che ogni giorno della nostra vita potrebbe essere l'ultimo e che, quindi,
    si debba lottare per renderlo il più accettabile possibile.

    Michael Jackson, questa consapevolezza, non la possedeva.
    Era come "svuotato"; per lui, ogni giorno, era già l'ultimo.






    "Non possiamo mai giudicare le vite degli altri,
    perchè ogni persona conosce solo il suo dolore e le sue rinunce.
    Una cosa è sentire di essere sul giusto cammino,
    ma un’altra è pensare che il tuo sia l’unico cammino."






    Così lo condussi a ritroso nel tempo per rendergli una parte di coscienza di sè e per cercare
    di fargli ritrovare un senso di appartenenza alla vita.

    Ma, ben presto, mi resi conto che lui, Michael Jackson, una vita vera, non l'aveva mai avuta.

    Egli aveva vissuto, sin dalla più tenera età, nel corpo di un altro;
    quel corpo che sarebbe poi diventato la sua prigione, la sua gabbia dorata.

    Un personaggio, che trascorreva la sua vita sui palcoscenici del mondo intero, che veniva osannato
    da folle urlanti e da ragazzine isteriche, che faceva, nel bene e nel male,
    parlare di sè e che faceva credere all'uomo-bambino,
    che viveva dentro di lui, di essere al centro dell'attenzione, di essere amato
    .

    Ma la realtà era ben diversa.
    L'alter ego del Re del Pop, stava soffrendo. Di solitudine.

    Malgrado avesse visto e avuto tutto ciò che qualsiasi persona possa desiderare,
    grazie all'immagine che lo "rivestiva", in mezzo a milioni di persone, era solo.

    Ero riuscita a sentire che, da dietro quella facciata così tanto idolatrata, quanto discussa e controversa, da dietro quel volto, così tanto mutato negli anni, adeguato alla richiesta sempre più ossessiva di un'immagine perfetta, qualcuno stava gridando aiuto; un grido che riusciva ad emergere
    da quella ostinata oscurità, attraverso un gesto, un atteggiamento, una parola, uno sguardo, una lacrima.


    "Dottoressa?"

    "Si, Mr. Jackson
    ?"

    "Vorrei che io e lei, Ester..... ecco.......preferirei che ci chiamassimo per nome e ci dessimo del tu, come due vecchi amici.......oddio, mi scusi! Spero di non averla offesa....."- mi disse con un tono di voce pacato ma colmo d'imbarazzo, mentre si preparava per uscire dallo studio.

    Aveva pronunciato quelle parole senza guardarmi; nel frattempo, dopo averlo recuperato dall'appendiabiti, si stava mettendo il cappello.

    "Se per te va bene, Michael, io sono d'accordo"- risposi con tono amichevole, annuendo col capo.

    "Grazie, davvero, Ester! - mi disse alzando una mano aperta e sorridendomi, sollevato.

    Mi avvicinai a lui, porgendogli la mano per salutarlo; egli la prese tra le sue con una spontaneità disarmante, mi attirò a sè e mi diede un bacio, sfiorandomi appena le labbra.

    Riuscii ad avvertire un intenso calore che mi attraversava il corpo.

    "Ciao, Ester...... ci vediamo la prossima settimana.........."- mi sussurrò all'orecchio.

    Rimasi di sale, ma sentii una sorta di sfarfallio impazzito, invadermi il cuore. Non capivo il perchè.

    Era come se qualcosa si fosse risvegliato, improvvisamente, dentro di me.

    Ero felice, di nuovo, dopo anni; finalmente, ero felice e, per la prima volta, avevo visto nei suoi occhi,
    mentre mi baciava, un raggio di luce.

    Uscì dal mio studio e si diresse verso la porta che dava nel vialetto sul retro, dove lo attendeva,
    con in mano un ombrello nero, un uomo della sicurezza.

    Salirono sulla vettura blu parcheggiata al bordo del marciapiedi e si allontanarono lungo il viale alberato.


    Rientrai in casa, mi sedetti sulla poltroncina in nabuk dell'ingresso e ..............sorrisi.




    "I tuoi occhi mi dicono cose
    che neanche mille libri potrebbero dire."




    Compresi, dal suo sguardo, che Michael stava cercando un rifugio dalle sue ansie, dalle sue paure,
    dalla solitudine celata dietro una vita trascorsa sotto i riflettori di tutto il mondo , nascosta dall' immagine
    di un personaggio iconico, che gli regalava il miraggio di vincere tutte le paure e le ansie che aveva dentro l'anima.

    Ricercava una sorta di "nido" dove sentirsi al sicuro, dove riposarsi, dove trovare conforto, dove tornare, finalmente, ad essere sè stesso e capii che quel rifugio, ero io.






    Capitolo IV
    luglio - 05










    "L'ansia è sempre un vuoto che si genera
    tra il modo in cui le cose sono e il modo in cui pensiamo
    che dovrebbero essere; è qualcosa che si colloca tra il reale e l'irreale".





    Mi svegliai improvvisamente.
    La sveglia sul mio comodino mi aveva dato forfèe.....


    "Maledizione!! Nooooo, l'appuntamento con Michael!!!
    Oddio devo sbrigarmi, devo precipitarmi ad Encino....
    ....accidenti che penserà di me????" -
    ero completamente fuori controllo.

    "Avrei dovuto essere là mezz'ora fà!! E adesso che faccio????



    Mi catapultai in bagno, dopo aver centrato in pieno, col gomito destro,
    lo stipite della porta e aver recitato un rosario non proprio in linea con lo standard del Vaticano;
    mi infilai la prima gonna che trovai, mi lavai, stile gatto imbalsamato, denti e faccia,
    aprii il cassetto del comò, vi introdussi la mano come se avessi dovuto estrarre la pallina
    del Superenalotto e indossai la prima t-shirt che riuscii a pescare nel marasma delle maglie estive .........

    "Nooooo, porca siberia!!! E' a rovescio!! Ahhhhhhh........!!!" - gridai quasi emettendo un grugnito.

    La rivoltai in un nanosecondo mentre mi dirigevo, come una tarantolata,
    verso lo sgabuzzino dove tenevo le scarpe.

    Sudavo. Sbuffavo come un mantice....

    Credo di avere avuto una frequenza cardiaca da pilota di F1.........

    Infilai i sandali neri con la zeppa e afferrai la borsa appesa all'attaccapanni
    accanto alla porta d' ingresso.

    Ovviamente, il cinturino del sandalo sinistro scese, facendomi quasi perdere la scarpa.......

    "Lo sapevo che avrei dovuto stringerlo di un buco, alla faccia dell'Emmenthal!
    PERCHE' non l'ho fatto ieri???"
    - pensai.


    Aprii la porta e mi ritrovai, sconvolta, sul vialetto lastricato in mattonelle autobloccanti, del giardino sul retro........

    Sospirai con un affanno da maratona di New York sotto un sole cocente,
    con 40 gradi e un tasso di umidità del 90%............


    "Ciao Ester! Tutto ok??"


    "OOOHHH, m i o d d i o...!!!............. Michael?!"


    "Si, sono io! Che succede, non sei contenta di vedermi??
    Quando mi hanno detto che non eri ancora arrivata, ho deciso
    di farti una sorpresa e così mi sono fatto accompagnare
    da uno dei miei autisti. Pensavo ti avrebbe fatto piacere.........."



    "Eeehhh??? Oh .......ehm, beh..... siii, ovvio!!
    Oooohhh ecco io.....io ...la sveglia!
    Non ha suonato...... ecco."


    Farfugliai come un' alcolizzata cronica, con la gamba sinistra
    piegata a mo' di trampoliere, mentre tentavo di far stare al suo posto
    quel maledetto cinturino, con una sola mano, saltellando
    come una molla, su un piede solo, per non perdere l'equilibrio.


    "Sei bellissima, Ester.....".


    "Ahahah! Miopia ingravescente....!!" - pensai, sarcastica.


    Ma la sua voce dolce e pacata, mi entrò sotto la pelle, prima che nelle orecchie e mi bloccai.

    Abbassai la gamba poggiando il piede sul lastricato e riacquistando stabilità.
    Il tutto al rallentatore.


    L'imbarazzo era al top.
    Credo di avere avuto un colore in viso paragonabile a quello di chi esce dal centro estetico
    dopo una permanenza di sei ore, sotto la lampada UVA........

    Sollevai la testa e lo vidi.
    Lì, davanti a me, con un sorriso da togliere il fiato, (non che ne avessi tanto in quel momento....).

    Aveva un paio di occhiali con le lenti scure ma io riuscivo ugualmente ad immaginare i suoi occhi,
    pieni di tenerezza e comprensione.

    Si avvicinò lentamente e, scostandomi una ciocca di capelli che mi era piombata proprio di traverso su un lato della faccia, tipo capitan Harlock, per intenderci, mi rassicurò.

    "Stai calma, ora sono qui.
    Non preoccuparti, non devi più correre.
    Non credi???"


    Annuii, rassegnata. Avevo fatto la mia "bella magra".......e non parlo della carne in scatola........







    "…E quando le nostre labbra si incontrarono,
    fui certa che avrei potuto vivere cent’anni
    e visitare tutti i paesi del mondo,
    ma che niente avrebbe eguagliato
    l’intensità di quell’istante…"






    Non so perchè ma lui aveva una voce in grado di placare i cuori più agitati e in subbuglio del pianeta.

    Riusciva ad infondere una tranquillità simile a quella che ti invade l'anima quando ti fermi a contemplare
    un tramonto rosso o quando hai la fortuna di assistere allo spettacolo di un'aurora boreale.

    Michael era così.
    Era il mio sostegno dell'anima.
    Lui, un'anima tormentata, riusciva con la sua voce a regalare la pace ad un cuore in burrasca..........

    Cosa sentivo? Non saprei definirlo, sinceramente.

    Una serie di emozioni, sensazioni, ogni tipo di reazione chimica, di quelle che ti rivoltano come un guanto
    e ti fanno dimenticare il significato della parola autocontrollo.

    Così lo abbracciai cingendogli i fianchi e accostai la mia bocca alle sue labbra.

    Mi strinse forte e sentii il calore umido della sua lingua mentre, insieme alla mia, iniziava una danza, lenta e costante, che mi trasportò in mondi fantastici dove la mia mente non aveva mai viaggiato.

    Quel bacio aveva riportato alla vita, un sentimento che credevo sopito per sempre.
    Michael, mi aveva trasmesso la sua forza interiore. La sua voglia di vivere.
    Io avevo sentito finalmente la sua anima, avevo sentito di quanto amore fosse capace.

    Ci guardammo a lungo negli occhi senza parlare.
    Mi mise un braccio attorno alla vita ed entrammo in casa.







    "La musica è nel Dna,
    la musica è nel mio Dna,
    rido, piango, sogno, amo,
    respiro con le note.
    La musica è il mio sangue.
    Le note sono le vene che la trasportano".





    Quel giorno, durante la solita seduta, che avrebbe dovuto tenersi a Encino, nella sua casa, mi raccontò
    delle sensazioni che riusciva a provare attraverso la cosa che più di tutte gli aveva regalato parentesi di intensa gioia:
    la musica.


    "Non potrei vivere senza musica. Sono nato con lei, sono cresciuto con lei.
    La sento dentro di me. E' parte di me, è la mia linfa vitale.
    Quando salgo su un palco, riesco a sentire la vita pervadermi.
    Quando sento la gente cantare con me, li vedo ballare, sono felice.
    Non potrei mai rinunciare a tutto questo. MAI."




    Ma dove lo aveva condotto, la musica???


    Su un percorso colmo di insidie; lo aveva allontanato, sempre di più,
    dalla sua anima, costringendolo ad una vita che non aveva nulla di normale,
    esponendolo alla critica del mondo, alle accuse, alle derisioni,
    all'azione lenta e devastante delle falsità, degli scandali.


    Lo aveva reso schiavo di un personaggio leggendario che lo stava lentamente soffocando.
    Lo aveva spinto, inesorabilmente, dentro una gabbia di solitudine totale.

    Era circondato da decine e decine di persone , Michael.
    Amici, parenti, conoscenti, collaboratori, consiglieri, domestici,
    celebrità del mondo dello spettacolo ed esponenti importanti
    dell'industria discografica, avvocati, artisti di ogni tipo,
    managers e chi più ne ha più ne metta.


    Tutti pronti ad allungare una mano; non per impedirgli di sprofondare
    in un baratro senza ritorno, ma per nutrirsi della stessa linfa che gli dava la vita.

    Era solo, nonostante tutto.







    Carissime ora vi saluto e vi mando tanti tanti baci!!!
    Se ce la faccio, domani posto ancora qualche capitolo.

    VI VOGLIO TANTO BENE e grazie per la vostra pazienza!!! :--:




    PS Preferite che scriva più in grande o va bene così?

    Edited by *Catwoman* - 28/12/2010, 22:31
     
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  2. °Alexandra°
     
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    CITAZIONE
    PS Preferite che scriva più in grande o va bene così?

    Ti ho modificato la parte iniziale e la parte finale del post proprio per farla divenire leggermente più discreta.
    In questo modo diamo risalto alla Fan Fiction ;)
    Questa grandezza di carattere comunque va bene per la FF sisi,ma per quanto riguarda le tue annotazioni sarebbe preferibile se le facessi come le ho modifcate io per i motivi di cui sopra. :si:
    L'ho riletta per i primi capitoli e lo sai..questa storia mi piace molto
    appena ho tempo la recupero tutta ^_^
     
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  3. *Catwoman*
     
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    Ale, grazie di cuore!!!!

    Credo che domani posterò altri capitoli.

    Sono contenta di essere approdata qui, siete tutte meravigliose!!! :kiss2:

    Edited by *Catwoman* - 10/11/2010, 18:59
     
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  4. *Catwoman*
     
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    Oggi ho un pò di tempo così posso postare altri capitoli! :--:




    Capitolo V
    agosto - 05






    "Uniti dalla passione
    ma divisi dal destino".



    Lo vidi, per caso, ai grandi magazzini del centro, quel pomeriggio.

    Ero andata ad acquistare un orologio per mio padre che avrebbe compiuto gli anni proprio due giorni dopo. Settanta, era indubbiamente un bel traguardo e soprattutto avrebbero segnato l'inizio di una nuova vita. Si perchè, da lì a qualche tempo, sarebbe andato in pensione, finalmente.

    Quel mese sapevo che anche Michael festeggiava il compleanno, coi suoi bambini e la sua famiglia, nella residenza di Encino. Compiva quarantasette anni, nove più di me.

    Ero intenta a curiosare fuori dalla vetrina di un negozio di calzature quando, improvvisamente, sentii uno strano vocìo crescente, intorno a me.

    Mi voltai d'istinto e vidi un gruppetto di persone indicare in direzione del corridoio adiacente agli ascensori.

    Volsi lo sguardo dal lato opposto a dove stavo guardando e lo vidi, Michael, in fondo al corridoio, circondato da quattro "gorilla" di colore con le teste rasate, vestiti di scuro.

    Era bellissimo, come sempre.
    Indossava un completo bianco.

    Aveva la giacca aperta e potevo vedere un elegante panciotto candido, finemente damascato, sotto il quale faceva mostra di sè una catenella d'oro, intorno alla vita, sui pantaloni. Portava una fascia dorata al braccio destro. Gli occhiali da sole.

    Dietro di loro, uno stuolo di ragazzini, li seguiva a distanza ravvicinata, ridacchiando stupidamente. Alcuni avevano in mano un foglio e una biro.

    Michael fece cenno ai suoi bodyguards di fermarsi. Si voltò sorridendo e cominciò a rilasciare autografi al gruppetto di adolescenti che lo avevano tallonato per tutto il percorso.

    "Ciao!! Vi voglio bene! - diceva mentre restituiva i fogli firmati agli increduli inseguitori - e che Dio vi benedica!! Pace e amore a tutti voi!"

    Sorrideva....
    La mano alzata, l'indice e il medio aperti a formare il segno della vittoria. Riprese a
    camminare, sempre circondato dagli uomini della sicurezza.

    Ero sotto shock.

    Avevo visto, per la prima volta coi miei occhi, il Re del Pop.
    Non quello che conoscevo io, non Michael Jackson, ma ciò che egli rappresentava.

    Avevo provato una sensazione di impotenza che mi impediva persino di muovermi. Avevo visto quello che non avrei mai voluto vedere.

    Il personaggio che emergeva, prepotente, spingendo sempre più giù, verso un buio senza fine, la vera essenza di Michael; quel Michael che, pochi giorni prima, mi aveva supplicato, tra le lacrime, di liberarlo da una prigione che gli stava uccidendo l'anima.
    Pensai che fosse un ipocrita. Questo pensai, piena di rancore e di rabbia.

    Mi voltai verso la vetrina del negozio di calzature e attesi, piangendo in silenzio, che il piccolo corteo con al centro la "leggenda" vestita di bianco, sfilasse alle mie spalle.

    Tenni la testa bassa, asciugai il viso e mi diressi dalla parte opposta alla loro, guadagnando l'uscita...........






    "L'amore più bello è quello che risveglia l'anima
    e che ci fa desiderare di arrivare più in alto,
    è quello che incendia il nostro cuore
    e che porta la pace nella nostra mente."




    La settimana sucessiva , al martedì, lo attendevo nel mio studio per un'altra seduta.
    Non lo vidi arrivare. Cominciai a preoccuparmi, così telefonai ad Encino.

    Una voce di donna mi rispose al telefono, dedussi che fosse la tata dei bambini, la signorina Grace.

    "Mr Jackson è uscito, questa mattina, molto presto, non ha lasciato detto dove sarebbe andato. Mi spiace."-riagganciò seccata, come se fosse all'oscuro di tutto e mi stesse trattando, più o meno, come una qualsiasi telefonista di call-center, che chiamava con l'intento di "piazzare" una batteria di pentole.

    Quel giorno non uscii di casa, nella speranza che, prima o poi, avrei sentito il campanello della porta sul retro o, almeno, il telefono squillare.


    Mio padre non sarebbe rientrato, era ospite a casa di Robert per definire alcuni dettagli burocratici riguardo la sua villa, stime catastali ecc.
    Questioni alquanto noiose, insomma ed il giorno sucessivo sarebbero andati insieme all'aeroporto per accompagnare Miranda che partiva per un viaggio di lavoro.

    Erano le sette di sera, quando la mia intuizione si rivelò fondata.
    Il campanello suonò e il mio cuore iniziò a galoppare. Aprii la porta, con calma senza tradire alcuna emozione.

    "Ciao, Ester.....scusa il ritardo, ho dovuto incontrare delle persone, sai, affari......
    Posso entrare??
    Ah, a proposito, queste sono per te!"-
    disse porgendomi un fascio di rose bianche che teneva nascosto, dietro la schiena.

    Abbassai lo sguardo su quei fiori dal profumo intenso ed inebriante.
    Lo ringraziai con un sorriso forzato.

    Ero stata veramente molto male, quella settimana. Era come se mi rendessi conto che non avrei potuto far niente per salvarlo, per dargli, almeno in parte, quella vita vera di cui aveva un disperato bisogno.

    Viveva per l'apparenza, per adeguarsi alle esigenze del mondo, dello show-business, dell'essere una celebrità. Era costretto a dover mantenere un personaggio, un'immagine, sempre al primo posto.


    Come se lui esistesse in funzione di come appariva.
    Lo guardavo e lo vedevo vulnerabile e arrendevole. Sentivo di amarlo; sentivo la necessità di trovarlo, dietro quella facciata, e di proteggerlo con la forza di un sentimento che cresceva, sempre più forte, dentro di me.






    "Volo tra le parole pronunciate dal tuo estro,
    mi immergo tra le melodie del tuo amore,
    sei la linfa che fa germogliare le mie giornate
    e con la luce tenue dei tuoi sguardi segni il mio cammino.
    Al calar della sera mi avvolgo tra le
    braccia tue,e l'ultima stella immota nel cielo
    la spengo col tuo respiro, prima che il tuo bacio
    accenda il fuoco della mia passione."





    Non ebbi quasi il tempo di posare le rose sul tavolino dell'ingresso che Michael mi strinse in un abbraccio, attirandomi a sè.

    Mi baciò con trasporto, come solo lui sapeva fare ed io......... mi sciolsi........dimenticando tutto. Mi spinse dolcemente all'indietro, poggiandomi le mani sulle spalle e mi fece oltrepassare la soglia.
    Chiuse la porta con decisione, senza smettere di baciarmi.

    Staccò lentamente la sua bocca dalla mia non senza aver assaporato, un' ultima volta, la mia lingua stringendola dolcemente ma con fervore tra le sue labbra, succhiando piano.
    Si tolse gli occhiali e li lasciò cadere sul pavimento.

    Eravamo completamente ebbri dopo quel bacio infuocato.

    Sentivo il suo respiro sul mio collo, le sue mani insinuarsi lente ed esperte, sotto la mia maglia.

    Il mio corpo rispose celere a quel richiamo appassionato. I miei capezzoli si inturgidirono e sentii il buonsenso abbandonarmi.

    Mi affidai alle sue carezze tenere e gli spostai le mani sui miei seni, frementi e vogliosi di ricevere le attenzioni delle quali avevano, troppo a lungo, sentito la mancanza.

    Con estrema frenesia, gli slacciai i bottoni della camicia in raso azzurro, decorata con fili argentati, che disegnavano grappoli di fiori sulle spalle.

    Lui la tolse lasciandone le maniche rovesciate, la fece scivolare piano giù, fino a cadere ai suoi piedi e si liberò in fretta della maglietta bianca scollata a V, scroprendo il petto che, già, si muoveva assecondando un respiro frequente.

    Mi appoggiai a lui, abbandonandomi al suo gioco.
    Avvertii la pressione del suo sesso, ormai pronto a regalarmi il più desiderabile dei piaceri, contro il mio ventre e con due dita abbassai l'unica barriera che impediva alla sua virilità di liberarsi.

    Infilai la mano dentro gli slip candidi e cominciai ad accarezzare quella fonte di godimento, piano, con estrema dolcezza.

    "Ti amo, Ester......ahhh..."- gemette ansimando lievemente.

    "Anch'io ti amo, Michael"- risposi abbassandomi sulle ginocchia, fino a giungere all'altezza del suo sesso impaziente.

    Lo strinsi delicatamente nella mano e lo baciai con dolcezza, più e più volte, lentamente, disegnando dei cerchi con la lingua; prima soffermandomi alla sua estremità pulsante per poi scivolare, con determinazione, verso la base e risalire , piano.

    "Non fermarti, ti prego-
    sussurrò mentre mi accarezzava la testa spingendo
    la mia nuca verso di sè- continua....... così........siiiii......".

    Mi sollevò lentamente tenendomi per le mani, poi mi sospinse con delicatezza sulla poltroncina di nabuk dell'ingresso mentre la sua lingua mi sfiorava dolcemente il lobo dell'orecchio. I nostri sguardi si penetravano a vicenda, mentre il desiderio di possederci, invadeva i nostri corpi.


    Mi alzò la gonna e mi sfilò le coulotte di raso color pesca. Si avvicinò ed io mi preparai a ricevere il suo strumento di piacere piegando le gambe, coi piedi appoggiati al bordo della seduta. Mi spostai in avanti col bacino.
    Chiusi gli occhi e sentii un brivido d'eccitazione percorrermi il corpo.

    Guidò con la mano il suo membro teso nella mia più intima ed umida femminilità e lo spinse, piano, fino all'apice del percorso afferrando saldamente, con entrambi le mani, i braccioli della poltroncina.

    Cominciò a muoversi avanti e indietro, aumentando sempre di più il ritmo degli affondi, per poi diminuirlo dolcemente e riprendere, con forza controllata, subito dopo.


    La mia carne si contraeva ad ogni sollecitazione.

    "Aaaaahhh....... siii.....amore....siiii....., ancora....... ancora ti prego.......!
    - sussurrai, col fiato corto, mentre gli accarezzavo il petto liscio.

    Avvertivo il suo cuore battere, impazzito, sotto le mie dita. Sentivo i nostri respiri intensificarsi sempre di più, fino allo spasimo. Calde gocce del mio piacere, mi scivolavano, lente, lungo le cosce.
    Guardavo Michael con gli occhi socchiusi per concentrarmi il più possibile sull'immenso godimento che mi stava regalando.


    Il suo volto si imperlò di sudore mentre la sua bocca si schiudeva lasciando uscire gemiti sommessi.
    Estesi il collo all'indietro ed inarcai la schiena, alzai il bacino il più possibile
    per ricevere, dentro di me, tutto il suo sesso caldo. Michael gemette più forte, ansimando di piacere........ poi l'esplosione del suo nettare invase tutti i miei sensi, mandandomi in estasi.


    Si ritrasse dolcemente, mi baciò sulle labbra sussurrandomi: " Sei la mia vita, Ester....."
    - ed io mi nutrii del suo respiro, caldo ed affannato.


    Si accovacciò davanti a me e appoggiò la testa sulle mie gambe, cercando quella protezione che, da sempre, gli era stata negata; sospirò appagato mentre gli accarezzavo i capelli folti e neri, come la notte.






    "E lentamente il vento mi risveglia,
    e il tuo spiegar d'ali
    già mi commuove, soavi, sublimi
    sono i tuoi passi per te che cammini
    in un pavimento di rose e narcisi,
    sembran dei girasoli oppur noi somigliam loro?
    Non v'è risposta e tu non mi rispondi,
    dolce angelo che a volte mi confondi...
    eppur potresti accoccolarti a me una volta ancora...
    e riscoprir con me la dolce aurora".




    Mi svegliai, la mattina seguente, nel mio letto, il lenzuolo di raso copriva il mio corpo nudo, un raggio di sole entrava dalle persiane socchiuse quasi a volermi avvertire che il giorno nuovo stava per nascere. Guardai la sveglia: erano le 6.

    Allungai una mano sul materasso, dietro la mia schiena. Il letto aveva conservato il calore di quell'uomo che, per tutta la notte, mi era rimasto accanto in uno scambio di amore reciproco senza eguali.
    Nell'aria della mia stanza aleggiava, ancora, il suo inebriante profumo.

    Sentii una macchina allontanarsi lungo il viale. Michael era andato via, mentre io dormivo.
    Mi guardai intorno e vidi, sul comodino, accanto alla lampada, un biglietto sopra il quale spiccava una rosa.



    E adesso so che i miracoli esistono...........
    Ti amo
    Michael.





    Già. I miracoli.
    Aveva sempre detto che la sua fede lo aiutava a sconfiggere il dolore, la paura. Dio era al centro dei suoi pensieri, lo fortificava e lui si sentiva suo tramite.

    La sua arte veniva da Dio, era Dio che gli aveva permesso di diventare un messaggero, che gli aveva regalato tutto quel talento e che lui lo aveva usato per donare amore e pace, per "guarire" il mondo.


    Mi alzai dal letto ed infilai la vestaglia. Scesi in cucina, mi preparai il caffè.
    Lo sorseggiai appoggiata allo stipite della porta sul retro. L'aria era fresca, guardavo il cielo.
    C'era il sole dietro una nuvola....... proprio come c'era Michael, dietro ad uno scudo di apparenza.......

    Pensai a quel pomeriggio al centro commerciale, a come potesse, il mio Michael, sopportare una vita così "artificiale".
    Mi sentii sola, in quel momento; mi mancava da morire, Michael. Avrei voluto che fosse stato lì ; avrei voluto che potesse vedere il sole, uscire dalla nuvola.
    Insieme a me.









    Capitolo VI
    settembre - 05







    "So che è difficile dirti addio, amore mio...
    ma non posso amarti o ti perderei".




    Mi resi conto di esserne follemente innamorata e sentivo che anche lui lo era di me. Lui Michael, non il Re del Pop ma Michael.

    Soffrivo, però, perchè fu chiaro, fin da subito, che non avrei più potuto vederlo.
    Non come paziente, almeno.
    L'amore che provavo per lui, non mi avrebbe certo permesso di
    aiutarlo, mi sentivo troppo 'coinvolta'.
    Ero una professionista. Non potevo lasciarmi distrarre da un sentimento così intimo, così profondo e, soprattutto, non capivo. Ero veramente innamorata di lui? E, poi, lui chi? Quale dei due? La superstar o Michael, quello vero? Con chi facevo l'amore, con quale dei due ridevo, giocavo anche, piangevo? Oppure mi ero semplicemente e stupidamente lasciata trascinare in un vortice di passione sterile e gratuita, nel quale decine e decine di migliaia di ragazzine fanatiche avrebbero fatto follie pur di affondare?
    Ero confusa, combattuta, pur sapendo che avrei dovuto prendere una decisione. Subito.
    Ci pensai a lungo, persi il sonno, anche, ma decisi di parlargli.
    "Michael?- sussurrai con un filo di voce senza alzarmi dal letto- noi.....insomma.....io e te.........ecco vedi......"

    >"Cos'hai, amore?"-
    m'interruppe, ignaro di tutto, mentre si infilava i pantaloni.


    "Non.....ecco, noi non....."- ero come bloccata mentre osservavo i suoi gesti tranquilli e vedendolo così sereno, non riuscivo a parlare.

    Sapevo che quello che gli stavo per dire lo avrebbe ferito profondamente ma nello stesso tempo non potevo lasciargli credere che andasse tutto bene.

    Non c'era niente che andasse bene, infatti!!
    Mi arrabbiai con me stessa.
    Io ero una donna sulla quarantina, lui un uomo intorno ai cinquanta, io ero italiana, lui americano. Io non avevo figli, lui ne aveva tre. Io ero un medico, di quelli strani, per giunta e lui,invece, era....lui era.......siiiii............... lui era MICHAEL JACKSON!!!!
    Nonononono.......non era concepibile una storia così, non si poteva fare.....NO!!!

    Tutte queste paranoie mentali che mi investirono come un fiume in piena, erano indubbiamente dettate da un raptus di follia autolesionistica momentanea; sisisisisi........
    doveva, per forza, essere così!!!
    Questo, almeno, era quello che il mio cervello aveva concluso in un lasso di tempo di....vediamo.....20 secondi??? Si, ecco.....più o meno!.

    "Oddiooooooo!!!- pensai con quel poco di lucidità che mi restava per pormi una domanda - come faccio a dirglielo???"

    " Ester, tesoro, c'è qualcosa che devi dirmi?"

    "Ohhhh cavolo!! Ma mi legge nel pensiero???!!
    No perchè, se così fosse, potrebbe sempre tornarmi utile per fare diagnosi in casi particolari....lui legge la mente e io formulo la diagnosi.......ma.....ma....ma....che caspita stò dicendo??? Sono completamente impazzita!!! Devo controllarmi, devo controllare la mia mente, sono una psicologa in fondo, no?? Non dovrebbe essere tanto difficile!!
    Allora, Ester......avanti, calmati, respira.....siii.....così.....respira.....r e s p i r a......bene. Visto? E' facile, ti stai calmando ora......su......prendi fiato .....ecco così........e adesso
    parla!"

    "Non possiamo più vederci."


    "Ma...ma...chi ha parlato?? Cacchio, nooo!! Sono stata io!!! MIODDIO!!!!! Ma cosa ho fatto?? Come ho potuto dirglielo in questo modo??"- pensai mettendomi istintivamente una mano sulla bocca nel tentativo, ovviamente vano, di ricacciare indietro quelle parole tremende.

    "Allora, è questo il problema?"- rispose guardandomi con i suoi occhioni scuri mentre continuava a vestirsi, per niente sorpreso.

    Si allacciava i bottoni della camicia e canticchiava con voce sommessa, 'I'll Be There'.
    La riconobbi perchè era la mia canzone preferita di quando ero bambina. Mio padre adorava i Jackson Five e aveva tutti gli Lp che suo fratello gli faceva arrivare dall'America.
    La sera, mi metteva a letto, mio padre, e me la faceva ascoltare.

    Mi addormentavo con la voce di Michael nelle orecchie. Anche se non glielo dissi mai, sembrava lo sapesse e, adesso, la stesse usando per farmi del male. Per mascherare così, quel dolore che lo stava invadendo.

    "Io ci sarò.......", mi stava dicendo
    .

    Quasi un "monito", come a volermi ricordare ciò che da giorni la mia mente mi ripeteva:
    che non sarei mai riuscita a lasciarlo andare.


    "Capisco - proseguì con tono distaccato, spiazzandomi completamente - in fondo, io sono un tuo paziente e tu il mio medico. Non può funzionare, non possiamo andare avanti così, hai ragione."

    Si infilò la giacca, spostò con un gesto meccanico della mano, una ciocca di capelli che gli copriva la lente degli occhiali.


    "Non dobbiamo più vederci, Ester. Addio"- mi mandò un bacio, scese le scale ed uscì dalla porta sul retro, sbattendola dietro di sè.
    Sentii delle voci maschili, un'auto sgommare sull'asfalto liscio del viale.

    Silenzio.

    Quella mattina, anche il tanto decantato sole della California, se l'era data. Una marea di nuvoloni neri in continuo movimento , si stava fagocitando il cielo di Los Angeles e, insieme a lui, il mio cuore.





    "Non è stato difficile dirti addio,
    è stato difficile ripeterlo ogni giorno."



    I giorni e le settimane seguenti, furono carichi di angoscia, mista a sensi di colpa che non mi davano pace.

    Avevo agito in modo corretto??
    Forse no ma, indubbiamente, molto razionale; continuavo a riflettere mentre sentivo le amare lacrime del mio cuore, scivolare lente e inarrestabili, fuori dai miei occhi.

    "Era l'unica cosa da fare"- ripetevo costantemente a me stessa.
    In fondo, chi ero io per entrare a far parte della vita di Michael? Nessuno. Non ero nessuno.

    Lui, invece, era la pop star più acclamata, divinizzata e celebrata di tutti i tempi. Il mito, irraggiungibile, irreale, leggendario.

    Era troppo forte, questa immagine. Talmente tanto forte che, pensavo, nemmeno l'amore avrebbe potuto scalfirne la solida corazza che imprigionava, dentro di sè, l'anima di un uomo meraviglioso.
    L'uomo che amavo.


    Edited by *Catwoman* - 11/1/2011, 21:06
     
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  5. *Catwoman*
     
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    Capitolo VII
    settembre - 05












    "Quante altre sere come questa dovrò vivere prima di tornare a volare?
    ....I ricordi strappano brandelli d’ali e frantumano raggi di speranze…
    Tento di trovare un' immagine che descriva il dolore, il mio dolore
    …un dolore egoista e arrogante che ride, che trafigge lacrime e passioni.
    Era così dolce abbandonarsi nei suoi sorrisi, credere nei suoi occhi,
    fidarsi del suo cuore, vivere nella sua forza
    ….era così dolce illudersi di morire per lui
    …ma non mi accorgevo che il mio unico respiro era in realtà
    un bacio che mi strappava i sogni in un Ti Amo velato di nulla."







    Il tramonto di quel giorno di settembre, mi riempì il cuore di malinconia. Era il mio trentottesimo compleanno e non mi sentivo per niente felice, da tempo, ormai.

    Mio padre era rincasato dall'ufficio un pò prima, per preparare la cena. Se l'è sempre cavata egregiamente ai fornelli, cosa che non si può dire di me.
    Sarebbero venuti Robert e Miranda per festeggiare con noi.


    Sinceramente, non capivo cosa ci fosse di tanto importante da dover essere celebrato.
    Era un anno che andava ad aggiungersi ad un peso già troppo importante perchè le mie spalle riuscissero a sopportarlo senza scossoni.


    In quel periodo della mia vita, poi, la sofferenza era una compagna, fedele e gelosa, che mi aveva privata anche del piacere di un sorriso.

    I ricordi, quelli che vengono fuori immancabilmente in queste occasioni, quelli si, servono a riportare alla mente i giorni dell'infanzia, dell'innocenza e della spensieratezza.
    Ma fanno anche male, a volte.


    "L'inverno, in piazza Duomo, con la nebbia da tagliare col coltello.

    I piccioni col piumaggio gonfio a tal punto da apparire come buffe
    palle con le zampe.

    Le corse di una bambina, intenta a farli volare via,
    con in testa un cappello di pelo, chiuso, sotto il mento, da un nastro
    di raso i cui pon-pon rimbalzano sullo scollo del cappottino blu
    a doppio petto, con la martingala e il colletto di velluto nero.

    Le scarpette di vernice e le calze, di candido cotone traforato
    fin sotto le ginocchia.

    Lo smog, che chiude i polmoni e che tinge di una innaturale e indefinibile
    tonalità di grigio, i panni stesi ad asciugare sui balconi.

    Il sole, pallido e sfumato quasi a sembrare solo un'immagine riflessa,
    sulla volta di un cielo cupo e piangente lacrime gelate che sferzano il viso,
    trafitto dalle guglie che scompaiono nelle nuvole. "




    Eccoli, i ricordi.............

    Quelle perfide soluzioni che la nostra mente riesce ad escogitare per impedirci di dare un colpo di spugna alle pagine della nostra vita e ricominciare daccapo.

    Anche Michael, adesso, era diventato un ricordo.
    Lui, con le sue risate di bambino, i suoi occhi scuri che indagavano la mia anima, le sue labbra rosa che mi regalavano soffi di vita, la sua musica che cullava le mie notti, il suo sorriso che scaldava il cuore, la sua voce che placava le mie paure, erano diventati dolore.

    Chiuso in un ameno cassetto della memoria, lui era lì, solo, come era sempre stato.







    "Se alcune vite formano un cerchio perfetto,
    altre assumono delle forme che non possiamo prevedere
    ne' comprendere appieno.
    Il dolore è stato parte integrante del mio percorso,
    ma mi ha fatto capire che niente è più prezioso di un grande amore."








    "Buon compleanno, cara! Come stai, oggi, Ester?"

    "Oggi è solo un giorno in più di ieri, Robert, grazie.....niente di nuovo."
    risposi in un sospiro, mentre cercavo con lo sguardo un vaso dove mettere i fiori che Miranda mi aveva regalato.


    Dopo cena, Robert mi chiamò in disparte mentre papà e Miranda chiacchieravano del più e del meno come due vecchi amici.


    "Cosa ti è successo, Ester?-mi chiese con un tono alquanto preoccupato - non puoi abbandonarlo proprio adesso....."

    "Suo fratello Randy ha chiamato lo studio e ha chiesto di me, l'altro giorno. Mi ha pregato di parlarti, sapendo dell'amicizia che mi lega a tuo padre, affinchè potessi indurti a riflettere e a prendere in considerazione l' eventualità di continuare ad occuparti di Michael.

    Dice che è disperato e arrabbiato al tempo stesso. Rimane chiuso nella sua stanza per gran parte della giornata, non risponde al telefono e non mangia; trascura i bambini lasciandoli per ore con Grace e questo non è da lui, Ester, te lo assicuro.


    Si è isolato, non parla con nessuno; si è trasferito a vivere nella dependance per restare solo.

    Non dorme e la notte si alza, scende in cucina e si mette a provare passi di danza, prima di sedersi sulla poltrona e piangere, con la testa fra le mani.

    Questo è quello che mi ha riferito Randy. Questo è quello che gli ha detto, sua madre Katherine, tra le lacrime.
    Pensaci, ti prego. So quanto tu sia attenta alle problematiche dei tuoi pazienti, so che di te ci si può fidare ciecamente ma , per favore, non avere paura di aprire il tuo cuore e non soffocare le tue emozioni, i tuoi sentimenti.

    Conosco Mr Jackson meglio di quanto tu possa immaginare, credimi, perciò so che dietro a quel gigantesco e bizzarro schermo da proporre al mondo, c'è una persona buona che ha bisogno di una medicina che solo tu puoi dargli.
    Il tuo amore. Incondizionato."


    Ascoltavo Robert parlare e mi sembrava che la sua voce uscisse da un alambicco di vetro, mi entrasse nella testa e mi scendesse nel cuore per farlo battere senza più controllo, fino a farlo sanguinare.
    Non sapevo se queste parole mi stessero ferendo o se, semplicemente, avessero risvegliato in me la consapevolezza della verità:

    Michael mi apparteneva, ormai, come io appartenevo a lui.






    "Più intenso è il dolore
    se le parole cingono la storia
    d'un amore perso,
    o più forte si lacera il cuore
    su un amore ritrovato,
    che già è fantasma spaventoso
    per un non lontano futuro?"



    Il cancello si aprì lentamente, sobbalzando un poco, prima di richiudersi dietro l'auto nera di Robert.
    Avevo già visto quella meraviglia qualche mese prima, ma ora sembrava tutto più silenzioso, più surreale.

    Anche la fontana, al centro del giardino, aveva smesso di zampillare e tutto intorno, avvertivo la presenza di uno spettro sinuoso che, beffardo, mi scherniva: la solitudine.

    Eccola, la casa di Encino, una sorta di reggia divenuta, in breve tempo, la dimora di un Re stanco, ormai arrendevole dinanzi alle battaglie che la vita gli imponeva di combattere, ogni giorno.
    Robert mi fece scendere davanti all'ingresso di una piccola casupola immersa nel verde di un boschetto, dietro la piscina.



    "Ci vediamo più tardi, allora-mi salutò con un cenno della mano, prima di girare la macchina e dirigersi verso il cancello- mi raccomando!"- concluse.

    Entrai da un portoncino in legno finemente intarsiato. Un piccolo salottino con un divanetto in vimini e un tavolino in cristallo con una base in sasso, arredava l'ingresso della piccola dependance. Una scala a chiocciola portava al piano superiore.

    Quando fui in cima, mi trovai in un corridoio piuttosto stretto. Alla mia destra c'erano due porte ed una terza, socchiusa, era proprio di fronte a me.


    Mi fermai . Appoggiai la mano sulla maniglia di ottone. Una sensazione di insicurezza si impadronì di me nel momento in cui spinsi in avanti la porta ed entrai nella stanza.



    "Ciao, Michael....."


    Le parole uscivano dalla mia bocca senza che riuscissi a sentirle. Il cuore pulsava nel petto ad una tale velocità da sembrare fermo, inerte.

    "E' arrivata la dottoressa......ma beeeene......sei venuta a dirmi come devo fare per stare al mondo???? CHI sei tu, per giudicarmi??
    Cosa credi di poter fare, di salvarmi l'anima????Eh?? Ah ah ah........tu non hai capito niente, sei solo una povera illusa!!!!Perdi il tuo tempo!!"

    Mi rispose, con tono sprezzante, senza voltarsi verso di me.
    In quel momento, la stanza divenne un enorme spazio aperto ed io, mi sentivo completamente vuota e piccola.

    Compresi che Michael, era caduto dal suo cielo e, adesso, stava precipitando in un dirupo che non gli avrebbe più permesso di tornare a vedere la luce.
    Volevo fuggire, mettermi al sicuro, portare il mio cuore lontano da quelle parole che lo stavano frantumando.


    Mi voltai e cercai di varcare la soglia della stanza per sottrarmi a quell'immenso dolore.
    Mi sentii afferrare per un braccio e mi girai di scatto avvertendo il suo respiro affannato sul collo.
    Incontrai con lo sguardo i suoi occhi che mi trapassavano da parte a parte per perdersi in un mondo senza sole, dove l'oblio dona all'anima la mendace sensazione di essere libera.
    Non ebbi il tempo di reagire per contrastare quelle labbra che già mi avevano privato della possibilità di emettere anche solo un flebile respiro.
    Cercai di liberarmi dalle sue braccia che mi stringevano, con vigore, contro il suo petto ma mi
    mancavano le forze.

    Lentamente il mio corpo si abbandonò al suo volere, schiusi le labbra e sentii il calore umido della sua lingua mentre cercava freneticamente la mia.
    Assecondai quella richiesta, malgrado mi rendessi conto che Michael, quel giorno, aveva ceduto la sua coscienza e la sua lucidità ad un veleno che gli regalava solo illusioni.

    Lo amavo troppo per permettergli di uccidersi. Decisi che avrei fatto qualsiasi cosa pur di impedire l'eutanasia del nostro amore.

    Edited by *Catwoman* - 27/12/2010, 21:36
     
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  6. *Catwoman*
     
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    Capitolo VIII
    settembre - 05








    "Chi non sa perdonare spezza il ponte sul quale
    egli stesso dovrà passare."




    Michael, dopo quel bacio rubato, si staccò da me e si coprì il volto con le mani.

    "Ommioddio!!! Che cosa ho fatto!!?? - gridò tra i singhiozzi - Come ho potuto farti questo??!!".

    Scrollava la testa mentre indietreggiava, quasi a voler sparire dalla mia vista. Le lacrime, che inondavano i suoi occhi e rompevano gli argini dell'anima, scendevano copiose lungo gli zigomi sporgenti del suo volto magro, contratto in una smorfia di dolore.

    Mi avvicinai a lui con le braccia aperte nell'atto di stringerlo a me, per rassicurarlo, per proteggerlo.
    Il mio cuore sussultava pieno di amore e di sofferenza nel vedere quella parte fanciulla di lui lottare per non morire.

    "Sono qui, sono qui con te, adesso!" - gli sussurrai nell'orecchio mentre gli accarezzavo i capelli.


    "Non ti merito, Ester......"- replicò asciugandosi il viso con la manica della giacca nera con applicazioni oro e argento che richiamavano i delicati ricami delle livree settecentesche."Tu mi hai visto così ed ora hai capito che sono un debole, che non potrò mai darti la sicurezza di avere accanto un uomo vero, che ti possa rendere felice....."-proseguì.

    "Io ti amo, Michael - lo interruppi sfiorandogli con la punta delle dita il volto,
    seguendone il profilo sottile - e non permetterò che questa roba ti uccida!" - gli dissi afferrando con la mano il flaconcino di pillole sul suo comodino e scagliandolo lontano, sul pavimento.

    "Aiutami, Ester, ti supplico.....anch'io ti amo e non voglio farti soffrire così!"


    "Tu stai distruggendo te stesso, amore, ma lotteremo insieme e tutto questo
    diventerà soltanto un ricordo. Te lo prometto." -
    lo strinsi più forte in quell'abbraccio, mentre le mie labbra si univano alle sue.
    Ancora una volta.



    "Vieni con me - disse prendendomi la mano - voglio che tu veda una cosa!".



    Scendemmo i gradini della scala come due ragazzini al loro primo appuntamento, con lo stesso entusiasmo che si prova nello scoprire qualcosa di nuovo, di misterioso.
    Il suo spirito bambino era riuscito ad emergere. Potente, vivo più che mai e gli aveva disegnato sulle labbra un sorriso intriso di sole. Finalmente lo rividi, felice ed innamorato della vita come, forse, non era mai stato.
    Il mio angelo caduto, stava ricominciando a volare.








    "Raramente ci rendiamo conto che siamo circondati
    da ciò che è straordinario.
    I miracoli avvengono intorno a noi, i segnali di Dio
    ci indicano la strada, gli angeli chiedono di essere ascoltati."


    Percorremmo, di corsa, senza mai lasciarci le mani, il sentiero dietro la dependance, che attraversava il piccolo bosco di abeti fino a giungere in una bellissima radura ammantata di una meravigliosa coltre d'erba verde smeraldo, al centro della quale
    troneggiava una sequoia millenaria.

    "Ecco, guarda, Ester.....questo è il mio piccolo mondo. Vengo qui spesso, durante il giorno, perchè solo in questo Paradiso posso sentirmi veramente me stesso. E' qui che ascolto la voce della natura, oggi come quando venni ad abitare in questa casa ed è qui che sono nate le mie prime canzoni.

    Forse tu saprai che a Neverland c'è un grande amico, in grado di colmare i vuoti di questa
    anima ferita; c'è il mio adorato "Giving Tree", che mi ha regalato tanta gioia, riempiendo i
    miei giorni.

    La solitudine mi è stata compagna per tutta la vita ma, in quel luogo,
    sentivo di essere parte di un progetto divino, di poter dare voce a tutti coloro che non ne hanno, alla gente che soffre, ai bambini perduti, attraverso la mia musica unita alla mia
    danza.


    A volte, non sei tu a scegliere la musica, ma è lei a scegliere te. Mi attraversa, mi possiede ed è allora che io.......divento musica......."

    Si distolse dai suoi pensieri, riaprì gli occhi e proseguì guardandomi con estrema tenerezza.......

    "E' questo che accadeva; era su quel gigante, dalle radici abbracciate
    amorevolmente alla terra, dove la natura mi dimostrava ogni giorno la sua lealtà, dove potevo ascoltare il canto degli uccelli, il suono delle foglie mosse dal vento che soffia nuova vita tra le fronde, dove riuscivo a non pensare a tutto quello che l'uomo sta pianificando per distruggere questo nostro mondo.


    Mi manca, tutto questo, amore. La malvagità dell'uomo mi ha privato di uno dei beni più grandi ed anche se il giudizio terreno mi è stato favorevole, io non sarò mai più,un uomo libero."


    La sua voce malinconica risvegliò in me la convinzione che tutto ciò che gli era accaduto, negli anni, lo aveva segnato profondamente e non gli aveva mai permesso di sentirsi veramente amato.

    Volevo che l'amore che provavo per lui, mitigasse i suoi tormenti, volevo farlo sentire finalmente libero di dare e di ricevere amore.








    "Il desiderio di unirmi a te
    irrompe nei miei occhi e ti spiazza il cuore.
    Sarai mio fino alla fine dei tempi se lo vorrai.
    Sarò la mano che ti rialza dalla caduta,
    il bacio che asciuga le tue lacrime,
    il cuore colmo d’amore per il tuo essere."




    "E' bellissimo qui, Michael......" -dissi guardandomi attorno con gli occhi sgranati.


    Mi tolsi le scarpe e sentii, sotto i piedi, la frescura dell'erba umida; come una bimba spalancai le braccia e cominciai a girare su me stessa quasi a voler abbracciare quel mondo fantastico.

    Michael mi guardava, ridendo divertito e il suono delle sue risa mi giungeva alle orecchie come una delle più belle e dolci melodie che si possano udire.
    Mi lasciai cadere in ginocchio sul prato, alzai gli occhi incrociando il suo sguardo, questa volta, colmo di amore e gioia.


    Michael si sedette accanto a me, incrociando le gambe, mi strinse dolcemente attirandomi a sè.Ci guardammo, in silenzio, lasciando che fosse il nostro amore a parlare per noi.
    Le nostre bocche si unirono in un lungo, appassionato, bacio.
    Mi distesi, senza smettere di guardarlo negli occhi, lui si sdraiò su un fianco, accanto a me, poggiato sul gomito.

    Cominciò ad accarezzarmi piano le cosce, risalendo dolcemente fin sotto la gonna.
    Sentivo la sua mano scivolare sempre più sù, sino a giungere alla mia più nascosta intimità, scostò il bordo delle mie mutandine e introdusse delicatamente due dita in quel nido caldo che le accolse con infuocata passione e iniziò a muoverle sù e giù quasi ad esplorarlo.
    Baciai le sue labbra mentre il mio corpo fremeva sotto le sue tenere attenzioni.
    Dolcemente ritrasse la mano e cominciò a spogliarmi, piano, con meticolosità, come se temesse di poter ferire quel fiore dischiuso che gli prometteva immenso piacere e che lo attendeva con trepidazione.

    Si sollevò, portandosi sopra di me, dopo aver liberato il suo esile corpo da quelle stoffe che lo ricoprivano.
    Avvertii la pressione del suo sesso sul mio; lo sentii gemere nel momento in cui mi penetrò per poi donarmi tutto sè stesso. Si muoveva dentro di me dapprima lentamente, poi gli affondi divennero più intensi.

    Le nostre lingue danzavano intrecciate seguendo il ritmo di nostri cuori.

    "Ti piace?" - mi chiese ansimando mentre con la mano mi accarezzava i seni.
    Voglio che tu sia felice, Ester amore mio.....voglio sentirti mia, sapere che .....non mi lascerai mai".

    Le mie mani scorrevano lente sulla sua schiena, scesero fino ai suoi glutei ancora sodi e lo invitavano ad aumentare il ritmo dell'amore.

    "Ti amo, Michael, sono solo tua......"-sussurrai mentre la mia intima femminilità,
    satura di umori, si riempiva del suo caldo piacere.


    "Ester...Ester......ti amerò fino alla fine dei miei giorni, ricordalo...." -pronunciò
    queste parole, accarezzandomi il viso, prima di appoggiare il capo sul mio seno nudo.


    Ancora una volta la passione ci aveva uniti in un solo corpo e in un'unica anima, fermando, nella certezza di possederci a vicenda, il nostro tempo. Mi rivestii e mi sedetti sul prato ancora intriso del calore dei nostri corpi.
    Guardavo Michael mentre si allacciava i bottoni della camicia e pensavo che, finalmente, avevo abbattuto quel muro che lo nascondeva privandolo della gioia di vedere la luce dell'amore vero, che avevo aperto un varco in quella prigione dove, troppo a lungo, era stata rinchiusa la sua anima.


    Edited by *Catwoman* - 29/12/2010, 11:20
     
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  7. *Catwoman*
     
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    Capitolo IX

    ottobre - 05








    "La nostra gioia è il nostro dispiacere smascherato.
    E lo stesso pozzo dal quale si leva il nostro riso,
    è stato sovente colmato dalle nostre lacrime.
    Quanto più il dolore incide in profondità nel nostro essere,
    tanta più gioia potremo contenere."



    Salimmo sull'aereo diretti in Florida. Michael, accanto a me sorrideva, felice come un bimbo,
    guardando fuori dall'oblò. Io preferivo stare seduta accanto al corridoio del velivolo, mi dava un senso di maggior sicurezza.

    "Che fine ha fatto, la tua paura di volare?"- gli chiesi sollevando un sopracciglio con fare indagatore.

    "Ehh?? Chi, io paura di volare??? Non scherziamo! Tutte stupidate inventate dai tabloid......ehmm...."- rispose con una espressione furbetta sul viso.

    "Ne sei sicuro?" - lo incalzai sospettosa.

    "Certo che si....io ho praticamente vissuto sugli aerei...."- sentenziò schiarendosi la voce con un colpetto di tosse.

    "Ahah, i tabloid....già....Allora com'è che lo hai scritto TU stesso su "Moonwalk" che hai paura di volare, eh??!!" - lo provocai con tono investigativo da detective federale.

    "Mmmh??!! Ahhh, siiiii....giusto, giusto.....dunque...... l'ho scritto per, sai com'è,
    per.....si insomma.... l'ho fatto per...........riempire la pagina!!!??".

    "Okay....d'accordo.....allora tu l'avresti fatto per riempire la pagina,dico bene?!"- replicai.

    "Esatto, per quello....l'ho fatto per quello!!!" - asserì convinto sfoderando un sorrisetto innocente del tipo:
    ^Ancheseholaboccasporcadicioccolata.....nonhofinitoioilvasettodiNutella....^


    Lo guardai di sottecchi, fingendo di essere fredda, distaccata. Incontrai i suoi occhi profondi e grandi; ci fissammo per un interminabile istante finchè, improvvisamente, scoppiammo a ridere entrambi, come due ragazzini.

    "Lo sai - mi disse, sogghignando - che, sinceramente, ho ancora molta paura?? Solo che non lo dò a vedere, diciamo...... Effettivamente........ mi è sempre piaciuto recitare.....".

    "Lo so!! Si si, eccome se lo sooooo!!! Sei anche molto bravo, se non ricordo male, caro il mio spaventapasseri!!!"
    - replicai fingendo un' aria da sufficienza.

    Le nostre risa si rinvigorirono ed il personale di bordo fù contagiato dalla nostra euforia.

    "Scusa amore, ora mi devo "camuffare" un po' - mi informò Michael riacquistando, a fatica, una parvenza di serietà - tra non molto atterreremo!".

    Aprì un borsone che gli porse la giovane hostess e ne estrasse una sorta di turbante arabo, una lunga veste color corda, stile caftano ed un paio di baffi posticci.
    Al termine della "trasformazione", misi le mani sui fianchi, lo squadrai da cima a fondo spostandomi all'indietro per vederlo meglio.

    "Mmmh, seeee.....direi che così potrebbe andare, mio adorato Laurence d'Arabia!!!" - sentenziai sfregandomi il mento tra due dita come se il mio nome fosse Coco Chanel.

    "Ohhh, caspita aspetta........aspetta!? Amore?! Credo che ti dovresti togliere quelli........"
    - suggerii divertita, puntando l'indice in direzione dei suoi mocassini che fuoriuscivano, corredati di calzini bianchi, dalla insolita veste non proprio lunghissima.

    "Oddiooooo, hai ragione! Questi potrebbero svelare il mio "segreto", ci sono sempre paparazzi in giro....sembrano avvertire la mia presenza..." - rispose facendomi l'occhiolino.

    "Mr Jackson, le ho preparato le sue Nike bianche." - intervenne prontamente la hostess.

    "Grazie, Lauren, sei sempre molto gentile." - disse Michael, infilandosi gli occhiali scuri.

    Sbarcammo dall'aereo ridendo, mano nella mano.










    "La linea che divide il cielo dal mare,
    la linea delle tue labbra..il colore del tramonto,
    la luce del tuo sorriso..il movimento del mare,
    le tue mani nel mio mondo..stringimi, avvolgimi di passione,
    abbracciami e fonditi con me in un eterno amore."



    Quella sera di inizio autunno, il cielo di Miami appariva come la tela di un pittore Naif, ricca di colori vivaci che variavano dal blu intenso all'azzurro tenue, dal rosa pesca al rosso fuoco; era il regalo di un tramonto sull'orizzonte dell'oceano.
    La picccola caletta privata, dietro l'Hotel che Michael aveva affittato in toto, per garantirci un week-end di completa privacy , divenne il nostro nido d'amore.
    Abbandonammo le scarpe disordinatamente sulla spiaggia per permettere ai nostri piedi di godere della salubre carezza di una delicata risacca che lambiva la riva.

    "N o n...ci....p r o v a r e....!" - minacciai facendomi scudo con le mani, parate davanti al viso, quando lo vidi chinarsi con la mano a cucchiaio sul pelo dell'acqua.

    "Cosa ti fà pensare che sarò indulgente, eh? Forse il fatto che mi hai fatto letteralmente impazzire d'amore, con quei tuoi occhi color smeraldo che riescono a vedere la mia mente??
    Ahahahaah!! Attenta a te, dottoressa Ester.....attenta a te!!"

    "Acc...!! Ah ah ah, ti ho buggerato!"-
    ribattei io mentre, con uno scatto felino, riuscii ad evitare gli schizzi che Michael aveva prodotto.

    Rideva, il mio amore, come un bambino divertito. Iniziammo a correre sulla battigia sotto una timida luna che occhieggiava da dietro una nuvola. Il cielo era trapunto di stelle.

    "Non mi prenderai mai!!!"-gli urlai voltandomi indietro.

    "Ti ho semplicemente dato del vantaggio perchè sei una donna, niente di più. L'ho fatto per pura galanteria!!!"

    "Diciamo che non hai il fisico per raggiungermi!!!" -
    lo canzonai rallentando la corsa.

    Devo ammettere, però, che IO iniziavo ad avere un pò di difficoltà....... ....perciò mi fermai piegandomi in avanti, con le mani sulle ginocchia, esausta, per riprendere fiato.
    Gli permisi così di raggiungermi. In men che non si dica allentò il fiocco che legava, dietro il collo, il soffice pareo di seta che mi copriva il corpo, lasciandolo scivolare via; si tolse i jeans neri e la maglietta bianca facendoli cadere sul bagnasciuga.

    "Chi è che non ha il fisico?? Ehh??? Dimmi...... chi???" - mi domandò schernendomi.

    "Io....io...uff.....uff....sono io..... che.....uff... non ho....."

    Non riuscii a terminare la frase. Le sue labbra, incollate alle mie, stavano accendendo il mio fuoco. Ci ritrovammo abbracciati, stretti quasi a volerci fondere assieme nell'acqua tiepida di quella immensa distesa salata, colma di pace e tranquillità interrotte solo da piccole e spumeggianti creste biancastre e dal grido dei gabbiani che planavano in prossimità della costa alla ricerca di uno scoglio dove riposarsi .
    Ancora una volta Michael mi donò il suo corpo ed il suo amore, mentre il silenzio della notte scendeva sulla baia.









    "Buonanotte principe gentile,
    e voli d’angeli t’accompagnino cantando al tuo riposo…"



    Lo guardavo dormire, accanto a me, sdraiato sulla sabbia fresca, sul fianco, la mano sotto la guancia.
    "E' bellissimo...." - pensavo.
    E lo era davvero, il mio adorato amore, nonostante il suo volto scavato dalla sofferenza che anni di continui, ingiusti attacchi e costante pressione, gli avevano procurato.
    Un viso scolpito dal desiderio di farsi accettare, per potersi accettare, per sentirsi considerato, per non essere "invisibile", al centro del quale, un naso improbabile per le sue origini afro americane, riscattava quell'immagine imperfetta che non aveva riscosso approvazione. Ma dentro a quel guscio, ricostruito per regalare diletto al mondo, io avevo trovato l'anima più pura, innocente e amorevole che si possa immaginare: avevo visto un angelo.
    L'indomani mattina, in quel letto morbido e caldo di sole, mi destai avvolta nel suo dolce abbraccio.



    Edited by *Catwoman* - 21/12/2010, 22:10
     
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  8. *Catwoman*
     
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    Ragazze, io posto un altro capitolo anche se probabilmente non è piaciuta molto, dato che nessuno ha lasciato commenti.

    Ad ogni modo eccolo, la FF è quasi finita.
    Ciao a tutte e grazie ugualmente!!! Baci.

    :kiss2:





    Capitolo X
    ottobre - 05



    "L'amore non ha altro desiderio che quello di realizzarsi,
    ma se amate ed è inevitabile che abbiate dei desideri,
    fate in modo che essi siano questi:
    svegliarsi all'alba con le ali al cuore
    e ringraziare per un altro giorno d'amore".

    L'aurora nascente ci offrì uno spettacolo indimenticabile e i gabbiani tornarono al loro instancabile volo riempiendo il cielo di grida festose che annunciavano l'inizio del nuovo giorno. Soli su quella spiaggia nascosta, ci baciammo, mentre lui mi accarezzava i capelli, mossi da una lieve brezza fresca che portava con se’ minuscole goccioline di acqua salata, sfuggite all'immensità dell'oceano e che si posavano sulla mia pelle facendomi rabbrividire leggermente.

    Hai freddo, amore? - mi chiese Michael mentre, col suo corpo, cercava di farmi scudo.

    "Solo un po’ - risposi - accanto a te riesco sempre a stare bene, lo sai!"

    Mi accoccolai con la testa sul suo petto e sentii le sue mani farsi strada sotto il mio pareo, delicate ma sicure. Mi tolse piano lo slip del costume lasciando scoperto il frutto del suo desiderio e, dopo averlo accarezzato dolcemente, cominciò ad assaporarne il caldo nettare. Avvertii la sua lingua farsi strada nella profondità di quella mia intima femminilità, provocandomi il più illimitato dei piaceri.

    "Vieni qui........." - sussurrai.

    Presi il suo viso tra le mani e lo baciai con trasporto, quasi a volermi riprendere quella parte di me, del mio sapore, che gli era appartenuta fino ad un attimo prima. Lo guardai negli occhi, mettendomi a cavalcioni su di lui. Il suo respiro si fece sempre più intenso mentre si stendeva sotto di me, liberando il suo membro eccitato dai boxer da bagno. Mi muovevo sinuosa, lentamente, per potere accogliere dentro di me ogni millimetro del suo sesso, così rigido ed esperto. La passione sfociò, prepotente, in un simultaneo ed estremo godimento, donando ai nostri corpi intensi fremiti. Restammo fermi, in silenzio, con gli occhi chiusi, ad ascoltare le onde che intonavano il canto del mare.







    "È come una canzone, ecco io posso tenere una nota molto a lungo,
    in realtà io posso tenerla per sempre,
    ma alla fine diventa solo rumore
    è il cambiamento quello che conta.
    La nota che viene dopo e quella dopo ancora
    questo ne fa una musica."






    Quando il sole illuminò la baia , al largo, le onde si alzarono guidate da un vento lieve che agitava il mare. Pensai fosse strano che una distesa sconfinata come l'oceano, potesse muoversi fino ad afferrare la terra, senza però riuscire a trattenerla. Costretto, da un moto perpetuo, a restare privo di un qualsiasi appiglio.
    In fondo, però, così era stata la vita di Michael.
    Il tempo lo aveva fatto crescere, cambiare, in un corpo che si trasformava continuamente nel tentativo, spasmodico, di aggrapparsi alla sicurezza del sentirsi desiderato, amato.
    Mi aveva mostrato il testo di una sua canzone, un giorno, nel mio studio. Disse che, forse, mi sarebbe servito per comprendere meglio. Ricordo ancora ciò che diceva:

    "Io sono così poco considerato
    Perché dicono che l’amore sia cieco
    Ho vissuto questa vita fingendo
    Di poter sopportare un simile dolore profondo dentro

    La verità è che io sono alla ricerca
    Di un amore talmente divino…....

    Ho vissuto la mia vita in solitudine
    Un’anima che piange di vergogna
    Con emozioni troncate a metà
    Salvami adesso a partire da ciò che ancora resta.........

    Io ho bisogno che qualcuno
    Mi salvi ora a partire dal sentiero dove mi trovo......."








    “L’amore è una forza selvaggia.
    Quando tentiamo di controllarlo ci distrugge,
    quando tentiamo di imprigionarlo ci rende schiavi,
    quando tentiamo di capirlo ci lascia smarriti e confusi,
    quando pensiamo di condurre, allora siamo guidati.
    Poichè si ama sempre ciò che nuoce".


    Prima che il sole fosse alto nel cielo, raggiungemmo la suite dell'Hotel. Uno sterminato "appartamento" che occupava un intero piano. In quel luogo mi sentivo come un soldato, prigioniero in una terra straniera. Fuori, completamente, dal mio mondo.
    Entrai nella doccia, in un bagno grande quanto tutta la zona giorno della casa di mio padre. L'acqua tiepida scorreva impetuosa sul mio corpo, massaggiandolo. Non so quanto tempo trascorsi sotto quel getto ristoratore ma, probabilmente, il destino giocò un ruolo fondamentale, quel giorno permettendo che accadesse di nuovo ciò che, inconsciamente, temevo più di ogni altra cosa: avrei visto la verità.
    Uscii da quella stanza con indosso un morbido accappatoio di ciniglia bianca e mi diressi, a piedi nudi, verso il salotto dell'ingresso dove mi aspettava Michael. Attraversai un piccolo corridoio, con uno specchio in stile veneziano, che rifletteva l'immagine del locale di fronte. Mi specchiai per un istante e fu allora che lo vidi.
    Dava le spalle all'arcata che separava il salotto dalla camera da letto e non si accorse della mia presenza nel corridoio; aprì uno dei numerosi cassettini del bureau settecentesco, ne estrasse un flaconcino di pillole, ne prese una, deglutendola senza nemmeno un goccio d'acqua, di nascosto, come farebbe un bimbo con le caramelle che gli sono state negate. Lo fissai per un tempo interminabile, finchè si girò tranquillamente, mordendosi piano il labbro inferiore, come se sapesse di aver fatto qualcosa di proibito. Si sedette sul divano.
    Mi mossi con cautela verso l'armadio a muro del locale guardaroba, infilai i miei vestiti, misi le scarpe e ritornai indietro, i capelli bagnati mi gocciolavano sulle spalle. Tremavo ma, questa volta, non era la brezza marina, non era passione.
    Era dolore. Immenso, puro... dolore.

    "C'è qualcosa che non va, per caso?" - mi domandò, notando il mio insolito mutismo, quando entrai nella stanza.

    "Non ci riesco, Michael....scusa ma....proprio non ce la faccio!" - cercavo di scaricare una parte di tensione che mi opprimeva lo stomaco.

    "Spiegati Ester.....cosa non riesci a fare?!"- si alzò in piedi, davanti a me.

    "Io....ecco...io....." - la mia solita insicurezza, accidenti!
    "Voglio tornare a casa!! Ora!!!!! - un altro peso tolto dalla coscienza ma lo strazio non accennava a diminuire.


    "Perchè? Cosa c'è che non va in questo posto?? Eh?!" - mi chiese, con una leggera aria strafottente, prendendomi il mento tra le mani e guardandomi dritto negli occhi che iniziavano a velarsi di pianto.

    "Tutto!!! Tutto non va in questo posto!!!" - alzai la voce, tolsi con un gesto brusco e deciso le sue mani dal mio volto, allontanandomi da lui.

    Michael aveva gli occhi sgranati e l'espressione di chi non capisce, di chi non sa perchè ma è sicuro che il mondo stia per crollargli addosso.

    "Non ce la faccio più, Michael!!! Ma non lo vedi, eh? Non riesci a vederlo?? Come puoi credere che io possa vivere così?? Come puoi illuderti, che io riesca a pensare che la mia vita sia del tutto normale, quando anche solo per scendere da un fottutissimo aereo ho dovuto fingere di essere la concubina occidentale di un fantomatico principe arabo che nemmeno esiste??
    Dimmelo, maledizione!!!!!Cosa ti rende così sicuro??Avanti!!!Cosa ti da il diritto di costringermi a vivere una vita che non mi appartiene??Come puoi permettere che ciò che sei diventato, ciò che ti sei costruito attorno, per difenderti dalle tue paure, dalla solitudine e dalle tue angosce, ti uccida??Sai cosa ti dico, eh?? Vuoi sapere cosa penso?
    Penso che tutto questo sia assurdo, che tutto ciò che mi è successo sia solo un bruttissimo incubo nel quale mi hai trascinata facendomi credere di provare un sentimento del quale TU, Michael, ignori l'esistenza perché chi non ama sé stesso, non può amare gli altri!"

    Ero accecata dalla rabbia. Non riuscivo neanche a guardarlo in faccia. Sapevo perfettamente, che quel veleno gli permetteva di svuotare la mente, di non provare emozioni e gli spegneva la luce dell'anima,
    trasportandolo in una dimensione di totale assenza e distacco dalla realtà.
    Mi sudavano le mani e il respiro si faceva sempre più intenso. Uscii dalla stanza, presi il mio borsone, aprii la porta della suite, che dava su un lungo corridoio all'ultimo piano e salii in ascensore.
    Non disse nulla, non mi seguì nemmeno. "Certo - pensai furiosa - .....non ne ha la forza!!!!"
    Appena giunta nella hall chiesi al receptionist di chiamarmi un taxi. Gli uomini della security mi guardavano stralunati però non riuscivo a vederli.
    Il cuore rigettava il mio stesso sangue, in un fiume di lacrime inarrestabili. Il nemico, fatto di false verità, ossessioni e miraggi, che avevo sempre combattuto, era riuscito ad impadronirsi di me, gettandomi nel limbo di una mera, inutile illusione. Stavo per liberarmi dall'involucro di quel mondo sintetico che mi aveva imprigionata senza che io me ne rendessi conto, eppure......mi sentivo morire.
    Compresi di aver fallito il mio compito: non ero stata in grado di distruggere quel "mostro" che aveva trasformato il mio amore in uno schiavo, sempre pronto ad eseguire gli ordini di quella personalità astratta, eterea, che si alimentava con la sua anima d'angelo.


    Edited by *Catwoman* - 10/12/2010, 15:27
     
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  9. Beat it 81
     
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    Cat, ho letto tutti i capitoli che hai postato fin'ora, la tua Ff è troppo bella!!!!! Ti prego proseguila!!!! Baci Sara
     
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  10. *Catwoman*
     
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    Grazie Sara!! :--:
    Mi fa molto piacere che abbia apprezzato la mia storia, se riesco oggi posto il seguito.

    A presto e grazie ancora!! Un abbraccio :hug:
     
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  11. Beat it 81
     
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    CITAZIONE (*Catwoman* @ 13/12/2010, 12:13) 
    Grazie Sara!! :--:
    Mi fa molto piacere che abbia apprezzato la mia storia, se riesco oggi posto il seguito.

    A presto e grazie ancora!! Un abbraccio :hug:

    Evvai !!!! Nn vedo l'ora di leggere il seguito, sperando che x Ester e Mike ci sia futuro, mi piacciono troppo insieme...Grazie!! Baci Sara
     
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  12. *Catwoman*
     
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    Si ritroveranno, Ester e Michael, in una dimensione diversa, sublime, poichè non si sono mai lasciati.





    Capitolo XI
    ottobre - 05


    "Certe persone non vogliono essere salvate.
    Perché la salvezza implica un cambiamento.
    E il cambiamento richiede
    uno sforzo maggiore del restare uguali.
    Occorre coraggio per guardarsi allo specchio
    e vedere oltre il proprio riflesso.
    Per scoprire chi saresti dovuto diventare.
    La persona cancellata dagli eventi della tua infanzia.
    Eventi che hanno stravolto la traiettoria della tua vita.
    Trasformandoti in qualcosa di inimmaginabile..
    o persino di incredibile...
    Dandoti la forza di abbracciare ciò che ti aspetta
    sin dalla nascita, perché é il tuo desiderio.
    E capire, finalmente, chi sei....."

    Non lo vedevo da un paio di settimane. E non lo sentivo. Erano circa le 10 del mattino, quando il telefono a muro dell'ingresso, quillò.

    "Ciao Ester, scusa il disturbo, posso parlarti o hai da fare???"

    "Si si, Robert, tranquillo sono sola in casa – risposi - hai notizie?" - lo incalzai ansiosa.

    "Una buona e una cattiva. Lo so che sembra una ridicola battuta da film ma è così, Ester".

    “Okay........ fammi pure male con quella cattiva così mi rimane quella buona per curare le ferite" - risposi quasi rassegnata, sedendomi sulla poltroncina.

    "E' partito ieri. Ha portato con sé i bambini e parte del personale di servizio, perciò suppongo che non abbia intenzione di tornare molto presto.......".

    La voce di Robert si faceva meno sicura e io riuscivo a leggere nelle sue parole il disagio che la mia domanda successiva gli avrebbe arrecato.

    "Dove Robert........dov'è andato???".

    "In Bahrain.......... nel Golfo Persico..." -
    sospirò con una voce quasi impercettibile.

    "So .....dove ....si trova il Bahrain, Robert" - sbiascicai basita, senza rendermi conto che, con quella frase, lo avrei potuto offendere.

    Ma Robert non se la prese, non era tipo da portare rancore per così poco. Capiva perfettamente quale fosse il mio stato d'animo.

    "Forse saprai che l'altra settimana si trovava a Londra. Ha visto la matinèe di "Billy Elliot" ed ha anche portato i bambini al museo delle cere Madame Tussauds e a fare shopping ai grandi magazzini Harrods, li ha tenuti sempre con sé, tutto il tempo...."- proseguì, con tono comprensivo.
    Voleva farmi capire che questo era un buon segno, che aveva deciso di 'cambiare registro', di 'tornare indietro' o, almeno, ci stava provando.

    "Si, lo so. Tutto il mondo lo sa, quando si muove Michael Jackson, The King of Pop, tutto il mondo lo sa..........." - replicai con una punta di ironia nella voce.

    Ero sicura, quando avevo letto i giornali e visto i servizi in televisione, che sarebbe rientrato a breve a Los Angeles ed ero sicura di un'altra cosa: che mi avrebbe cercata.
    Ma, evidentemente, mi sbagliavo. Avevo peccato di presunzione, avevo voluto ad ogni costo vedere un barlume di speranza accendersi nel mio cuore anche se ormai sapevo, chiaramente, di aver perso la mia guerra.

    "Ester.....? Cara, mi stai ascoltando??" - dall'altro capo del telefono la voce di Robert si fece più convinta e ferma.

    "Cer....to.....Si.....Ti as...col....to"- risposi a monosillabi.

    Fu come se non fossi lì, persa com'ero nei meandri della mia mente a perlustrarne ogni angolo, cercando, senza trovarla, una seppur minima risposta alla mia domanda: perché???

    "So quello che stai pensando Ester. Non devi rimproverarti nulla, credimi - mi rassicurò - hai fatto tutto ciò che potevi, lo so e anche Michael lo sa. Infatti non è partito per ferirti e questa è la buona notizia...."

    "Continua!" - lo interruppi alzandomi di scatto, come un marinaio che avesse intuito la possibilità di un'ancora di salvezza in un mare in tempesta.

    "Laggiù lo stavano aspettando. Michael sarà ricoverato presso una clinica privata per la disintossicazione da psicofarmaci e dalla morfina...... Ce la farà, vedrai Ester, riuscirà a sconfiggere il suo male. Mi ha pregato di dirti che non ti dimenticherà mai e che, un giorno, si sdebiterà per tutto l'amore che gli hai dato e che non ha saputo ricambiare".

    "Ho...capito, grazie Robert...."
    - dissi chiudendo gli occhi, permettendo così alle lacrime limpide che si erano affacciate alle mie ciglia, di scivolare sulle mie guance per poi adagiarsi sulle labbra quasi a volerle dissetare perchè segnate da un'arida sensazione di abbandono.

    "Non preoccuparti, andrà tutto bene. Lui non ti chiamerà e tu non potrai chiamarlo ma ti terrò informata, fidati. Nessuno, a parte noi, deve sapere quanto ti ho riferito, per questo non sono venuto a casa tua. Farmi vedere con te è troppo rischioso, adesso. I media ci stanno alle costole, non ci danno tregua, chiedono in continuazione notizie, lo vogliono vedere, vogliono sapere che fine ha fatto. Non possiamo metterti in mezzo, non sarebbe giusto, dobbiamo proteggerti da quei mastini, sempre pronti ad azzannare chiunque entri in qualche modo a far parte della vita di Michael pur di arrivare a lui, a qualsiasi costo. Loro non ti conoscono ed è meglio che le cose restino così, credimi.
    Tom rilascerà un comunicato alla stampa dichiarando che Michael si trova in Bahrain, con i suoi figli, è sereno, è circondato da amici che lo hanno aiutato a superare il periodo difficile della sua vita e che sta bene".

    "Grazie, Robert. Sei un caro amico."-
    riuscii a rispondere prima di aprire la mano e lasciare che la cornetta del telefono a muro, dondolasse sospesa a una spanna dal pavimento.


    "A presto, piccola e ricordati che ti sono vicino" - mi salutò.

    *****

    Sinceramente, non sapevo se sentirmi sollevata da quello che avevo appena appreso dalle parole di Robert, oppure se dovevo temere che questa sua partenza, questa lontananza dal suo "mondo dorato" di celebrità, lo avrebbe spinto, ancora di più, verso quell'abisso di facili illusioni che la sua anima aveva ideato per salvarsi.
    Robert mi informò parecchie volte, anche dopo il mio rientro a Milano, rassicurandomi sul suo stato di salute. Mi diceva che tutto stava andando bene e che non dovevo preoccuparmi però, non mi riferiva mai nulla da parte di Michael. Solo una volta, mi disse che aveva deciso di restare a vivere nel Barhain perché là, aveva trovato la pace e la serenità.
    Dal canto mio, sapevo di averlo perso per sempre e anche che fosse giusto così. Lui non mi apparteneva, non mi era mai appartenuto veramente. La sua vita o meglio, la sua esistenza, era il frutto di una lunga e logorante ricerca della libertà, dell'attenzione, della considerazione che lo aveva portato a sviluppare quella parte dominante del suo spirito che aveva preso il sopravvento, soffocandolo giorno dopo giorno.
    Sento ancora quella voce gridare:


    "Ehi, sono qui, dietro questa maschera, dentro a questo totem che tutto il mondo venera, prigioniero di un'immagine che mi controlla e che mi impedisce di ricevere amore!"

    Era Michael che voleva veramente fuggire dai suoi profondi dolori, dal suo "male di vivere", oppure era il suo alter-ego, il mito, che si era stancato di ospitare dentro di sé un'anima fragile?
    Pareva che il tempo avesse racchiuso la sua spirale in una clessidra ed io fossi costretta a guardare una polvere impalpabile, scendere lenta e inarrestabile a scandire le ore, i giorni, le settimane, i mesi, gli anni.
    Guardare e aspettare che questa mia domanda trovasse la sua risposta.



    Edited by *Catwoman* - 13/12/2010, 19:47
     
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  13. Beat it 81
     
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    Oh mamma!!!!!! Cat, capitolo troppo bello, anche se doloroso, mi ha incuriosito la tua nota iniziale espero davvero che si ritrovino. Aspetto il seguito ;-)))). Baci
     
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  14. *Catwoman*
     
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    :--: Ciao Sara.
    Se ci sei verso sera, posto il capitolo 12......è l'ultimo poi c'è l'epilogo. In effetti quella frase dice molte cose.........spero di non deluderti! :**:

    Edited by *Catwoman* - 15/12/2010, 17:32
     
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  15. Beat it 81
     
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    CITAZIONE (*Catwoman* @ 15/12/2010, 15:03) 
    :--: Ciao Sara.
    Se ci sei verso sera, posto il capitolo 12......è l'ultimo poi c'è l'epilogo. In effetti quella frase dice molte cose.........spero di non deluderti! :**:

    Ciao Cat!!! Fino alle 18 sono in uffico, x cui se posti più o meno x quell'ora ci sono, se no domani sicuramente mi fionderò a leggere ;-))))) . La frase prima dello scorso capitolo mi fa pensare un po', spero nulla di brutto. Tranquilla, xè dovresti deludermi? ;-)))) . Aspetto il capitolo nuovo!!!! Baci
     
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36 replies since 6/11/2010, 15:00   948 views
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