Posts written by fallagain

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    Any Dream Can Become True.
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    Trama:

    1987, Los Angeles.
    Sharon Ville, ragazza di origine italiana con un sogno che sembra essere irrealizzabile: ballare e, con questa sua passione, diventare una professionista. Non è una ragazza come le altre, poiché il suo mondo è ritmo ed energia, musica allo stato puro. Nonostante le situazioni, è una ragazza positiva che crede in quello che vuole e una svolta inaspettata sembra essere l'occasione di un desiderio ormai rinchiuso dal tempo e dalla delusione. E lui... Be', lui non ha bisogno di presentazioni. Lui è Michael Jackson. In un modo molto particolare, questi due personaggi sono connessi da uno strano destino che li porterà ad una storia particolare che spero vi farà restare attaccati allo schermo del vostro computer.

    Data creazione: 24/01/10
    Rating: arancione
    Storyline: Bad era
    Genere: romantico, sentimentale, drammatico
    Capitoli tot.: 29
    Paring: Michael J. Jackson / Personaggio inventato


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    Premessa.


    Get always a chance.
    Punto di vista: Sharon Villa.


    Bene ragazze, per oggi può bastare», disse la Signorina Phillips, con un tono acuto e severo che mi fece rabbrividire. Ero in quella scuola di danza da quasi due settimane – anche se io, per quel posto, avrei preferito il termine IDPPCM, Istituto Denigratorio Per Principianti Come Me - e ancora non mi ero abituata alla sua parlantina rigida e stridula che, ogni giorno, me la faceva odiare sempre più. Già non la sopportavo per come si comportava nei miei confronti, sempre offensiva e poco gentile, ed in più la sua voce mi dava sui nervi, dal primo giorno in cui l’avevo conosciuta per giunta. Non mi scorderò mai quella stramaledetta giornata. Mai. Il modo in cui mi avevano trattato era stato il più offensivo che avessi mai ricevuto.
    Tutte assieme, io e le altre ballerine, ci alzammo e facemmo l’inchino, cosa che Mrs. Phillips desiderava fosse sempre fatta, una volta finita la lezione. Fatta anche quella sceneggiata tanto snob quanto disgustante per me, mi alzai in piedi agile e scattante, pronta per andare a casa, farmi una doccia e andare a lavoro, al locale più frequentato di una di quelle tante piccole e sconsolate periferie di Los Angeles.
    Non vedevo l’ora di andarmene e, nonostante l’ambiente ostile che mi veniva a parare di fronte il destino, ero ogni giorno di più convinta che chissà quando il mio sogno di diventare una ballerina professionista sarebbe diventato realtà. O almeno, io speravo.
    «E ora passiamo alle buone notizie!», esclamò di colpo, battendo le mani gioiosa. Mi bloccai di colpo con la mano sulla maniglia della porta, oramai arrivata alla porta che mi avrebbe portato all’uscita da quella sala da ballo, e schioccai un’occhiata curiosa e preoccupata alla professoressa. Ero curiosa sì, perché mi interessava sapere come mai fosse così contenta ed entusiasta, ma allo stesso tempo preoccupata perché di sicuro non rientravo nel gruppo di quelle che sarebbero evidentemente state “le fortunate” di quella novità.
    Sarebbe stato il solito concorso per figlie di papà ricche e viziate, gruppo nel quale assolutamente non rientravo. Purtroppo venivo considerata da tutte, insegnante compresa, come la povera ragazza straniera in cerca di fortuna in America dal fisico troppo formoso per una ballerina di danza classica che cerca invano di diventare qualcuno, e che alla fine non sarebbe mai andata da nessuna parte.
    La verità era che quella danza - il ballo classico, specifichiamo - non era fatta per me e lo sapevo fin da quando avevo pochi anni di età. Io avevo bisogno di muovermi, andare fuori dagli schemi... Non avere limiti. Sentirmi libera. Come Alex, la protagonista di Flashdance, il mio film preferito. Mi immedesimavo tantissimo in lei e nella sua storia.
    Peccato che nessuno riusciva a capire cosa provavo io quando ballavo, e non cosa si dovesse provare o essere concentrati per i passi giusti. Per loro la danza classica era quella che portava al successo. Oddio, era vero che era un po’ la base per tutti gli altri balli quella, ma se sapevo che nel programma di quella scuola contava di più il classico non mi sarei mai iscritta. E dire che lo avevo anche chiesto, alla segretaria, se in quel corso ci fosse stata la danza classica. Ma lei "Nooo, si figuri!". Come no.
    Che cosa avrebbe fatto la gente per i soldi a volte, io proprio non riuscivo a capirlo. Io vivevo in un altro mondo, fatto di danza e musica allo stato puro. Trasformavo la mia vita in musica e quando ballavo mi sentivo felice. Davvero felice.
    «Bene ragazze, mi raccomando, da domani inizieranno dei provini». Voci inquiete angosciate cominciarono ad echeggiare nella stanza, facendo diventare quel ansioso silenzio di attesa in un ronzio caotico e soffocante. «Silenzio, ragazze!», tuonò la Signorina Phillips. Quando tutte si calmarono e ritornò il silenzio, ritornò a sorridere contenta. «Domani, come ho già detto, inizieranno dei provini che saranno la vostra opportunità di una vita intera
    A sentirle pronunciarle quelle parole, sentii il cuore in gola. Una strana ansia percorse le mie vene al posto del sangue e, se avevo capito bene e l’udito e l'intelligenza non mi ingannavano, domani avrei potuto realizzare il mio sogno più grande con un solo provino. Peccato che io, ancora, non avevo capito di che razza di provino si trattasse. Se fosse stato riguardo la danza classica, mi sarei messa subito il cuore in pace. Con tutta l’anima pregai non trattasse di quel tipo di ballo.
    «Ebbene, vorrete sapere di che tipo di provino si tratta. Ragazze mie, proprio domani ci farà visita il cantante più famoso di tutti i tempi di questi giorni, e cerca proprio una ragazza per un video del suo nuovo album in debutto su tutte le classifiche mondiali…»
    Mi mancò il respiro. Quei dettagli erano abbastanza per capire di chi stesse parlando. Il sorriso sulle labbra della professoressa si allargarono sempre di più, fino a quando si decise finalmente a dire quel benedetto nome che avrebbe fatto rabbrividire perfino i muri dall’euforia. Un coro di gridi e urli eccitati si levò da tutte le ragazze presenti nella sala, tranne che da me.
    Io ero troppo emozionata per parlare e per respirare, soprattutto per far continuare a battere il mio cuore a ritmo naturale. Riuscii solo a sorridere, come una vera imbecille, e a portarmi le mani a coprirmi gran parte del viso, bocca e naso.
    «Calmatevi, ragazze, un po’ di contegno!» gridò felice Mrs. Phillips, battendo le mani chiamandole all’ordine. Una volta finite le crisi isteriche ed emozionate delle mie compagne di sala da ballo, l’anziana insegnante proseguì di nuovo con il suo discorso e prediche varie.
    «Voglio vedervi tutte preparate a dovere, ormai le cose le sapete fare meravigliosamente. Non avrete problemi in nessun stile, grazie alle cose che vi ho insegnato», disse orgogliosa la professoressa, rivolgendomi uno sguardo malvagiamente sorridente.
    Sapeva benissimo che io sapevo poco e niente di come si faceva in modo meraviglioso un Cambrè, un Attitude o un Arabesque! Qualsiasi passo provassi a fare non andava mai bene. Lo capivo da come mi guardava e dal modo dispregiativo con cui mi correggeva, e dalle risatine cattive alle mie spalle di Jenny e Gloria, due galline che avevano sbagliato pollaio tanto tempo fa.
    «Mi scusi, Signorina Phillips» intervenne, come al solito, la vipera di turno, Gloria Williams. «E chi è appena arrivato da poco tempo, nella scuola, farà lo stesso il provino?»
    Non guardava me, ma di sicuro quella frase non poteva essere rivolta ad altri. Accennai ad un sorriso falsamente cordiale a Jenny, che mi guardò sorridente ma con fastidio per la mia espressione di scherma.
    Anche perché, poi, mi ero abituata a tutte le loro battute e prese in giro; quando c’era la professoressa non rispondevo mai, ma se capitava mi provocassero quando non era presente le massacravo a parole. Mi bastava dirle poche parole di falsa benevolenza e le inducevo ancora di più alla rabbia. Mi divertivo, tutto sommato. E ancora non riuscivo a capire il perchè mi avevano odiato fin dal primo giorno in cui ero stata ammessa a quella classe.
    «Tutte parteciperanno, almeno se qualcuno non rinuncia già da adesso», rispose lanciandomi una fugace occhiata che ricambiai non smettendo di sorridere. «Ovviamente chi non sarà all’altezza, penso che si noterà da subito».
    «E in cosa si baserà questo provino?» disse una delle tante ballerine in sala, che se non ricordavo male si chiamasse Lauren. La Signorina Phillips si aggiusto gli occhiali sul naso e rispose, lasciando trasparire una tonalità di voce assolutamente neutra.
    «Dovrete ballare una ciascuna, secondo l’elenco, in una vostra esibizione a piacere. Più specificatamente, il genere richiesto sarà molto più movimentato della raffinata danza classica».
    Un coro di voci preoccupate e nervose cominciò a farsi udire, mentre io pensai di essere l’unica in quella stanza ad essere felice come una pazza per quella notizia. Saper di poter ballare un pezzo tutto mio e non classico, e in più con mie coreografie mi rendeva al settimo cielo. Di sicuro non volevo perdere quell’occasione.
    Se sarebbe andata bene o male non mi importava, quello che sentivo era solo il desiderio di sentirmi bene e mostrare che, al contrario di quello che diceva qualcuno, io la musica la possedevo, con o senza tecnica di base. Oramai non credevo molto nel mio sogno, c’erano molte più brave di me, ma la speranza era dura a morire, nel mio caso.
    «E ora andate, dovete essere bellissime e fresche per domani. È un’occasione da non perdere, da non perdere! Non fatemi fare brutta figura, altrimenti sarò costretta a non farvi esibire… Voglio che rappresentiate questa scuola al meglio, perché la maggior parte di voi sono delle ballerine modello! Sono sicura nelle vostre capacità, ma non mi deludete! Troverete tutti gli orari nella bacheca all'ingresso, au revoir!»
    Quasi fosse più importante la reputazione che il nostro futuro, si diresse a passo spedito e sulle punte verso l’uscita, mentre tutte le rivolsero il saluto, me compresa. Una volta uscita la professoressa, le due oche starnazzanti di nome Jenny e Gloria mi si avvicinarono.
    «Allora partecipi anche tu, dilettante?» disse Gloria con un sorrisetto divertito. Non si poteva dire lo stesso di Jenny, che mi guardava piena d'invidia, neanche avessi già vinto. In effetti, capivo che si sentiva già con meno possibilità, al mio confronto.
    «Ovvio, ma non vi chiederò se parteciperete anche voi. La risposta già la so da me, non ho bisogno di inutili chiacchiere» dissi perfidamente divertita dalla smorfia che apparve sul volto contratto di Jenny. Gloria alzò un sopracciglio e continuò per la sua strada.
    «Stai tranquilla, avrai molto tempo per affinare le tue tecniche classiche di base, perché di sicuro non verrai presa.» rispose, trasformando quel sorriso in una faccia provocatoria. Io alzai di spalle, con un’espressione ingenua in volto.
    «Può essere. E tu sei convinta di vincere?»
    «Ovviamente. Non ho dubbi». Nel suo tono di voce, scoprii una leggera nota di rabbia per la mia domanda che, sicuramente, pensava fosse insensata.
    «Allora buon per te. Intanto, prima di sognare, aspetta domani. Potrebbe vincere qualcun altro, che non sia né io né tu o nè Jenny.»
    Nel volto di entrambe le due comari apparve una smorfia di rabbia e fastidio, così girarono i tacchi – o le punte – e se ne uscirono fuori dalla stanza, seguite dalle solite stupide invaghite delle più ammirate di quella classe.
    Sospirando, uscii anche io, proseguendo diretta però verso casa una volta fuori dall'edificio, non prima di aver controllato la bacheca degli orari di domani riguardo al provino. Uscita da quel posto che mi faceva venire ogni volta che ci entravo mal di stomaco, subito fui bloccata da Roxy, una ragazza timida e l'unica che mi trattava come una persona normale, in quella scuola. Aveva dei profondi occhi cioccolato e portava lisci capelli bruni poco più lunghi delle spalle.
    «Hey Roxy», dissi fermandomi e rivolgendole un cenno con la mano. Non appena mi si avvicinò, prese fiato e mi disse:
    «Volevo chiederti... Domani farai anche tu il provino, insomma, come le altre?»
    «Certo», dissi alzando le spalle con un lieve sorriso in volto. Sapevo che qualcosa la tormentava, e di sicuro non riguardava me. Era ovviamente in dubbio, come tutte le altre ballerine del corso.
    «Ecco, tu nei miei panni... Che faresti? Cioè, lo so che vado meglio nella classica, però mi piacerebbe provare... Insomma, è Michael Jackson! Un'occasione così non capiterà mai più!» disse saltellando su sè stessa, non appena pronunciò il nome dell'artista. Io, felice di quell'entusiasmo improvviso, le sorrisi apertamente. Mai mi sarei immaginata Roxy Views una fan di Michael Jackson.
    «Allora, se ritieni che questo sia un avvenimento importante, provaci! Magari verrai presa! Vedrai che farai una buona esibizione, sei brava», le risposi poggiandole una mano sulla spalla sinistra, per rincuorarla.
    «Io non credo vincerò... Stai sicura che prenderanno te, non ho dubbi», ammise lei, guardandomi sorridente. Una cosa che mi piaceva di Roxy, era che non provava invidia. Non era gelosa per le cose che possedevano altri o per opportunità a lei non concesse. Era una brava persona, la migliore là dentro in quell'inferno.
    «Speriamo, ma ho anche io dei forti dubbi... E spero anche per te il successo.»
    «Grazie Sharon. Quindi tu pensi che debba...?» chiese mordendosi il labbro inferiore, nervosa.
    «Sì, provaci.» risposi annuendo convinta. «Se questa esperienza non accadrà mai più, è meglio provarci no?»
    Mi sorrise cordiale, mi ringraziò e mi salutò, dicendomi che se avrebbe fatto tardi avrebbe perso sicuramente l'autubus che l'avrebbe portata a casa. Io, allora, m'incamminai verso la strada di casa.
    Purtroppo anche quella sera avrei dovuto lavorare al locale, ma forse era una buona cosa: mi sarei potuta esibire in un ballo pre-provino. Ballavo spesso alla sera, al locale, oltre che a fare la cameriera e assistente barista, e il pubblico mi ammirava. Mi sentivo, per quel poco che facevo, fiera di me. Quel locale era come una seconda casa. Per evitare di farmi due volte la doccia, proseguii dritta al bar "Saturday Night" e mi misi al lavoro prima del tempo; un po’ di straordinari mi avrebbero fatto bene.
    Per tutta la serata non pensai ad altro se non al provino e ai miei sogni per il futuro. Dissi dell'opportunità al mio capo, il signor John Berry, e fu felice per me; anche lui, nonostante le apparenze da uomo tozzo e piccolo, dalla severità degna di una roccia, si era rivelata una brava persona. Mi apprezzava per come ballavo e finita ogni esibizione mi faceva sempre complimenti, offrendomi in più un drink gratis. Al bar lavorava con me anche una mia cara amica, Hilary, e mi disse che se avrei vinto mi avrebbe portato a fare shopping no-stop, tutte spese pagate da lei. Era più agitata lei che io, che avrei dovuto entro poche ore esibirmi.
    Ripensai a quel cantante di nome Michael Jackson che, nella mia vita, aveva segnato un lato della mia esistenza indelebile... Assieme a tutti i miei film preferiti che mi avevano dato ispirazione nella danza, ovvio. Michael Jackson era per me, fin da bambina, un esempio da ammirare, ma non ero mai stata una sua vera fan. Io lo ammiravo come ballerino e artista in sé, il carattere non lo conoscevo. Non mi ero mai interessata se non alla musica, sebbene lo trovassi di primo impatto una persona gentile e sincera. Non potevo basarmi solo su quello che intravedevo dalla tv e dai media, per definirlo una persona di cui farne un idolo. Forse le cose, da domani, sarebbero cambiate. Avrebbe reso la mia vita colorata di un sogno che, ormai, avevo rinchiuso per sempre in un cassetto del mio cuore? Sarei stata abbastanza brava da superare quella prova?
    L'unica cosa di cui ero certa, era che l'indomani sarebbe stato il giorno più importante della mia vita.

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    Capitolo Uno.


    Dancing for her life.
    Punto di vista: Michael Jackson.


    Prego, ora tocchi alla signorina Megan Taylor», disse l’accomodante voce di Mrs. Phillips, la professoressa delle ballerine che stavo per l’appunto esaminando accuratamente.

    Io e il mio manager avevamo vagato per tutte le scuole di danza di Los Angeles, in cerca di una ballerina per il mio nuovo e primo video estratto dall’album Bad, The Way You Make Me Feel, ma non avevo ancora trovato quella che avrei desideravo trovare. Ci erano rimaste solo 5 scuole da esaminare, e chissà, magari avrei trovato quella giusta nei posti che più potevano essere impensabili.
    Solo due, quel giorno, avevano attirato per quel poco la mia attenzione; erano brave, avevano base a sufficienza per essere delle professioniste, ma non avevano quella, come si dice, passione quando si esibivano, che ormai ero sul punto di credere che anche in quella scuola non avrei trovato la ragazza che cercavo.
    Ella doveva essere semplice, quando si muoveva doveva essere… Doveva essere felice. Doveva essere orgogliosa di ballare, dovrebbe trasmettere. Ecco, la parola giusta era proprio trasmettere.
    Stavo seduto su una cattedra lunga di mogano, in fondo ad un angolo di un’enorme stanza di parquet di legno e senza specchi. Ero seduto al centro del tavolo, con alla mia sinistra il mio assistente coreografo, il mio manager Frank Di Leo e alla mia destra la Signorina Phillips. In quella posizione, potevo avere una chiara visione della sala e delle ballerine che si esibivano.
    Quella volta, a discapito di altre, avevo scelto di farne esibire una per una, in modo da osservarle attentamente e senza far differenze. Non volevo rischiare di perdere, se nel caso ci fosse stata, la persona giusta che avrei proclamato fosse quella corretta.
    Quando l’esibizione di anche questa finì, toccò ad una certa Jenny Vain, secondo l’elenco. L’insegnante accanto a me sembrò emozionata all’idea di vederla ballare, quando le lanciai un’occhiata fulminea potei capire che di sicuro era una delle preferite.
    La ragazza cominciò a ballare, ad un ritmo quasi classico, forse troppo per i miei gusti, siccome ricercavo qualcuno che sapesse danzare una musica più movimentata. Aveva tecnica però, dovevo ammetterlo. Ed era anche abbastanza carina. Decisi di prenderla in considerazione e sull’elenco delle ballerine la segnai con un asterisco.
    Quando la professoressa vide quel mio gesto, mi parlò emozionata.
    «Jenny Vain è una delle più promettenti ballerine di questa scuola, sono sicura che se ci lavorerà un po’ su non la deluderà» mi disse sottovoce. «E possiede bellezza, anche questo non si deve scordare».
    «Oh, certo. La prenderò in considerazione» risposi, non staccando gli occhi dalla ballerina che, con un lieve sorriso in volto, fece l’inchino.
    Chissà perché, Mrs. Phillips non era una donna che mi suscitava fiducia. Faceva differenza, e la cosa non mi piaceva. In ogni modo, decisi di prendere in considerazione il talento delle ragazze, non il carattere.
    «Bene,» dissi poggiando la penna sul tavolo e rivolgendo alla ragazza un lieve sorriso di rimando. «Grazie per l’esibizione. Passiamo a…» Guardai l’elenco e poi ripresi. «Sharon Villa».
    Silenzio. Non successe praticamente niente. Pensai che non avesse sentito, perciò ripetei il suo nome. Dalla sala cominciarono a provenire voci soffocante e risatine dalle ragazze presenti e subito Mrs. Phillips mi bloccò, prima che potessi spiccicare di nuovo parola.
    «La ragazza non verrà, penso. Chiedo scusa al posto suo di questo suo comportamento infantile,» disse pronunciando quelle parole in un modo dispregiativo che mi portò a guardarla fisso negli occhi. «Ma non si perde niente, è qui da poche settimane perciò…»
    «Sì, sì, ho capito», risposi bloccandola prima che potesse dire altre cose.
    Non mi piacevano le persone che offendevano a priori, sebbene in effetti non pensavo avesse tutti i torti. Era stato un comportamento un po’ impulsivo, ma capivo l’ansia che si poteva provare. La compativo, nonostante non la conoscessi. Tuttavia, non potevo capire come mai quel tono malvagio da parte dell’insegnante.
    Da un gruppetto di ballerine in fondo scorsi alcune, fra cui Jenny Vain, ridere sarcasticamente e, casualmente, sentii pronunciare il nome della ragazza che non si era presentata. Quando incrociarono il mio sguardo, quelle quattro o tre ragazze smisero subito di ridere, siccome le fissavo pensieroso e deluso dal comportamento di certe persone.
    Feci finta di niente, nonostante gli sguardi di paura e di timore, e continuai a chiamare una ad una le ragazze dell’elenco, sotto gli sguardi di tutti i presenti in sala.
    «Avanti con… Roxanne Views».
    Una ragazza dai capelli bruni e gli occhi scuri si fece avanti, minuta, e inserì nel lettore Cd dell’angolo alla mia sinistra della parete il disco.
    Cominciò a ballare e cercai di rimanere con l’attenzione fissa alla sua danza, piuttosto che pensare alla ragazza precedente ed il motivo perché non fosse venuta.
    Nessuno, penso, avrebbe mai perso un’occasione così.
    Ad un certo punto la mia attenzione – e un po’ quella di tutti in sala – si rivolse ad una ragazza che, in fretta e furia entrò nella stanza ansimando. Era una ragazza dai capelli ricci e lunghi, di colore castano scuro, e con profondi occhi neri. Aveva la pelle mulatta e un viso ovale, dai lineamenti marcati ma con un che da bambina. Che fosse lei Sharon Villa?
    Mrs. Phillips si alzò dalla sua sedia in modo molto secco, con l’aria di chi sta per scatenare tutta la sua ira e la sua furia. La ragazza rimase immobile, guardando tutte le persone nella sala, incrociando in ultimo il mio sguardo.
    Non so cosa accade, ma la sensazione che mi provocò attraverso i suoi occhi fu fatale. Non avevo mai visto uno sguardo più intenso. La luce che trasmettevano i suoi occhi neri era profonda, intensa. Una luce che trasmetteva vita.
    Arrossì di colpo, non appena ebbe focalizzato che quello che stava fissando ero veramente io, e spostò di colpo gli occhi sulla Signorina Phillips, che nel frattempo l’aveva già raggiunta a passo agile e dinamico. Vidi le labbra della ragazza muoversi veloci, fin quando non furono interrotte da quelle della anziana donna, furente di rabbia.
    «Michael?», disse il coreografo, alla mia sinistra, preoccupato.
    «Di’ di fermare un momento la musica, per cortesia…» dissi guardando un momento la ragazza, Roxanne Views, che si era accorta di quello che era successo e si era fermata, preoccupata.
    La musica s’interruppe di colpo e gli sguardi delle ballerine, dell’insegnante e di Sharon – ormai non avevo dubbi sul chi fosse – mi fissarono straniti. Guardai la professoressa Phillips, improvvisamente terrorizzata, e Sharon, la quale non muoveva un muscolo.
    «C’è qualche problema?» disse il coreografo, rubandomi parola di bocca.
    Subito Mrs. Phillips guardò me, a bocca aperta, poggiando successivamente uno sguardo omicida su Sharon – che teneva gli occhi fissi ai miei – e rivolgendosi infine a me.
    «Mi… Mi dispiace molto, signor Jackson, per l’interruzione. Lei non…» disse balbettando con voce tremante e irata.
    «Sei Sharon Villa, vero?» chiesi rivolto alla giovane, con un lieve sorriso. Lei annuì soltanto e poi tornò a guardare la maestra, con uno sguardo carico di rancore e frustrazione.
    Perché quell’odio reciproco, fra insegnante e alunna?
    «Signor Jackson, le chiedo perdono per l’interruzione. Io davvero…». Senza le parole giuste per proseguire, tornò a guardare negli occhi la ballerina, questa volta con un tono di secca decisione.
    «Non ci saranno più intoppi, la ragazza non ballerà e potrete andare avanti coi provini».
    «Cosa?!», esclamò la ragazza, sbarrando gli occhi. Rimasi ad osservarla, questa volta sorpreso dalla sua improvvisa esclamazione.
    Poi il suo sguardo fuggì verso due ragazze, di cui una sempre la solita Jenny Vain, a sogghignare. Il suo sguardo si fece carico di rabbia.
    «Tu non ballerai, né ora né qua», ripeté l’insegnante, questa volta fulminandola con lo sguardo di chi non ammetteva repliche.
    Vidi gli occhi di quella Sharon farsi lucidi di rabbia e delusione e sentii improvvisamente l’istinto di volerla aiutare. Potevo scorgere in lei la voglia di danzare e qualcosa dentro di me mi disse che dovevo farle raggiungere il suo scopo; se non l’avrei fatto, magari mi sarei pentito per sempre.
    E lei soprattutto avrebbe sofferto per sempre.
    «Io invece vorrei vederti ballare, Sharon» dissi, sentendo tutti gli sguardi, nel giro di un secondo, su di me. Anche la ballerina mi guardò con occhi sconvolti e eccitati. Io, allora, le sorrisi gentilmente.
    «Cosa?». Questa volta era Mrs. Phillips ad esserne sconvolta, mentre Sharon mi ricambiava la cortesia con un sorriso aperto e spontaneo, affascinante.
    «Io avrei finito, puoi prendere il mio posto se vuoi…» rispose una timida voce, proveniente da Roxanne Views, la ragazza che si era interrotta nel mezzo dell’esibizione.
    Sharon la guardò con uno sguardo pieno di rammarico e angoscia, immaginando si sentisse in colpa per averle troncato una occasione come quella. L’altra le sorrise gentile e solo allora lei ricambiò con un sottile “Grazie”.
    Sorridendo, a discapito di tutte le ballerine e la professoressa sconvolte e scioccate da quella situazione, con un cenno del capo invitai Sharon a farsi avanti, in piedi dalla sedia su cui una decina di minuti prima stavo seduto. La Signorina Phillips accennò una smorfia irata con le labbra e squadrò l’alunna con disgusto e odio inumano. Solo allora la ragazza, facendo finta di niente, s’incamminò allo stereo per inserire il Cd di ballo.
    L’anziana donna si portò alla cattedra, non enunciando parola, e finalmente mi sedetti anche io. Sorrisi inconsciamente. Nel frattempo che la ragazza faceva un po' di stretching, il mio assistente coreografo mi parlò.
    «Sei davvero sicuro ne varrà la pena? E se non è brava come desideri?», chiese dubbioso.
    «In quel caso almeno avremo tentato.», dissi cordiale, alzando le spalle, non riuscendo a distogliere gli occhi dalla ballerina Sharon, che velocemente si riscaldava.
    «Signor Jackson, le prego di perdonare quella che sarà una perdita di tempo…» riprese imperterrita Mrs. Phillips, non dandosi per vinta. «Lei non è una professionista, è solo una ragazza straniera che non ha base… Frequenta questa scuola da solo due settimane, non ha tecnica… E' solo... La prego, non… Non sa quello che fa…»
    Subito la interruppi, non volendo più sentirla enunciare parola. Mi davano fastidio le persone che dispregiavano altra gente senza un motivo giusto. «So benissimo quello che sto facendo, ho le idee molto chiare».
    Non disse più nulla. Nessuno disse più niente e, da quel momento, solo la musica cominciò a regnare sull’immensa stanza. La traccia che avevo scelto non mi era nota, ma stranamente – in confronto a tutte le altre – non aveva preparato una coreografia su una mia canzone.
    La ragazza si fece avanti al centro della stanza, con accanto alla sua sinistra a qualche metro da lei una sedia. Mi guardò un istante, con una espressione decisa e tranquilla, per poi volgere il suo sguardo sul pavimento.
    La vidi chiudere gli occhi e respirare profondamente. Una volta che il ritmo si fece più veloce, vidi il suo corpo cominciare a scaldarsi e dalle sue labbra comparire un sorriso. Un sorriso sereno. Felice.
    La ragazza aprì gli occhi di scatto e cominciò a muoversi, sinuosa ma secca nei movimenti, a ritmo delle note di quella stupenda canzone hip hop. L’unica cosa che in quel momento riuscivo a fare era quella di starmene a bocca aperta. Come tutti quelli presenti nella sala, d’altronde.
    Il mio istinto non aveva torto, quella volta. Era lei. Ne ero sicuro. Lei trasmetteva emozioni!
    La vidi muoversi agilmente, sorridente, felice di quello che faceva. Era magnifica. Non avevo mai visto nessuno così, e lei era quella particolare eccezione alle regole. Davvero sembrava di vivere personalmente la scena di Flashdance, la scena in cui la protagonista si esibiva per il suo esame.
    Ma la cosa che più mi rendeva senza parole, era l’energia che dava. Trasmetteva quella voglia di ballare e di muoversi, la libertà e la serenità di quando si prova ad essere senza catene, senza limiti di svago.
    Non riuscii neanche a pensare a qualcosa di concreto. Era come starsene in un altro mondo e non ero il solo a pensarla così. Tutti in quella sala erano senza parole e le persone che prima la giudicavano ora la guardavano scioccate e senza le parole per dire qualche altra cattiveria. Lei regnava in quella pista da ballo, niente la poteva fermare. Il suo mondo era il ballo. Ballare era la sua unica via d’uscita da quel mondo… Proprio come per me.
    Quando finì il ballo, la ritrovai inginocchiata con gli occhi chiusi, a pochi metri in linea da dove stavo seduto. Non seppi che espressione avevo in volto, né quelle degli altri in sala. Lei ansimò e si alzò in piedi, in equilibrio perfetto.
    Guardò la sua insegnante e, a scapito di tutti, fece l’inchino. Vidi nel suo volto comparire un’espressione di tranquillità innata, quasi come se si sentiva la più serena di quel mondo.
    «Grazie… Per avermi dato… Questa opportunità…» disse ancora ansimante, accennando un sorriso verso di me, e girò i tacchi in direzione del lettore Cd.
    Prelevò il suo disco e lo mise nella tracolla che aveva portato con sé. Nessuno disse niente, ma lei proseguì dritta per la sua via, senza guardare nessuno in faccia. Una volta propensa alla porta d’uscita, un istinto dentro di me mi spinse ad alzarmi dalla sedia.
    «Aspetta…», la chiamai, con voce alta ma comunque tremante, a causa delle forti sensazioni di felicità immotivate che mi possedevano.
    Sentivo lo sguardo di tutti i presenti su di me – alcuni dubbiosi, alcuni ansiosi, alcuni perfino arrabbiati – ma ero concentrato solo su una persona, Sharon.
    Lei si voltò a guardarmi, sinceramente curiosa, neanche si aspettasse la lasciassi andare senza fermarla. Io le sorrisi e, mantenendo una tonalità normale, le chiesi: «Se posso chiederti… Cosa pensi, quando balli?»
    Pronunciai quelle parole con calma, quasi sillabando, e lei abbassò lo sguardo verso il pavimento, a pensare, a fronte corrugata. Improvvisamente sorrise e mi rivolse i suoi occhi particolarmente illuminati di felicità.
    «Io non penso. Mai. Quando ballo mi libero di tutti i problemi, del dolore, della sofferenza, del passato… Ballare mi rende forte, mi fa sentire bene. Mi da la forza di andare avanti. Sono libera, felice.»
    Disse quelle parole con estrema devozione trasparire nella voce e nello sguardo che mi fece rabbrividire. Un lungo fremito mi avvolse tutto, rendendomi immobile e impedendomi la capacità di movimento. Il cervello non aveva più capacità di pensare. Sentivo solamente un senso di calore dentro l’anima, a quelle parole.
    Lei mi sorrise apertamente, con incantevole gentilezza, e uscì dalla porta, lasciandosi sguardi increduli e immediati bisbigli soffocati alle spalle.

    _______________________________________




    Capitolo Due.


    Get inside my mind.
    Punto di vista: Sharon Villa.


    Non potevo crederci. Avevo ballato per me stessa. Avevo ballato per il mio futuro. Avevo ballato e ora mi sentivo divinamente, leggera. Ero, per la prima e vera volta nella mia vita, nella condizione di dire che ero felice per me, per quello che avevo fatto. Così, aprii frettolosamente la porta d’ingresso del locale, emozionata all’idea di raccontare tutto quello che era successo alla mia amica Ilary.
    Mentre attraversai il locale per recarmi verso il bancone – venni salutata da quasi tutti i clienti fissi che oramai conoscevano perfettamente chi fossi, grazie alle mie esibizioni di danza sul palco – notai uno strano tipo che non avevo mai visto prima. Era seduto su uno sgabello, vicino allo spigolo del bancone, un posto con cui ogni persona avrebbe avuto una precisa e netta vista sul palco. Guardava l’esibizione di Rachel Parker – ragazzina di quasi 22 anni, una fra le più giovani intrattenitrici del bar – che cantava una delle sue canzoni più richieste, munita della sua inseparabile chitarra elettrica.
    A pochi passi dal bancone, sentii urlare il mio nome ad alta voce e sentirmi abbracciare alle spalle. Chi altri poteva essere se non Ilary? Sorrisi e mi voltai verso di lei, mentre imperterrita mi teneva in una stretta formidabile fra le sue braccia.
    «Sharon, devi assolutamente dirmi com’è andata! Allora, ti hanno preso?» mi chiese con la sua parlantina veloce, saltellando su se stessa emozionata. Io le sorrisi, prendendola con le mie mani sulle spalle per farla smettere di saltare.
    «Innanzitutto, calma. Rischierai l’infarto, prima o poi», dissi ridendo. Lei sbuffò, contrariata, fermandosi sul posto.
    «Che se ne frega dell’infarto», esclamò alzando una mano in alto, nervosamente. «Io. Voglio. Sapere».
    Risi, ma non feci tempo a non dire altre parole che arrivò John, il nostro capo. Pronunciò il mio nome, a mo’ di saluto, e mi abbracciò stretta, cosa che prima di allora aveva fatto solo quando avevo compiuto gli anni – 27 precisamente - festeggiando al locale.
    «Allora com’è andata? Ti hanno preso?» mi chiese anche lui. Cercai di controllare una smorfia contrariata sul viso, e sorrisi allegramente. Vidi nei loro volti la luce, e sarebbe stato evidente che li avrei subito deluso, a quella notizia.
    «Be’, in effetti…». Neanche cominciai il discorso che venni subito interrotta.
    «Prima, siediti», disse John indicandomi lo sgabello accanto allo spigolo del bancone, accanto a quel nuovo cliente mai visto prima d’ora. Eppure qualcosa nei suoi modi di fare mi spingeva a constatare che già lo conoscevo. No, era impossibile.
    «Ma come, e il lavoro?» chiesi io, con espressione confusa, mentre i due si spostavano dall’altra parte del bancone, a fissarmi curiosi.
    «Niente lavoro stasera» rispose Ilary immediata. «Lo ha detto il capo qui presente.»
    «Oh, non serviva, davvero!». Feci per rialzarmi ma subito mi accompagnarono giù a sedere con la forza delle loro braccia, quasi che il loro fosse più un ordine che un permesso. Li rimasi a guardare quasi scioccata, mentre Ilary cominciava a farsi irrequieta.
    «Ora raccontaci… Cosa è successo?», domandò John, appoggiandosi con il gomito sinistro sul banco in legno scuro. Io li guardai sorridente, troppo contenta per il mio successo personale, meno preoccupata alla loro successiva “piccola delusione”. Ma io, proprio quella sera, non potevo non sentirmi felice.
    «In realtà non è andata» risposi serenamente, mentre mi accorsi che i loro occhi cominciavano a fuoriuscire dalla orbite. Prima che dicessero qualcosa, continuai. «Diciamo che ho perso l’autobus, quindi me la sono dovuta fare di corsa. Perciò… Sono arrivata in ritardo e…»
    Sul mio volto spiccò un sorriso leggero, che fu subito spento dagli sguardi tristi e un tantino arrabbiati delle due persone a me di fronte.
    «Tu. Hai. Perso. La. Corriera?» disse sillabando Ilary, mezza furiosa e mezza delusa. Io abbassai lo sguardo, annuendo.
    «Vuol dire che non hai ballato? Non ti hanno permesso di danzare?» chiese John, facendosi arrabbiato e triste allo stesso tempo. Io aggrottai la fronte, pensando che quella situazione era più complicata di quella che mi sarei aspettata. Sospirai e poi ripresi a parlare, sotto gli sguardi immobilizzati di John e Ilary.
    «Ho ballato, questo sì…». Proprio nel frattempo che pronunciai quella frase, i due sospirarono di sollievo. Li linciai con lo sguardo, a mo’ di dire “Lasciatemi finire, per cortesia”. Subito capirono l’andazzo del mio occhio e tacquero.
    «Ma non penso verrò presa. Non penso neanche che potrò più frequentare la scuola di danza. La professoressa mi odia, per non contare le altre comari del circolo, e con la figura che le ho fatto fare so che mi butterà fuori.», dissi passando con l’indice della mano destra il contorno del bicchiere di Coca Cola offerto da John, proprio mentre dicevo quelle parole.
    «Adesso basta fare la vaga», esclamò irritata Ilary, attirando il mio sguardo disorientato su di lei. «Dicci in ogni minimo dettaglio – e quando intendo minimo dettaglio significa proprio tutto – riguardo a cosa è successo».
    Sorrisi della sua espressione buffamente arrabbiata e di quella preoccupata di John, bevvi un sorso di Cola e mi propensi a parlare, una volta per tutte in modo chiaro e conciso, prima che mi costringessero con la forza – anche se prevedevo sarebbe stata un’impresa, data la mia testardaggine. Spiegai tutta la storia, per filo e per segno, non tralasciando le mie sensazioni e la felicità che traspariva da ogni mio particella del corpo. Sentii perfino lo sguardo curioso e attento dell’estraneo all’angolo, vicino a me di quasi mezzo metro, ma non ci badai molto. Non mi dava fastidio sapere di essere ascoltata, poiché era una persona la quale sapeva poco e niente di me e io lo stesso per lui. Alla fine del racconto, schioccai un’occhiata di scherno a Ilary e John, che mi guardavano preoccupati.
    «Quindi non sei triste?», chiese cauta Ilary. Oddio, adesso mi avrebbero fatto il questionario per vedere se il mio grado di serenità era reale oppure no. Prevedevo una lunga serata, a mio sfavore. Che scena comica: io, felice, che sarei stata sgridata perché lo ero.
    «No, per niente», risposi scuotendo la testa e guardando entrambi negli occhi, senza niente da nascondere.
    «Sono davvero, davvero contenta per ogni minima cosa che ho fatto. Non mi pento, e ballando ho capito un’altra cosa, molto importante; io il mio sogno lo realizzato. Ho dimostrato a qualcuno che so danzare, o almeno penso, ma soprattutto che la musica la sento dentro. Io amo il ritmo. È un’altra parte di me. Ora so che l’unica cosa che voglio dalla mia vita è continuare a ballare, mantenendo questa passione. Punto».
    Il mio discorso li rese finalmente convinti che dicevo la realtà. Quando mi accorsi che sorrisero, sorrisi anche io di rimando. Ilary mi prese delicata la mano sinistra, quella che tenevo appoggiata libera sul bancone, e mi disse: «Se è questo quello che vuoi dalla vita, io ti appoggerò».
    Mi sentii onorata da quelle parole, tanto che mi venne da commuovermi. John sorrise e d’improvviso ci avvisò che doveva un momento andare dietro le quinte, a controllare qualcosa. Non sospettai niente e rimasi lì, seduta, a seguire le varie esibizioni, commentandole con la mia amica del cuore impegnata nelle faccende da eseguire. Ridemmo come delle sceme per alcune sue constatazioni, e munita di straccio mi impegnavo a batterle un colpo sulla spalla, nei momenti che i suoi commenti si facevano più spinti.
    «Ehy tesoro», disse una voce maschile, che io conoscevo più che bene e che mi dava sui nervi, ogni volta che mi capitava di sentirla. Sbuffai, non guardando alla mia sinistra, proprio la direzione nella quale si era seduto lui.
    «Che c’è, non mi saluti più?»
    Si chiamava Tyler McFear, era un giovane uomo sempre alla ricerca di divertimento e di belle donne. Da un mese e più mi stressava la vita con la storia che eravamo fatti per stare insieme, ma io non gli davo corda. Aveva perfino cercato a convincermi di uscire con lui, qualche sera, ma io avevo rifiutato. Ma ora si faceva più pesante, da un po’ di giorni non lo potevo più sopportare. Era un pallone gonfiato, con la smania di fare sesso e basta. Una botta e via, come si dice. Ma se pensava di avere quell’effetto su di me, aveva sbagliato ragazza. Non ero così cretina da cadere in quei sciocchi tranelli.
    «Ciao, Tyler.» risposi acida, guardandolo fisso per mezzo secondo e poi tornando con gli occhi sul palco. Ero seduta sullo sgabello, in direzione dei cantanti, con alla mia destra lui e alla sinistra, all’angolo, l’estraneo che d’improvviso si era fatto più attento e vigile, nascosto da un capello e scarpa che teneva per coprigli il volto.
    «Be’, non serve essere così fredde… Lo sai che ti amo, baby», disse avvicinandosi sempre più al mio viso. Io non mossi un muscolo per allontanarmi dalla posizione che ero e mi misi a ridere, falsamente divertita. Immediatamente si allontanò, con un cenno all’irritazione in volto. Si sentiva preso in giro, ed aveva ragione.
    «Ohoh, certo, come no. E tu sei Dio in persona sceso fra i comuni mortali come me» pronunciai secca, schioccandogli un’occhiata sarcastica. Lui non sembrò comunque mollare la presa e continuò.
    «E per questo che mi piaci: il tuo senso dell’umorismo è una parte di te che ci accomuna».
    «Oh, lo vedo», risposi alzando un sopracciglio, continuando a fissare un punto nel vuoto del palco. Che cosa voleva, quel razza di stupido? Pensava davvero di riuscire, con due paroline alla caso, a portarmi a letto?
    «Senti, tesoro… Quand’è che usciremo insieme? Ci divertiremo, avanti…» mi propose, sorridendo maligno, con chissà quali pensieri in testa. Voltai il mio volto verso le braccia che tenevo incrociando al petto, sbuffando irritata e girando gli occhi verso l’alto, per poi guardarlo dritto in faccia.
    «Non uscirò con te. Né ora, né mai.» sillabai, mentre con un gesto secco e frettoloso mi propensi ad alzarmi dalla sedia e dirigermi nei bagni, dove non avrebbe potuto seguirmi… Credo.
    Fui improvvisamente strattonata al braccio, verso il suo corpo, tenuta stretta da una presa che non ammetteva compromessi né intenzioni a lasciarmi andare. Il suo viso si fece più vicino all’incavo del mio collo e il suo alito caldo mi avvolse disgustosamente per me in brividi di orrore.
    Guardai Ilary, che in quel momento stava servendo ad un tavolo e che, d’improvviso, mi guardò allarmata; poi il mio sguardo toccò all’estraneo seduto all’angolo, il quale mi guardava con occhi spaventati e timorosi, irrigidito nella sua posizione. Eppure quegli occhi…
    «Dove vai, eh? Non mi hai ancora risposto… Non fare la stupida…»
    Tutto quello successe in pochi secondi. Schioccai un occhiata al bancone, verso la mia Coca Cola mezza piena e un’idea mi attraverso la mente come un fulmine. Mantenendo il mio respiro più normale che potessi, lentamente scivolai con la mano libera verso la bibita, mentre temeraria mi voltai verso Tyler che continuava a parlare imperterrito, mantenendo in volto un sorriso da schiaffi.
    «Avanti, tesoro… Un sì, che ti costa dopotutto?», disse squadrando il mio corpo da capo a piedi, mentre io aspettavo solo un minimo dito sul mio corpo per far scattare la mia trappola.
    Lui rise e finalmente ci cascò: appoggiò una mano sul mio fianco, spingendomi lentamente – quasi a rallentatore – verso di lui, e io risposi con l’armeria. Gli gettai in volto la Cola, ritirandomi svelta non appena sentii la presa farsi insensibile al contatto, mantenendo l’espressione sul mio volto impassibile, tentando di contenere un sorriso soddisfatto. Lo sentii imprecare a bassa voce, guardandosi gli abiti macchiati dalla Coca Cola, nel frattempo che Ilary raggiungeva allarmata e silenziosa il bancone.
    Captai inoltre lo sguardo di alcuni clienti fissi su di me - con ancora il bicchiere in mano, ora vuoto - nonostante la musica fosse abbastanza alta da lasciare insospettiti tutti quanti. Tyler mi guardò, sconvolto e rosso di rabbia e vergogna.
    «Sai, tesoro, questa mossa l’ho imparata da Flashdance, solo che la mia è leggermente modificata. E' il mio film preferito» dissi sorridendo. Subito mi voltai dall’altra parte, in modo da sedermi di nuovo sullo sgabello senza incontrare più il suo sguardo, ma una sua parola mi fece voltare.
    «Puttana…», soffocò Tyler, incazzato nero, che mi osservava furibondo. Io, a quell’esclamazione, mi feci seria e mi voltai a fissarlo, con fare impassibile. Ilary mi osservava preoccupata, sapendo già che cosa succedeva a qualcuno quando questo mi chiamava “puttana”.
    «Puttana è il termine con cui ti rivolgi alle tue sgualdrine, quelle che usi per portarti a letto quando sei troppo solo per fare qualcosa di concreto per te stesso e gli altri. Puttana è la persona che tu ti sbatti con facilità, che pensi di usare ma che, in realtà, è lei che usa te per interesse», dissi guardandolo negli occhi, intanto che lui scioccato e irato mi fissava a bocca aperta.
    «Ricordati bene che, prima di chiamarmi con quel termine, ci devi pensare non due volte ma bensì una centinaia. Perciò...» sussurrai avvicinandomi al suo volto. «Sappi che da me, almeno, non avrai un bel niente».
    Ci scrutammo negli occhi per qualche secondo, finché lui furioso non si alzò dal posto, in direzione dell’uscita del locale. Sorrisi e, una volta accomodata di nuovo, vidi sorridere compiaciuta Ilary e lo straniero, il quale teneva lo sguardo timidamente basso, col capello che copriva la visuale del suo volto.
    Nessuno disse niente al riguardo - solo Ilary mi rivolse un sorriso facendomi l'occhiolino – e quando sul palco salì Isabel, donna di mezza età ormai, il quale devoto marito era morto tanti anni fa, in un incidente stradale, mi invitò a cantare con lei.
    Isabel ed io avevamo un rapporto molto particolare, quasi mi considerava sua figlia; mi insegnava a cantare, durante le prove al locale, e quella sera mi chiamò, sotto lo sguardo curioso di tutti, con lei sul palco. Timidamente mi alzai, leggermente rossa in volta, preoccupata dal fatto di dover cantare. A ballare non avevo nessun problema, ma il canto…
    Cantammo una delle mie – e sue – preferite, e a quanto pare ottenni un buon effetto sul pubblico. Finita la canzone io e Isabel venimmo applaudite da tutti i presenti nel bar, e quella cosa ebbe un effetto positivo su di me.
    Rimaneva il fatto che, anche se cantavo abbastanza bene, il ballo era il mio solo e unico amore. Quando tornai al posto – dopo essere stata trattenuta anche a danzare, per di più – mi accorsi che l’estraneo se n’era andato.
    «E’ andato via poco fa, prima che cantassi, dopo una chiamata ricevuta da qualcuno di molto importante, a giudicare dal tono» mi disse Ilary sorridendo, avendo visto lo sguardo perso nello sgabello vuoto.
    La guardai facendo finta di niente, e non mancò di farmi i complimenti anche lei, in seguito a tante altre persone.
    Riconfermai nella mia testa che quella era la prima e vera volta che ero felice di me stessa.







    P.S. Per il momento sposto i primi due capitoli con la premessa, per mancanza di tempo, e entro due/tre giorni spero di riuscire a pubblicare la storia intera. O almeno, spero, in base ai compiti e allo studio che mi richiede la scuola e i futuri esami di qualifica (:
  2. .
    CITAZIONE (*Catwoman* @ 11/1/2011, 18:19) 
    Ciao Ambra!
    Hai un bellissimo nome!
    Io mi chiamo Laura anche se Michael mi chiama Cat, però solo quando vuole che gli faccia le fusa!!!! :tzk:
    Benvenuta! :kiss2:

    Grazie dal profondo del mio cuore, Laura, è un piacere conoscerti :hug:
    Eh, lo sapevo che Michael in fondo era un furbone, e ora ne ho la prova... :patpat2:
  3. .
    CITAZIONE (‚effulgent @ 10/1/2011, 20:12) 
    Ambra,non c'è nemmeno mezzo problema. :)
    Sei stata premurosissima a scrivere quello che hai scritto ma ripeto,non c'è niente di cui allarmarsi né mi salterebbe mai in testa di gridare al plagio per un'istitutrice che arriva a casa di Michael. O per una cuoca con i capelli rossi o per una qualsiasi ragazza,situazione o episodio che possa avere qualcosa in comune con quelli che ho scritto io.
    Scrivi pure la tua storia come la stai scrivendo senza pensare "oddio ora mi danno della copiona" perché non è così. Io poi guarda :lol: a meno che non trovi pezzi copiati incollati e magari rimaneggiati delle mie storie non sto certo a formalizzarmi.
    Bisogna tenere conto che parliamo di un Michael Jackson che viveva in California e faceva la superstar mondiale, per cui gira che ti rigira,a meno che non si abbia intenzione di tirar fuori qualcosa di totalmente OOC o fantascientifico, i fatti le persone e gran parte delle cose che possono gravitare attorno ad una ff potrebbero ripresentarsi in un modo o nell'altro. Niente di sbagliato in questo.
    Racconta la tua storia come vuoi e magari faccela anche leggere. ;) Siamo sempre affamate di FF qui dentro :lol:
    Ancora grazie della premura dimostrata,un saluto
    Alessandra
    ^_^

    PS: Jane Eyre è bellissimo :P

    Grazie per la tua comprensione, sono felice di averti avvisato (: Ad ogni modo non mi metterò a prender pezzi delle tue storie, sta tranquilla Va bene sì la telepatia, ma non troppo.
    Vi farò leggere la storia non appena avrò preparato almeno qualche capitolo, o che avrò progettato definitivamente qualcosa di veramente 'concreto' :": Sarà fiera di farvi leggere presto le mie opere, sebbene è meglio che vi dica che da me non dovete aspettarvi chissà che :patpat2:
    Un saluto anche a te,
    Ambra :hug:

    P.S.: Sì, è un'opera d'arte
  4. .
    CITAZIONE
    Lo sapevo che eri tu!!!!!! E sai da cosa ti ho riconosciuto? Dalla parola "spostare", è un piacere rivederti e risentirti, spero davvero che continuerai le Ff, erano troppo belle e mi appassionavano tutte e 2, ci conto ;-))))))))) .......Baci !!!!!!!

    Davvero mi hai riconosciuto da quella parola?
    Anche per me è un piacere, sei sempre stata una lettrice magnifica; non ti preoccupare, continuerò presto. Ti dirò, una l'ho già completata da un po' e penso che la sposterò presto, l'altra per il momento è bloccata. Perciò non attenderai molto per una della due
    Bacioni grandi anche a te :love:

    CITAZIONE (‚effulgent @ 11/1/2011, 16:20) 
    Benvenuta anche da parte mia Ambra ^_^

    Grazie di cuore, Alessandra :kiss2:
  5. .
    Salve a chiunque stia leggendo Non allarmatevi, non è una situazione di plagio, non riguarda nessuno e nessuna storia concreta (: La mia richiesta, qui sotto spoiler, era un messaggio destinato a ,effulgent , che avevo provato a inviare tramite messaggio privato ma non ci sono riuscita :ehm: Siccome non posso non scriverle queste parole, e voglio davvero evitare spiacevoli incomprensioni o pregiudizi, rivolgo questo messaggio a lei.

    Cara ,effulgent , ti sarei davvero grata se potessi leggere... Spero nella tua comprensione e che non mi giudicherai come una falsa... perchè tutto quello che ho scritto, sebbene non sia dichiarazione stampata di plagio, potrebbe diventarlo nel caso non ti informassi subito dei miei - ahimè - 'telepatici' progetti!


    SPOILER (click to view)
    Ciao ,effulgent , è un piacere conoscerti. (: Il mio nome è Ambra, sono una nuova iscritta nel forum Forever, darling ( nel caso tu non mi avessi avvistato nel sito, è meglio che ti dica chi io sia prima che tu mi definisca una pazza )

    Allora... passo subito al punto della questione .-. La motivazione per cui ti ho scritto è un po' lunga da spiegare, e per farti capire ogni cosa devo raccontarti un po' la storia che ora mi ha portato a scriverti. :ehm: Spero non ti addormenterai prima della fine della lettura, ma questa è una questione molto seria :look:

    Qualche giorno fa, parlando con un'amica, parlavamo di storie; le ho detto che scrivevo fan fiction su Michael, e lei mi disse che ne aveva letta anche lei qualcuna, fra cui due delle tue storie, molto tempo fa. Anche io ne avevo letta una tua - Teach me love, per l'esattezza - e mi avvisò di un'altra di cui non sapevo l'esistenza che parlava di una istruttrice - se non sbaglio - nel periodo del processo. Il punto è che, a conoscenza di questa informazione, mi sono trovata spiazzata. E ora ti spiego perchè.

    Da qualche settimana sto leggendo Jane Eyre, e quando ho letto la sua storia - una giovane istruttrice che si innamora del padrone di casa - mi ha dato l'ispirazione per scrivere una storia basandomi su questa trama. Sapendo però che non sono l'unica ad aver avuto questa idea, ora, mi sento spacciata.

    Non voglio assolutamente fare la figura della copiona, e non voglio che tu pensi che voglio plagiarti in alcun modo. Non lo concepirei. Mi da fastidio passare per quella che non sono, ma difficilmente si penserebbe che non abbia copiato. Perciò, se scrivessi questa storia, sarei complessata dai sensi di colpa...

    Che poi, avrei altre idee... potrei far diventare il mio personaggio una cameriera, o che so io, o qualcos'altro... probabilmente non avrei difficoltà a inventare altro (sebbene sono in un enorme caos psicologico sull'epoca in cui ambientare la storia... :patpat2: )

    Volevo perciò farti sapere la mia intenzione, prima che tu mi pensassi una ridicola plagiatrice, e chiederti se potevo, col tuo permesso, inventare la mia storia con l'idea che all'inizio avevo avuto in mente, come non fossi mai venuta a sapere che anche tu avessi avuto un'idea simile alla mia...

    Sono disposta a raccontarti la trama, le idee in anteprima sul tipo di racconto che voglio pubblicare, se tu vorrai. Qualunque cosa purchè tu non pensi che io voglio imitarti. Sarà pur vero che ti stimo, ma non mi sento così ipocrita e infida... .-.

    Spero risponderai, e non ti offenderai, ma più di ogni altra cosa vorrei molto tu credessi alle mie parole... lo desidero molto...

    Bacioni
    :kiss2:

    Ambra
  6. .
    Piacere di conoscerti Alessandra :love:
  7. .
    Grazie mille, ragazze, per il vostro caloroso benvenuto (:
    Sono fiera di essere qui fra voi

    CITAZIONE (Beat it 81 @ 9/1/2011, 20:43) 
    Ciao Ambra, benvenuta, io sono Sara e qlc mi dice che ci conosciamo, tu se nn sbaglio postavi 2 Ff su MJFS e mi è dispiaciuto quando ho visto che nn le hai più proseguite erano veramente belle.....Poi se nn sei tu, mi rimangio tutto e benvenuta!!!!! Baci

    Ciao Sara, ma certo che ci conosciamo! :aaa:
    Sì, ero io la ragazza che spostava le fan fiction, non hai errato. ; )
    Grazie per i complimenti, penso che continuerò qua di spostarle... ho passato mesi d'inferno, per quello ho lasciato tutto. Una storia complicata e personale, ma ora mi sento meglio, per così dire...
    Bacioni anche a te, carissima :love:
  8. .
    CITAZIONE (Elena01 @ 9/1/2011, 17:52) 
    CITAZIONE
    Ludo *________* Oh Madonnina santissima, sapevo che prima o poi qualcuno che conosco avrebbe scritto le tue stesse cose XDDD Anche se è più probabile che io conosca gli altri scrittori e gli altri non me

    :mmm: :mmm: :mmm: Ambra, anche se non ho capito che caspiterina intendevi dire con questa frase un pochino :ehm: ... diciamo confusa ti do' il benvenuto tra noi :D
    Molto piacere di averti qui: mi chiamo Marina e, se hai delle FF da postare, fallo pure, noi siamo sempre contente di poter leggere nuove storie :--:

    :rotfl: Immaginavo che qualcuno non avrebbe capito il senso della frase
    (Lasciami perdere, sono un po' squinternata :crazy: )
    Intendevo dire che è molto probabile che io, da lettrice/scrittrice silenziosa quale sono e le mie ricerche in Internet, conosco molto di più gli autori di storie su Michael di quanto questi conoscono me; difficilmente ci sarà qualcuno che conosce le mie storie che ho pubblicato, anzi, oltre a Ludo nessuno credo
    Spero che ora abbia trascritto la frase in modo piuttosto 'comprensibile' :look:
    Ad ogni modo, piacere Marina :love:
    Sposterò le mie storie con piacere Tuttavia non aspettatevi grandi cose da una come me, soprattutto perchè le scrissi quando ero ancora meno inesperta di quanto sono ora

    Bacioni, e piacere ancora :hug:
  9. .
    CITAZIONE (Ray of light* @ 9/1/2011, 16:06) 
    Ambra!!! Anche tu qui? sono Ludo ci siamo sentite ogni tanto su msn!! Benvenutissima! :hug: :kiss2:

    Ludo *________* Oh Madonnina santissima, sapevo che prima o poi qualcuno che conosco avrebbe scritto le tue stesse cose XDDD Anche se è più probabile che io conosca gli altri scrittori e gli altri non me
    Sono così felice di vederti anche qua, sarà un piacere frequentare questo bel sito ancora più di prima (; Un bacione grandissimo, e grazie per il benvenuto! :love:
  10. .
    Salve a tutti... *tossicchia* Mi presento, mi chiamo Ambra e ho quasi diciasette anni (diciasette il 25 gennaio, quindi manca molto poco ù.ù).

    Ho scoperto questo sito su fan fiction per Michael proprio qualche minuto fa, eheh, e ho pensato di iscrivermi, visto che pur anche io scrivo molto su Mike (: In realtà tutto quello che scrivo è ispirato a lui e a nessun altro.

    E' un piacere avervi conosciuto ed aver trovato un sito così;
    Un bacione grande,
    :kiss:

    Madonna ma ero presuntuosa come la merda HAHAHAHAHAHAH che cringe, Cristo


    Edited by fallagain - 10/1/2020, 15:26
1570 replies since 6/1/2008
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