In Your Defense

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    It's all for love, L.O.V.E.

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    Capitolo 7

    OH MY GOD, HE'S MICHAEL JACKSON!
    (Prima parte)





    Se non ci fosse la forza di gravità a tenermi con i piedi per terra, probabilmente inizierei a spostarmi svolazzando, leggera come una farfalla, fino a salire sempre più su e sparire nel cielo.
    La mia vita, nelle ultime settimane, è stata semplicemente… wow!
    Non ricordo di essere mai stata più felice di così. Mi sembra di essere una bambina che, ogni giorno, si sveglia e scopre che è Natale e tutto quello che deve fare è scartare i regali sotto l’albero, con l’euforia a livelli esorbitanti.
    Improvvisamente, pare che Dio, Madre Natura o qualsiasi altra entità governi su questo pianeta abbia puntato il dito contro di me e mi abbia urlato in faccia: “Tu, tu sarai la persona più fortunata tra tutte!”
    Louise Swedien, la donna dei quadrifogli.
    Mia madre è sconcertata, non fa altro che rivolgermi occhiate spaesate e interrogative, con due piccole rughe al centro della fronte aggrottata. Sono passata da essere una larva rassegnata priva di energia a balzare fuori dal letto prima ancora che suoni la sveglia, prepararmi in tutta furia e non fermarmi un attimo durante tutta la giornata. Mi sento effervescente.
    E più cose ho da fare, più vorrei farne, così che mi alterno tra l’università, la mia famiglia, Soraya e… Michael!
    Mi basta pensare a lui per avvertire il sangue rimescolarsi nelle vene. È diventato lui il mio motore, la spinta che mi fa saltellare da una parte all’altra. Ogni aspetto della mia quotidianità è legato e dipendente da lui.
    La mattina mi alzo alle sei solo per chiamarlo e dargli il buongiorno, prima che i miei si sveglino. Dopodiché vado all’università e, per far passare più velocemente le ore, mi concentro con ogni neurone sulle lezioni, mentre pregusto già il trillo assordante del telefono che squillerà alle tre e trentacinque, appena cinque minuti dopo che io sia tornata a casa. E poi trascorriamo quasi ogni serata insieme, spaparanzati sul divano con un film che scorre alla televisione e le sue braccia forti strette intorno a me.
    Non so se il fatto che io e Michael fossimo già molto legati e intimi ci aiuti o meno. Se da una parte continuiamo a fare le cose di sempre, dall’altra devo ancora abituarmi al fatto che posso toccarlo e baciare quando e quanto voglio, e soprattutto che lui possa fare lo stesso. È strano, per adesso, ma credo sia solo questione di tempo.
    Al momento, mi limito a godermi ogni singolo istante… e provo a non crearmi paranoie, per quanto possibile.


    ***




    Il set si compone di un insignificante sfondo grigiognolo, contro il quale sono già state puntate alcune telecamere. Nient’altro, oltre al resto delle attrezzature. Rimango un po’ delusa. Quando Michael mi ha detto che oggi avrebbe iniziato a registrare il video di Black Or White, ha parlato di indiani, cavalli, camminate nel fuoco. Insomma, di qualcosa davvero grandioso, alla Michael Jackson.
    “Ehi, Lou!” mi saluta John Landis, che lavorerà nuovamente con Michael dopo il videoclip di Thriller, sollevando gli occhi dai fogli che si sta rigirando nervosamente nelle mani.
    “Ciao John!”

    “Che ci fai qui?”
    
“Michael mi ha chiesto di raggiungerlo, così eccomi qui. Qualche problema?” domando poi, lanciando un’occhiata a quei fogli che sta continuando a torturare.
    “Oh, questa sceneggiatura non è il massimo e credo proprio che avrà bisogno di essere sistemata, o Michael mi ucciderà!”
    
Il mio petto si alza in una risata. “Quello non ucciderebbe nemmeno una mosca, puoi stare tranquillo. Ci vediamo dopo!”
    Ho già voltato i tacchi, quando John mi afferra per una spalla. “Senti Lou, non è che potresti dargli una lettura veloce? Per avere un parere esterno…”
    Lo guardo stupita. “Io?!” chiedo conferma, puntandomi un indice contro lo sterno.
    “Sì, solo se ne hai voglia…”
    Con quale onore posso leggere e conoscere in anticipo la sceneggiatura?
    Mi riprendo dal mio stato di trance, ricomponendomi. “Ma certo, nessun problema!” Afferro quei pezzi di carta scarabocchiati e comincio a sfogliarli.
    La parte iniziale è carina. Tutto inizia con il riff di chitarra di Macaulay Culkin, che fa piombare il padre, sdegnato dal baccano del figlio, in un deserto africano. Qui Michael comincia a ballare in una sceneggiatura western (seriamente, dove sono i cavalli?) con gli abitanti del luogo, indiani d’America, ma anche danzatrici indonesiane. Successivamente, entreranno in scena dei cosacchi. Lo scopo, più che palese, è quello di trasmettere l’unione tra etnie. Molto alla Michael Jackson.
    Il video termina con Michael sulla Statua Della Libertà.
    Segue un altro spezzone, con un grande punto interrogativo al bordo della pagina, in cui Michael, frustrato per il problema del razzismo, danza e distrugge delle vetrate dove sono presenti simboli e scritte razziste.
    “Mi dai la tua penna John, per favore?”
    
“Certo.”
    
Punto uno: togliere immediatamente quel punto interrogativo. Quella parte ci sarà. Aggiungo, in fondo al foglio, una scritta che sarà la conclusione del video, “Prejudice Is Ignorance”. Ancora più in basso, scrivo “COREOGRAFIA ESPLICITA”, in caratteri cubitali e sottolineato più volte. I passi di danza morbidi e leggeri della prima parte del video, della parte positiva, devono contrastare con quelli di questa parte, in cui si dà risalto ad un tema orribile.
    Punto due: ricordo benissimo che nella canzone c’è un pezzo rappato. Qui Michael dovrà sbucare dal fuoco di cui mi ha parlato, dopodiché ci sarà un breve spezzone insieme a Macaulay Culkin e gli altri bambini, vestiti appunti da tipici rapper.
    Punto tre: certo, questo video ha delle ambientazioni interessanti e un messaggio molto importante, ma chiunque sarebbe in grado di assumere delle danzatrici indonesiane e dei cosacchi. Manca qualcosa di innovativo, capace di lasciarti a bocca aperta. La cosiddetta scintilla.
    “John, hai mai sentito parlare del morphing?” gli domando, con un sorriso canzonatorio sulla faccia.
    “Sì, è una tecnica nuov-”

    “Deve essere nel video” affermo decisa.
    “Ma sei pazza?! Ci costerà una fortuna! Ormai il budget è stabilito!” Si infila le mani nei capelli, in un gesto teatrale che mi fa scoppiare a ridere.
    “Vuoi o non vuoi evitare di essere ucciso da Michael?”
    Sbuffa, togliendo gli occhiali e strofinando tra l’indice e il pollice l’inizio del naso.
    “Lo prendo come un sì.”
    Punto tre: MORPHING. Sul finale della canzone si alternano persone di tutte le etnie.
    “Ah, ormai che ci siamo mettiamolo anche qui!”
    “No Lou, ti pr-”
    Torno al punto uno.
    “Dimmi il nome di un animale.”

    “Cosa stai confabulando?”

    “Dai, John!”
    
“Non lo so… un gatto?”
    “Qualcosa di più aggressivo?”
“Una tigre, che ne so, Lou! Una pantera…”
    
“Perfetto!”
    Punto uno: Michael si trasforma in una pantera, sempre con MORPHING.
    Calco la penna sull’ultimo punto e riconsegno i fogli a John, sorridendo soddisfatta.
    “Era meglio se non ti avessi chiesto niente, sono più incasinato di prima.”

    “Lo prendo come un grazie. E comunque puoi sempre sperare che a Michael non piaccia, ma a quel punto” Mi passo il pollice lungo la gola, mimando un coltello affilato. “dovrai essere pronto a dire addio alla tua vita.”

    Busso un paio di volte al camerino di Michael.
    Ansia. Se non mi prenderà un infarto in questo periodo, credo che sarò in grado di sopravvivere a tutto. Michael mi scatena delle emozioni che non sapevo nemmeno di avere. Ma soprattutto, si possono provare così tante sensazioni tutte insieme?
    “Chi è?” La sua voce delicata, proveniente dall’interno, basta a farmi diventare le gambe un ammasso molliccio.
    “Sono io!”
La porta scatta e… Aiutatemi. Il suo sorriso a trentadue denti mi fa rammollire completamente, così che mi sembra di precipitare a terra.
    “Darling” sussurra. Quel nomignolo ricompone le mie ossa e restituisce forza ai miei muscoli, mentre percepisco la mente farsi leggera.
    “Ehi.”

    Mi fa spazio ed io entro timidamente in quel camerino che, lo sento immediatamente, ha già acquistato il suo profumo speziato. La stanza è ordinata, ad eccezione di qualche vestito appallottolato in un angolo. Michael, che era sparito dietro la porta del bagno, riappare dopo qualche minuto, chiude le ante dell’armadio e infila la maglia bianca a maniche corte nei pantaloni neri, dandomi sempre le spalle. L’occhi mi cade involontariamente sul suo fondoschiena, stretto nella stoffa che rischia di lacerarsi da un momento all’altro. Mi mordo il labbro inferiore.
    “Non sono un po’ stretti quei pantaloni?” Le parole mi fuggono senza controllo.
    Che figura di merda. Fortunatamente lo specchio è dall’altra parte del camerino, perché vedere la mia faccia tingersi di viola mi avrebbe fatta sentire ancora più a disagio.
    “Mmm no, sono come sempre” risponde, voltandosi verso di me, e vorrei tanto non aver notato la sua espressione soddisfatta. “Perché? C’è qualcosa che non va?”
    
“Uh-uh.”
    
“Bene.”
    Si avvicina a me, con una lentezza che è inversamente proporzionale alla velocità dei miei battiti cardiaci.
    Deglutisco pesantemente, quando lui mi porta una ciocca di capelli dietro all’orecchio. Il sottile strato di trucco che ha sulle palpebre rende i suoi occhi ancora più magnetici e profondi, il fondo buio di un vortice che mi spazza via ogni ragionamento sensato.
    La sua mano, poggiata sulla mia guancia, la scalda fino a scottarla, ma non riesco comunque a sottrarmi al suo tocco.
    Lo guardo dal basso del mio metro e sessanta e poco più. Un brivido di trepidazione mi percorre la colonna vertebrale.
    “Ciao Darling” dice, abbassandosi al mio orecchio. Lo bacia, poi si sposta alla guancia e infine mi lascia un bacio a fior di labbra, dolce come lo zucchero filato.
    “Ciao a te.”
    “Come stai?” domanda, per poi imprimere di nuovo le labbra sulle mie.
    “Tutto bene.” La sua bocca torna a lasciare piccoli baci sulla mia guancia e sullo zigomo, obbligandomi a chiudere gli occhi qualche secondo per non svenire tra le sue braccia. “C’è John che ti aspetta di là, mi ha detto di chiamarti. Vuole farti leggere il copione.”
    Non risponde, bensì si abbassa sul mio collo e bacia anche quello, con una mano poggiata lascivamente sulla mia spalla. Il respiro si velocizza, mentre i suoi capelli mi solleticano la pelle.
    “Michael…”
    “Mmm?”
    “Andiamo, stanno aspettando te.” Fermati, fermati, fermati, urla la mia testa. Con la sua bocca ancora incollata sul collo, avverto il panico impossessarsi di ogni fibra del mio corpo. “Michael, dai.” Mi allontano di un passo e soltanto quando urto con un braccio la maniglia della porta mi rendo conto che, dopo essere entrata, non mi sono mossa di un centimetro.
    “Okay, okay, andiamo!” conclude lui, legandosi i capelli in una coda bassa e imprimendo un ultimo bacio sulle mie labbra.
    Indossa una camicia bianca, con una manica tagliata al gomito per lasciare spazio ad una fascia che ricopre l’avambraccio e la mano, dopodiché spegne le luci e mi fa strada.
    Lo seguo lungo il corridoio, osservando le sue spalle larghe e la vita stretta.
    Mi passo la lingua sulle labbra e mi sembra di raccogliere qualche traccia del suo sapore, rimasto lì come ultima testimonianza della dolcezza del suo bacio.
    E penso che no, non mi abituerò mai a lui.

    I suoi occhi scorrono su quel copione sgualcito, siamo tutti in attesa di una sua qualsiasi reazione. John è seduto su uno sgabello, più lontano, ed ogni tanto mi lancia un’occhiataccia che io ricambio con un occhiolino, infastidendolo probabilmente ancora di più.
    Nel frattempo, Karen sta finendo di sistemargli i ricci, che oggi sono più lisci del solito, e di tanto in tanto farfuglia qualcosa riguardo i trattamenti che Michael ha voluto per forza fare, ma che presto “gli bruceranno i capelli e glieli faranno cadere prima dei quarant’anni”.
    Le danzatrici indonesiane parlottano tra di loro, a bassa voce. Bene, ma i cavalli?
    “Incredibile!” esclama all’improvviso Michael, destandoci dai nostri pensieri e facendoci accorrere da lui. “È geniale, semplicemente geniale!” Sorride a John e gli dà una pacca sulla schiena. “Bravo il mio John, pensavo che dopo Thriller tu non avessi più fantasia e, invece, sei riuscito a lasciarmi senza parole!”
    “Dovremo rivedere il budget, Michael.”
    “Be’, perché?” Karen adesso gli si para davanti al viso e sfuma le curvature del suo naso, accentuandone la punta. “Turkle, mi raccomando la pelle” dice poi, facendo un movimento confuso con la mano.
    “Hai presente quanto costa quella tecnica del morphing?!”
    
“Ma come funziona?”

    John emette un verso di gola esasperato che mi fa ridere. “Non importa sapere come funziona se prima non abbiamo i soldi, Dio!”
    “In pratica è una trasformazione fluida, graduale e senza soluzione di continuità tra due immagini di forma diversa, che possono essere oggetti, persone, volti, paesaggi. È una tecnica nuova, innovativa al massimo!” dico, ricordando a memoria quanto avevo letto su un articolo a riguardo. John mi incenerisce con lo sguardo.
    “Forte!” Michael mi guarda alzando un sopracciglio, in un’espressione meravigliata. “Deve esserci!”
    “Michael, dobbiamo prima chiedere agli amministratori e tutta quella gente lì.”
    
“John, questo morphing sarà nel video, punto. Lascerà la gente di stucco!”
    John si arrende dinanzi la determinazione di Michael. “Bene, allora inizio a fare qualche telefonata. Ah, e dovrai cedere una parte delle royalties a Lou, è stata un’idea sua, non mia.”
    Scompare dietro le cineprese e solo quando sentiamo il tonfo della porta chiudersi, Michael si volta verso di me.

    “Michael, stai fermo!” si lamenta Karen.
    “Sul serio?” mi chiede.
    Annuisco e lui mi stringe subito in un abbraccio, stritolandomi.
    “Grazie Lou, grazie! Ecco cosa mancava!”
    “Michael, puoi stare fermo?!” Ignoriamo Karen, che se ne sta immobile accanto a noi, con una spugnetta per il trucco in mano.
    “Sarà bellissimo, grazie!” dice Michael, da dietro la mia spalla, prima di sciogliere la stretta e baciarmi sulla guancia, con uno schiocco. Poi torna a rivolgersi verso la sua truccatrice, che finalmente può terminare il suo lavoro.
    “Michael, posso chiederti una cosa?”
    “Ma certo!” risponde, con le palpebre chiuse perché Karen sta ripassando la sottile linea di eye-liner.

    Esito un po’. “I cavalli?”
    “Ci saranno anche quelli, come ti ho detto.”
    “Sì… ma dove sono?”
    
Quando lui scoppia a ridere, mentre Karen sbuffa per essere stata nuovamente interrotta, vorrei solo sotterrarmi. Bene, quante figure di merda ho già fatto oggi?
    Piegato letteralmente in due, con una mano sulla pancia e gli occhi chiusi tanto stretti da formare delle piccole rughe all’estremo delle palpebre, ride in maniera così sguaiata che vorrei tirargli un calcio in quel suo sedere scolpito per farlo zittire.
    “Oddio, scusa Lou, è che…” Ride ancora, sotto il mio sguardo indifferente che maschera il reale imbarazzo che provo.
    “Michael, ti si scioglie il trucco così!” esclama allarmata Karen, precipitandosi a tamponare la sua faccia.
    “‘Fanculo re del pop!” Mi volto per andarmene, fingendo di essere arrabbiata, ma una sua mano si affretta ad afferrare la mia.
    “Dai, scusa, non volevo. Solo che… davvero credevi che ci sarebbero stati dei cavalli?”

    “Non so se lo ricordi, ma l’hai detto tu! Forse perderai anche la memoria prima dei quarant’anni!”

    “Certo, ma non intendevo che ci sarebbero stati dei cavalli proprio qui. Non penso che si potrebbero portare in uno studio.” Trattiene una risata. “Verranno aggiunti, non so, con un computer o una cosa del genere” mi spiega, gesticolando con le mani.
    “Ah.”
    Ride di nuovo. “Sei fantastica!”
    “Oh, se lo dici tu” replico sarcastica, mentre lui, per l’ennesima volta, lascia un bacio sulla mia fronte.
    “Mi aspetti? Dopo potremmo stare insieme, che ne dici?”
    
Annuisco, poi mi siedo sullo sgabello di John, rimuginando ancora su questa questione dei cavalli, mentre le telecamere si accendono.


    ***




    “Sono morto.”
    Appena entrati in casa, Michael si butta sul divano in una posa scomposta. Io appendo la mia borsa ai ganci di ottone dietro il portone e mi sposto in cucina.
    “Vuoi che ti prepari qualcosa?” gli chiedo, alzando la voce per superare le voci della televisione che ha appena accesso. Apro il frigo e guardo quello che c’è dentro. “Se vuoi ti faccio un’insalata, o un piatto di pasta.”
    “Non ho fame.”
    “Ma devi mangiare qualcosa.”
    “No, mi basta un’aranciata. Potresti prepararmela tu per favore? Credo che non mi alzerò di qui fino a domattina.”
    Prendo lo spremiarance dai pensili, muovendomi decisa in questa cucina che mi ha ospitata tante volte.

    La giornata, per Michael, deve essere stata più che stressante. Ha provato le coreografie con LaVelle almeno una decina di volte, poi ha dovuto discutere del trucco con Karen visto che era colato dopo solo mezz’ora e, in seguito, è sparito con John per discutere di questo terribile Morphing che sta mettendo i suoi amministratori in crisi.
    Ma il problema non è il duro lavoro, a cui è più che abituato, bensì la consapevolezza che, dopo un’intero pomeriggio di fatica, non è riuscito a risolvere niente: le coreografie non scorrevano, i soldi necessari sembrano non poter raggiungere le sue tasche tanto facilmente e, credo che questa sia la cosa che lo ha irritato maggiormente, il fondotinta continuava a sciogliersi e scoprire le (poche, ma per lui tantissime) chiazze più scure che ha sul volto. Di conseguenza, dopo un po’, si è chiuso in camerino per la frustrazione e ne è uscito soltanto quando ormai era l’ora di andare via.
    La cosa che più mi ha fatto male è stato notare come lui si nascondesse perfino da me in macchina, con la testa rivolta verso il finestrino e una mano che gli tappava la faccia fin sotto il naso.

    “Tieni.” Gli porgo la spremuta, lui ribatte con un grazie flebile.
    Resto ad osservarlo per un po’. È seduto sul divano con le gambe spalancate, il bicchiere nella mano sinistra e il telecomando con cui sta facendo zapping in quella destra. Il sedere è scivolato lungo la seduta, così che ha la testa appoggiata ai guanciali che invece dovrebbero sostenergli la schiena. In questa posizione scomposta, quasi rude se non fosse per la sua corporatura fine, mi appare estremamente umano. Un uomo qualunque, rientrato da lavoro, con le sue preoccupazioni e i suoi successi. Ma il problema è che tanto più colossale è la fama, quanto più angoscianti sono i problemi. E Michael, a volte, sembra atterrare sulla luna per poi sprofondare al centro della terra un attimo dopo.
    “Vieni qui?”
    Senza emettere un singolo rumore, mi siedo accanto a lui. L’orologio a pendolo batte le otto e mezzo, con un rintocco troppo assordante per il silenzio che ci avvolge.
    “Grazie ancora per l’idea del morphing.” La voce gli esce strana, come se fosse a disagio.
    “Figurati, l’ho fatto volentieri.”
    Faccio scorrere gli occhi sul suo viso stanco, soffermandomi su una piccola chiazza vicino alla bocca. Istintivamente, lui porta una mano in quel punto con un movimento repentino, come a volersi proteggere, come un cane bastonato che deve difendere il poco cibo che gli rimane.
    “Ti prego Lou, faccio schifo in queste condizioni.”
    “Veramente stavo per dirti che… sei bellissimo” ribatto sinceramente, accoccolandomi sotto la sua spalla.
    “Lo dici solo per pietà.”
    
“No, lo dico perché è vero.”
    Lui piomba di nuovo nel mutismo e capisco che, su questo argomento, Michael resterà un mulo testardo incapace di crederti. Anzi, preferisce nettamente evitarlo.
    Perché se già la vitiligine ha un impatto emotivo devastante, per una persona il cui aspetto esteriore è essenziale deve essere ancora più traumatizzante. Inoltre, bisogna aggiungere anche i sintomi del lupus.
    “Te ne vergogni anche con me?” insisto, togliendogli la mano dalla bocca. Lui ce la riporta immediatamente.
    “Sì, con tutti, anche con me” risponde duro.
    “So che non servirà a niente, ma non farti seriamente questi problemi con me. Sei perfetto così!”
    Sento la presa intorno alle mie spalle stringersi impercettibilmente, ma non replica niente. Spegne la televisione, perché non ha trovato niente di interessante e i telegiornali, con tutte le cattive notizie che trasmettono, non farebbero altro che abbatterlo ancora di più.

    “Come va all’università?” Come mi aspettavo, cambia discorso ed io ripongo le armi.
    “Alla grande! Per adesso abbiamo fatto l’inserimento e cominciato le prime lezioni. La fatica deve sempre arrivare.”
    Questo è un altro aspetto della mia vita che procede a gonfie vele.
    Come mi aveva promesso, Michael era con me quando ho annunciato i mio cambio di rotta universitario ai miei genitori. La sua mano è rimasta avvolta alla mia, sotto il tavolo, per tutto il tempo e di tanto in tanto la stringeva per infondermi coraggio.
    Be’, i miei, a discapito delle mie paure, hanno reagito più che bene. Mia madre era addirittura entusiasta, mentre mi ripeteva che è giusto che io faccia quello che mi piace. Mio padre, inizialmente, era un po’ restio: probabilmente, in quel frangente, ha compreso concretamente che non sarei mai arrivata ai vertici di una grande azienda. Ma adesso, soprattutto dopo avermi vista tornare dall’università radiosa, sembra aver ingollato la pillola.
    “Sarai la più brava di tutte.” Il bacio che mi lascia tra i capelli mi tranquillizza, sembra essersi veramente sciolto, dimenticando la discussione su vitiligine e lupus.
    “Speriamo!”
    “Ti laureerai con il massimo, ne sono sicuro.”
    “Ehi, non gufarmela!”

    Lui ride, mentre mi accarezza i capelli fiaccamente. “Secondo te, potrei gufartela? La mia è una certezza. E poi avrai un tuo studio.”
“Sogni più di me, Jackson.”

    “E, ogni sera, passerò a prenderti quando avrai finito di lavorare.” Sembra che parli più tra sé e sé, perso nelle fantasie di un futuro che io, pur non confessandoglielo, fatico ad immaginare. “E poi, a casa, mi preparerai l’aranciata, ci metteremo sul divano e guarderemo qualcosa di stupido.”
    Mi fisso le mani abbandonate sulle cosce e mi chiedo come faccia a pensare a queste cose, quando io non so nemmeno se domani si sarà stancato di me.
    “E ti seguirò ovunque, sempre.”
    
“Come fai ad esserne così sicuro?” Ora mi guarda accigliato, come se avessi sputato la più stupida delle domande, a cui però non sembra trovare risposta.
“Non lo so, lo sento e basta.”
“Può darsi che tra qualche mese ti sarai stufato di me…”
    “Mai, darling. Mai.” I suoi occhi si infiammano mentre sottolinea quell’ultima parola.
    “Non puoi saperlo, Michael.”
    “Sì invece, ne sono certo. Tu no?” Un ombra di paura gli attraversa lo sguardo, mentre toglie il braccio dalle mie spalle. Scatto a sedere, con la schiena dritta. “A volte non capisco perché-”
    “Dio Michael, non sto dicendo che non sono sicura.” Il tono della mia voce esce più alto di quanto avessi previsto. “Io sono sicura, okay? Ma per me è più difficile perché so che hai una sfilza di donne ai tuoi piedi, pronte a strapparsi i capelli per te. E sono anche meglio di me, spesso. Tu invece puoi stare tranquillo.”
    “Questo discorso non ha senso” taglia corto, riaccendendo la televisione. È irritato ed ha i nervi tesi al massimo, è evidente.
    “Ce l’ha. Tu potresti trovare facilmente una meglio di me. Io invece no, perché non esiste un uomo migliore di te, anche se non lo ammetterai mai.”
    Sento la testa che sta per scoppiare. Lui mi fissa sorpreso, la bocca dischiusa.
    “Sei fantastico Michael, e non lo penso solo io. E oltre al fatto che non capisco come possa essere capitata a me questa fortuna, so anche che tutto il potere che eserciti su di me potrebbe trasformarsi in un’arma a doppio taglio. E se mi ferissi, so anche questo, sarei morta per sempre. Ho paura di questo, capisci?”
    “Lou…”
    “E poi è strano a volte. Intendo tutta questa situazione.”
    “Non fai altro che ripeterlo, non si tratta di a volte.”
    “Lo so, perché… è strano.”
    “Ti capisco.” No, non capisci, non puoi. “Ma la cosa che mi dà… fastidio è che consideri questo strano solo perché si tratta di me. Fossi stato un altro, non lo sarebbe stato.”
    Non mi degna di uno sguardo, ed io mi limito a fissare il pomo di Adamo che ondeggia quando ingoia l’ultimo sorso di aranciata. Senza dire niente, si alza e va in cucina. Sento il rumore del bicchiere di vetro che viene appoggiato nel lavello, poi lo scroscio dell’acqua e infine il tonfo delle sue chiappe che si rimettono a sedere.
    Ancora alla ricerca delle parole giuste, o di qualsiasi possibile risposta, torno ad incollarmi al suo corpo, ignorando il fatto che non reagisca alla mia richiesta di attenzioni.
    Da dove è iniziata questa inutile discussione?
    “Okay Michael, non volevo che litigassimo. Scusa.”
    “Non abbiamo litigato.”
    “Va be’, scusa comunque.”
    “Non importa.”
    Con il volto torvo, persiste nella sua indifferenza.
    “Devi tenermi il muso per il resto della serata? Perché, se è così, me ne vado.”
    Lui sospira quando mi stacco dal calore del suo corpo e mi sposto contro il bracciolo del divano, stringendomi un cuscino al petto e fingendo di essere interessata alla televendita di pentole che scorre sullo schermo.
    Avverto una mano accarezzarmi una caviglia, che ritiro immediatamente.
    “Ascolta Lou, non voglio riaffrontare un’altra volta questo argomento.” Oh, ai tuoi ordini, sergente Jackson. “Puoi considerarmi una persona qualsiasi, senza assillarti con questa questione di ‘Oh mio Dio, è Michael Jackson!’? Ci riesci? Capisco le tue paure, ma
    questo tuo atteggiamento fa male a me. Possiamo aiutarci a vicenda?”

    Mi spiazza. Non avrei mai creduto che Michael, da uomo, avrebbe fatto un passo verso di me. Avrei scommesso piuttosto che avrebbe chiuso l’argomento senza un chiarimento. Invece quest’uomo non fa altro che sorprendermi, e forse è questo che mi fa cadere tra le sue braccia.
    Lo guardo un po’, come se fosse un alieno appena atterrato davanti ai miei occhi con un UFO.
    “Dai, torna qui.” Un gesto d’invito della sua mano accompagna quelle parole sussurrate, che sono come la più soave delle melodie per le mie orecchie.
    Mi riavvicino a lui, poggiando una guancia sul suo petto. Michael butta fuori l’aria e sento i suoi polmoni comprimersi e la gabbia toracica restringersi. Sembra che abbia espulso tutti i problemi della giornata in quel soffio d’aria.
    Il battito del suo cuore, a differenza di quanto avessi percepito seduta a quel pianoforte, è regolare e i suoi muscoli rilassati.
    “Era buona l’aranciata?” chiedo, sciogliendo anche l’ultimo velo di tensione che era rimasto.
    “Buonissima. Potresti mettere su un chiosco di aranciate, se il tuo lavoro non dovesse decollare. Potrei affittarti due metri quadrati di Neverland.”
    Faccio il segno delle corna con una mano e lui scoppia a ridere. “Smettila di gufarmele, Michael!”
    “Secondo te sarà bello il video?”
    
“Ovvio, sarà un successone!”

    “Spero tu non mi stia rendendo la gufata…”
    “No, per niente, perché fallirebbero anche le mie idee. Ed odio fallire.”
    “Mi ricordi una persona che conosco troppo bene.”
    Ridacchio contro il tessuto della t-shirt bianca.
Mi stringe a sé, facendomi sentire nel posto più sicuro di tutto il pianeta. Potrei affrontare una guerra, se avessi lui al mio fianco.
    “Darling.”
    “Dimmi.”
    “Ma, quando sarai una fotografa e quindi non avrai un chiosco, a me preparerai comunque l’aranciata?”

    Il mio cuore fa una capriola.
    Mi faccio leva sul divano con un braccio e mi sollevo per guardarlo.
    Nonostante gli occhi siano lucidi per la stanchezza, posso scorgere la vitalità che li ha sempre contraddistinti. Gli sorrido, mentre le mie pupille vagano sui suoi lineamenti squadrati, e lui sorride a sua volta.
    Quando mi avvicino alle sue labbra, Michael si drizza immediatamente con la schiena, impaziente di ricevere e trepidante di dare. Ormai con il suo respiro che si mescola al mio, chiudo le palpebre e dischiudo le labbra. E, al buio, la normalità che sogna Michael sembra così reale, quasi a portata di mano, da farmi precipitare, prima ancora che il mio cervello l’abbia comandato, verso la sua bocca, invitante e morbida. Il sapore di arancia che incontro su quei lembi di pelle mi fa chiudere la gola per il piacere troppo intenso. Spingendomi contro il suo corpo, mi sostengo mollemente alle sue spalle, quel tanto che basta per non liquefarmi in una pozza.
    Avverto una sua mano tuffarsi tra i miei cappelli, l’altra vaga sul mio fianco in cerchi di carezze che mi intorpidiscono.
    La sua lingua si fa spazio tra i miei denti e, appena si scontra con la mia, una gradevole morsa attanaglia il mio bassoventre. E, con le nostre lingue che si rincorrono e che si acciuffano e che si perdono solo per la beatitudine di ricominciare tutto da capo, non percepisco più niente del contorno di questa scena. Solo lui. Lui è dappertutto. È nelle pareti di questo salotto improvvisamente troppo caldo, è nella stoffa del divano che mi pizzica le gambe scoperte, è nel sole che ormai starà tramontando e che, anche oggi, è tacito testimone della mia pazzia.
    È dentro i suoi progetti, è nei suoi successi ed è nella sua estrema umanità.
    E stasera è nelle mie ossa e nel mio mio midollo spinale, trasformandosi nel mio sostegno. È nella mia mente che ormai si è azzerata. È nella mia anima che si è fusa con la sua, in un miscuglio mai sperimentato ma dolce, dolce come il suo fiato contro la mia guancia.
    E quando inclina la testa per immischiarsi maggiormente nella mia bocca, deturpandola di ogni certezza con i movimenti fluidi della sua lingua vellutata, con le sue dita affusolate abbandonate sul mio collo, con il suo torace che si alza e si abbassa velocemente contro il mio, capisco che si sta infiltrando anche nel mio cuore.
    E non rimane nient’altro che gli sporadici e languidi schiocchi di quel bacio, il suo sapore eccezionalmente delizioso nella mia bocca e una solitaria scossa che mi fa rabbrividire. Lo bacio finché non rimane esclusivamente lui.

    Si stacca solo quando l’esigenza di aria si è fatta troppo insistente e respiriamo uno contro l’altra.
    “Sempre, ogni sera” sussurro semplicemente, per poi passarmi la lingua sulle labbra, raccogliendo le ultime tracce del suo gusto.
    Michael sorride e, con il fiato sempre corto, si tuffa di nuovo su di me.





    Ehi!
    Ecco a voi il capitolo, aspetto di sapere cosa ne pensiate!
    Un abbraccio forte <3
     
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    Per Michael avere vicino Lou è come una rinascita. Lou deve mettere da parte le sue insicurezze perché Michael ama e amerà lei.
     
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    Sarò noiosa ma ti rinnovo i complimenti, splendido!
     
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    Eff, io non posso far altro che ringraziarti, come ogni volta, e ripeterti che avere il tuo supporto mi trasmette una carica incredibile!
    Il prossimo capitolo arriverà presto, promesso!
     
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    Capitolo 8

    OH MY GOD, HE'S MICHAEL JACKSON!
    (Seconda parte)





    “Il diaframma è il meccanismo usato per regolare la quantità della luce che attraversa l'obiettivo, in maniera analoga all'iride dell'occhio umano. Si presenta come un insieme di lamelle a ventaglio inverso che chiudono l'apertura del sistema ottico, fino alla sezione minima: l'operazione è detta anche diaframmare e questo influenza la variazione della profondità di campo nell'immagine ripresa.”
    Lancio un’occhiata alla figura di Lou riflessa allo specchio. È seduta per terra, con le gambe incrociate e un grande libro appoggiato sopra. Di tanto in tanto, dopo aver letto qualche pagina, ripete quanto ha appena studiato, con gli occhi chiusi per evitare in qualsiasi modo che sbricino il libro.
    “Il diaframma è posizionato preferibilmente nel centro del sistema ottico, ad una distanza intermedia proporzionale tra la pupilla d'ingresso e la pupilla d'uscita dell'obiettivo e naturalmente con orientamento ortogonale all'asse ottico, come ogni lente.”
    Domani avrà il suo primo esame e non fa altro che ripetere nozioni su nozioni.
    Mi tampono la fronte con un asciugamano, prima di cambiare disco e riabbassare la puntina.
    “Il numero f è il rapporto normalizzato che esprime la stessa quantità di luce che transita nell'ottica e-”
    “Sei sicura che non ti dia noia la musica?” le domando, interrompendola. È, come minimo, la terza volta che glielo chiedo, ma non so davvero come faccia a studiare con la musica.
    “No, tranquillo” risponde, alzando appena lo sguardo e sorridendomi, per poi riprendere il suo discorso sulle funzioni della macchina fotografica. “E che darà quindi lo stesso valore di esposizione, utilizzando degli obiettivi con lunghezza focale diversa.”

    Con la sua voce in sottofondo, accompagnata dalla base strumentale che risuona nella stanza, riprendo a ballare. Finalmente, la coreografia per il finale di Black Or White sta prendendo forma, e mi pare meno “esplicita” di quanto avessi previsto.
    Non credo che la censureranno, perché mai dovrebbero. È danza, solo danza. Arte.

    Indosso il fedora con un movimento repentino, dopodiché mi abbandono al ritmo.
    Muovo velocemente i piedi, in uno strano insieme di piccoli passi, con le mani in tasca. Il rumore della suola dei mocassini che urta il parquet accompagna ogni mio minimo spostamento.
    Faccio una giravolta, poi mimo un calcio violento. Qui dovrà esserci una bottiglia che verrà distrutta in mille schegge. Lancio il cappello all’estremo lato destro. Dovrà esserci anche un’auto, di cui romperò i vetri; in seguito ci salirò sopra e ballerò sul tettuccio.
    Con le gambe aperte e le ginocchia piegate, distendo il braccio sinistro verso l’esterno, mentre la mano destra si appoggia al cavallo dei pantaloni. Ruoto il bacino in un movimento, forse, troppo spavaldo, ma che è perfetto. Il ritmo mi scorre nel sangue e ballo, ballo e ballo, finché non rimane soltanto… la danza.
    Poi la mano destra raggiunge il mio petto e, con un movimento ostentatamente sensuale, scende di nuovo verso il basso, percorrendo il mio ventre, fino a passare la chiusura dei pantaloni.
    Dopo un altro movimento della gamba, che si solleva fino a toccare la mia mano, mi fermo leggermente rivolto di lato, con un piede più avanti rispetto all’altro.
    E, a quel punto, tiro su la cerniera dei pantaloni. Oh sì, questa coreografia è incredibile!
    Resto immobile, con la batteria che echeggia ancora tra le pareti e alcune, parecchie, gocce di sudore che precipitano dalla fronte a terra.
    Non ho nemmeno un accenno di stanchezza, mi sento carico come non mai. Questo video sarà un mastodontico successo, posso già vederlo salire in vetta a tutte le classifiche, insieme all’intero album.
    Potrei continuare a ballare per tutta la notte, se non fosse che devo ancora ragionare sul continuo della coreografia. Ma sono a buon punto e l’ispirazione di certo non manca.

    “Michael…”
    Il richiamo di Lou, appena percettibile al di sopra della musica, mi riporta alla realtà. La scruto dallo specchio e potrei giurare che i suoi occhi chiari siano bloccati sulla mia mano che è sempre salda tra le mie gambe. Stranamente, non arrossisco, a differenza sua.
    Questa è pura arte. L’adrenalina mi circola ancora in tutto il corpo, quando la puntina solca l’ultima scanalatura del disco, per poi alzarsi automaticamente e tornare al suo posto, facendo così cessare la musica.
    “Mm?” mugugno, rispondendo finalmente a Lou.
    Mi sciolgo da quella posizione e torno al giradischi, riponendo il vinile nella sua copertina.
    “Cazzo, è…” Il tonfo di quel libro di seicento pagine che si chiude mi fa sobbalzare impercettibilmente.
    Bevo un lungo sorso d’acqua. “Eccezionale?”
    “Sesso puro” ribatte lei, con un’espressione incredula ancora stampata sul viso.
    “Io avevo pensato danza pura.”
    “Michael, questo video sarà censurato prima ancora che tu l’abbia finito.”
    “Ma no, non è così tanto spinto. Arte, si chiama arte.” Mi siedo accanto a lei e, appena le nostre spalle si toccano, l’adrenalina si disgrega per trasformarsi in tiepida calma che mi fa rilassare.
    “Quando ho detto coreografia esplicita, non intendevo tutto questo… sesso!”
    Ridacchio per nascondere l’imbarazzo che, non più sotto i riflettori, mi colpisce come sempre. “È danza, Lou. Perché dovrebbero censurarla?”
    “Ma è danza un po’… spinta?”
    “Deve essere così, non c’è niente di eccessivo. Ora perché non parliamo di qualcosa di più interessante? Che facciamo stasera?” Faccio scivolare una mano nella sua e la intreccio alle sue dita magre, lei la stringe subito.
    “Devo finire di studiare.” Riapre il libro, sfogliando le pagine fino a fermarsi al paragrafo dove era rimasta.
    “Basta studiare.”
    “Sei stato tu a distrarmi con quella…” Boccheggia alla ricerca della parola giusta, facendomi sorridere. “arte.”
    “Pensavo che potremmo fare qualcosa di diverso dallo stare rinchiusi qui dentro come ogni sera.”
    “Michael, domani ho un esame.”
    
“Ma sai già tutto.”
    
“Sì, ma devo ripassare e poi rileggere il primo capitolo e-”
    Interrompo il suo chiacchiericcio quando la mia mano si slega dalla sua e si sposta al collo. Scosto i capelli lunghi e poggio il palmo sulla sua pelle, facendola tremare appena. “Dai, Lou” insisto, accarezzandole i legamenti evidenti che le percorrono quella piegatura terminante nelle spalle strette.
    “Mike, è il mio primo esame” ribatte provando a restare determinata, ma il respiro profondo che prende è segno palese di quanta fatica le costi ciò.

    La mia coreografia non è sporca, ma adesso sì, voglio giocare sporco, giusto quel poco che basta per farla sgretolare tra le mie mani, come sabbia trasportata dalle onde.
    Mi abbasso sul suo collo e, immediatamente, lei si irrigidisce. Respiro contro di esso, pregustandone la morbidezza, con il cuore che mi è balzato in gola.
    Poi vi poggio le labbra, senza premere troppo, ma quel leggero contatto sembra che basti per farla tentennare.
    “Non funzionano questi giochetti con me” dice decisa, con le palpebre chiuse.
    “Allora perché hai chiuso il libro?” domando di rimando, mentre un sorriso beffardo si stende sulla mia faccia, prima che torni a dedicarmi al suo collo. “Pensa a me ora, darling.”
    Lou non risponde.
    Socchiudo le labbra e, dopo aver trascorso ancora qualche secondo con il fiato contro la sua pelle, le poso su di essa. E, ne sono certo, la sua mente si trova sul filo di un rasoio, e precipiterà prima di quanto mi aspetti.
    Lascio un bacio sulla sua cute, seguito da un altro e un altro ancora, riservandole la delicatezza che si userebbe con le stoffe più pregiate. È il mio pezzo di seta.
    “Avevo pensato che…” Un altro dolce schiocco risuona contro di lei.
    “Che?” chiede, in un sussurro flebile.
    “Che potremmo fare qualcosa di diverso…”
    Le mordicchio lievemente un lembo di pelle, tirandolo a me e poi rilasciandolo. Ora Lou respira in modo irregolare. Il libro le scivola dalle gambe e rimane a terra. Mi metto in ginocchio e porto una gamba tra le sue, aprendole appena appena, per avvicinarmi a lei. È pietrificata, mentre le accarezzo un fianco e risalgo fino a metà costato, bloccandomi dove incontro il ferretto del reggiseno. Involontariamente, i miei pantaloni diventano estremamente stretti e spero, con tutto me stesso, che lei non se ne sia accorta. È imbarazzante eccitarsi per così poco, peggio di quando avevo vent’anni, e soprattutto portarmela a letto è l’ultima cosa che ho intenzione di fare, per adesso. Un passo alla volta.
    “Cosa intendi?” domanda, lasciando trasparire un velo di paura nella sua voce.
    Quando succhio quel lembo di pelle umido, Lou abbandona la testa contro il mio torace. E alterno le labbra ai denti, consapevole che presto mi ucciderà per il segno violaceo che scoverà sulla sua pelle immacolata.
    Mia.
    La sua pelle è così morbida e profumata che, se fosse possibile, mi trasformerei in una piccola e invisibile cellula solo per poter viverci.
    Sento una sua piccola mano sciogliere la mia coda bassa e intrufolarsi nei capelli, mentre l’altra corre lungo la mia schiena fino a fermarsi al bordo dei pantaloni.
    Se non fosse che fare una cosa del genere non rientra nei miei valori, anzi addirittura mi disgusta, il mio lato di uomo più rude la spoglierebbe immediatamente e ci farebbe l’amore dopo averla fatta stendere sul parquet. Ma percepisco il suo timore, seppur cerchi di nasconderlo, e non mi azzarderei mai a costringerla a fare qualcosa.
    Mi concedo qualche altro minuto contro di lei, intrufolato nel suo collo. Mordo un’ultima volta la sua pelle, facendola sussultare per la sorpresa. Infine lascio un bacio leggero su quella porzione di pelle già arrossata.
    “Vuoi… volevi… nel senso, tu…” farfuglia, sollevando la testa e puntando gli occhi nei miei. Il suo sguardo è un misto di paura, eccitazione e incredulità.

    Le racchiudo il viso tra le mie mani grandi. “Volevo solo convincerti ad andare al cinema, sciocchina” replico, arrestando le sue supposizioni.
    Lei mi fissa esterrefatta ed io rido, scuotendo la testa e alzandomi, mentre lei rimane seduta per terra, completamente scombussolata.
    Mi metto l’asciugamano intorno al collo e beve un altro sorso di acqua, raggiungendo la porta.
    “Alzati, forza, tra non più di dieci minuti voglio trovarti pronta” le dico, facendo scattare la maniglia. I suoi occhi azzurri vagano sul pavimento, prima di posarsi vagamente nei miei. Non riesco a trattenere un’altra risata.
    “Dove vai?” domanda spaesata.
    “A farmi una doccia.”
    E a risolvere il problema che è rimasto nei miei pantaloni.


    ***




    Mi guarda, mordendosi il labbro per non ridere. “Michael, sei…”
    “Sexy?”
    “Bruttissimo!” Scoppia a ridere, contagiandomi. I baffi posticci mi pizzicano il naso e con la lingua spingo contro le gengive la dentiera ingiallita che stava per cadere.
    “Stronza!” esclamo, solleticandole un fianco e facendola contorcere. “Come fai a non notare tutto il mio fascino? Guarda quanto sono bello!”
    Lou fa scorrere gli occhi su di me, spostandosi dal cappello da baseball ai jeans larghi e stropicciati. E scoppia di nuovo a ridere, passandosi l’indice sotto gli occhi per non far colare il mascara.
    “Secondo me, sei più riconoscibile così che senza travestirti! Nessuno metterebbe piede fuori casa in queste condizioni!”
    “Tutte le donne muoiono per questa felpa scolorita, più che per il mio guanto di paillette, vero Bill?”
    “Bill, quanto è ridicolo da uno a dieci?”
    Bill ci lancia un’occhiataccia dallo specchietto. “Undici” risponde, fingendo di esserne dispiaciuto. “Mi scusi signor Jackson, ma è davvero impresentabile, devo dar ragione alla signorina Swedien” prosegue, fingendo di mantenere una certa classe, prima di ridere anche lui.
    “Azzerato, signor Jackson!” esclamo, accavallando le gambe.
    “Vuoi la guerra, darling?”
    
“Ho già paura, non puoi capire!”
    “Bene, l’hai voluto tu.” Tossisco per schiarirmi la voce e mi affaccio in mezzo ai due sedili anteriori. “Bill, sai che Lou pensava che ci fossero dei cavalli in studio quando è venuta sul set di Black Or White?”

    “Sei stato tu a dirmelo, brutto bastardo!” grida immediatamente lei, afferrandomi per una spalla e facendomi cadere nuovamente con la schiena contro i sedili. Intanto il mio bodyguard si sta sbellicando dalle risate. “Bill, non è vero! Lui mi ha detto che ci sarebbero stati i cavalli!”
    
“Ma io intendevo nel video!”

    “Ma che ne so io, non ho mica mai girato un video!”
    Torno con la testa tra i due sedili, liberandomi della presa con la quale Lou prova a trattenermi. “E stasera si è imbambolata a guardarmi mentr-”
    “Michael no!” Mi salta addosso e mi tappa la bocca con una mano. “Mi fai incazzare, Michael!” Quando le mordo il palmo, cogliendola si sorpresa, lei si ritira subito. “Ahi, fai male!”

    “Mentre ballavo!” concludo la frase. “O meglio, mentre mi toccavo…”

    “No Michael, basta!”
    “Tra le gambe!” Io e Bill scoppiamo a ridere. “Dovevi vedere la sua faccia! Era più o meno così.” Provo a mimare la sua espressione. Le risate riempiono l’abitacolo dell’auto, mentre Lou appoggia la testa al finestrino e ci ignora.
    “Credo che le donne siano pazze di questo, non della tua felpa!” replica Bill, sistemandosi gli occhiali sul naso.

    Le luci della città ci colpiscono di tanto in tanto, falciando l’oscurità della notte.
    Mi abbandono contro il sedile, con gli addominali indolenziti per il troppo ridere. “Che guardiamo?” chiedo, rivolgendomi di nuovo verso Lou, ma lei non risponde. “Ehi, Lou.” Provo a farla voltare verso di me, ma continua ad ignorarmi. “Mmm, qui qualcuno è permaloso, eh?”
    “Non sono permalosa, stronzo!”
    
“Non mi riferivo a te, infatti. Non sei permalosa tu, per niente” le dico, con tono sarcastico.
    
“Stronzo” ripete, voltandomi ancora di più le spalle.
    Silenzioso come un felino, scivolo contro il suo corpo. Accarezzo le vertebre una ad una, poi tuffo una mano nei capelli lasciati sciolti. Lei mugugna qualcosa di incomprensibile. “Vuoi che ricominci il giochetto di prima?” La voce mi esce roca e lei, ora, si volta verso di me.
    Mi fissa ed io, come sempre, perdo l’orientamento nelle sue pupille e mi smarrisco in quel color ghiaccio che mi annienta la ragione.
    Inclina un po’ la testa, fa scivolare gli occhi lungo tutto il mio corpo, poi torna nei miei occhi. “Non mi dispiacerebbe,” Una sua mano si posa sul mio zigomo pronunciato ed io annaspo per trovare anche un solo debole appiglio che non mi sradichi dalla realtà. Provo ad allungarmi per baciarla, però lei si ritira. “ma mi basta il livido che ho già. E, ops, sfortunatamente siamo arrivati, signor Jackson.”
    Un attimo dopo, Bill si ferma di fronte al cinema. Lou mi riserva uno sguardo spavaldo che mi fa tremare di desiderio, prima di aprire lo sportello. Fa per uscire, ma si blocca. “E non credere che non mi accorga di quello che accade… tra le tue gambe. E no, non intendo quando balli.” E così esce, mentre io sento le mie guance che si tingono di rosso e prendono fuoco per la vergogna. La guardo mentre sale quei quattro scalini che precedono l’entrata, dove si ferma in mia attesa.
    “Azzerato, Jackson!” Le parole di Bill risvegliano la mia mente a soqquadro.
    “Tu non origliare!” ribatto, imbarazzato, correndo fuori dalla macchina per evitare qualsiasi altra replica di Bill.
    “State attenti!” lo sento però dire, prima che chiuda lo sportello.

    “Io faccio i biglietti e tu vai a prendere i pop corn?” domanda, gesticolando con le mani. Non c’è tanta gente e questo mi rassicura.
    
“Va bene.” Frugo nella tasca e tiro fuori cinquanta dollari, per porgerglieli.
    “No, pago io i biglietti!”

    “No, pago io, è il nostro primo appuntamento e-”
    “Appuntamento?” ripete, in cerca di conferma. Trattiene il respiro per qualche secondo.
    “Be’ sì, una specie, no?”
    Lou stende le labbra un sorriso a trentadue denti e si alza sulle punte per baciarmi, legando le braccia intorno al mio collo. “Allora vai a prendere i pop corn?”
    
Annuisco e mi allontano, senza prima averla baciata una seconda volta.
    Mentre mi dirigo verso il botteghino, sento il cuore alleggerirsi ad ogni passo. È tutto così bello, e dolce, e romantico, e incredibile. E normale. Non ricordo neppure l’ultima volta in cui mi sono sentito così spensierato.
    Compro la confezione più grande di pop corn, così che possiamo dividerla, e mi sposto all’ingresso della sala dove il film è già iniziato. Meglio, così la sala è buia è rischiamo meno.
    Lou ha appena pagato i biglietti e mi sta raggiungendo, con la minigonna nera e un top a mezze maniche celeste che si intona con i suoi occhi, quando due ragazzi le si avvicinano.
    “Ehi, bellezza! Sei sola?” la abborda il primo, camminandole dietro. Dilettante, recitavo molto meglio io nel video di The Way You Make Me Feel.
    “No.”
    
“Ci conosciamo già? Per caso ti ho vista su Vogue?” continua il secondo.
    “No, non faccio la modella.”

    Aggrotto la fronte per quanto le loro battute siano squallide e mi godo lo spettacolo, trattenendo le risate.
    “Tuo padre è un ladro perché ha rubato due stelle e le ha messe al posto dei tuoi occhi!”
    
Lou continua a camminare verso di me, lanciandomi un’occhiata divertita. Che squallore! Forse è una delle poche volte nella mia vita in cui assisto ad un teatrino del genere.

    “Perché non vieni a casa con noi dopo?”
    
A quel punto, ormai al mio fianco, Lou mi passa un braccio intorno alla vita.
    “Devi chiedere il permesso a papà?” scherza il primo, squadrandomi.
    “No, mio padre è a casa. Ma credo che il mio ragazzo basterà a tenervi lontani, no?” Quei due ragazzi sgranano gli occhi e ci guardano increduli quando lei preme le labbra contro le mie, per poi staccarsi e tornare a guardarli con disprezzo. “Poveri illusi, rimorchiate un’altra!”
    Ancora accigliati, i due si allontanano in silenzio, distogliendo lo sguardo dai miei baffi. Si staranno chiedendo come sia possibile che una ragazza giovane e bella sia con un essere che, al momento, non si avvicina neppure ad un uomo, conciato come sono.
    “Bel colpo, darling!” esclamo, mentre entriamo nella sala soffocando le risate per non disturbare. “Ma la prossima volta evita quella minigonna!”

    Ci sediamo in una delle ultime file e posiziono il secchiello dei pop corn nel mezzo, così che possa arrivarci anche lei senza problemi.
    “Be’, almeno abbiamo la conferma che il tuo travestimento sta funzionando!”
    “Ma che film è?” chiedo.
    “In realtà, non lo so!” Scoppio di nuovo a ridere, affondando nell’imbottitura della seduta foderata di velluto rosso. Poi mi tolgo quella bruttissima dentiera per mangiare i pop corn. Lou è concentrata sulle schermo, quando le picchietto sul braccio per attirare la sua attenzione.
    “Che c’è?”

    “Dove posso metterla?” Le agito quei denti ingialliti davanti agli occhi e le si tappa la bocca con una mano per non sputare i pop corn.
    “Cazzo Michael… Che schifo!” dice tra una risata e l’altra.
    “Potete fare silenzio?!”
    Ci ammutoliamo quando il signore seduto davanti a noi si volta e ci rimprovera, ma appena torna al suo posto, Lou sghignazza di nuovo, nascondendo la faccia contro la mia spalla per fare più piano, ed io sento l’uomo sospirare per il fastidio.
    “Lou, zitta!”
    Lei ride ancora più forte.
    “Basta, ci butteranno fuori!”
    
Porta i piedi sulla poltroncina, mentre le sue spalle si alzano e si abbassano e lei si tiene la pancia. “Sto soffocando, aiuto! Ahahah!”
“Shhh!” L’uomo ci rimbecca di nuovo.

    “Mi scusi, ma la mia ragazza è-”
    “AHAHAHAH!”
    Porta la testa contro lo schienale e continua a contorcersi tutta per le risate. Poi, con le lacrime agli occhi, afferra il pezzo di plastica che ho ancora tra le mani e…
    “COSA FAI?!” esclamo in un grido soffocato, quando lancia la mia dentiera, facendola volare sulle teste delle persone. Il buio della sala non mi permette di vedere dove sia atterrata, ma solo immaginare la reazione del poveretto che se l’è ritrovata addosso basta a farmi ridere a crepapelle.
    “Problema risolto! Ahahah!”

    “Tu sei pazza!” sussurro, attirandola a me.
    Finalmente, si ricompone e si accoccola contro la mia spalla, ignorando il bracciolo che le si conficca nella vita. Le accarezzo i capelli, passandoci lentamente le dita. Se fosse un gatto, giurerei di averla sentita fare le fusa.
    Beve un sorso di Coca Cola dalla cannuccia. “Vuoi?” domanda, porgendomela.
    “No, io bevo solo Pepsi!” Tossisce per mascherare l’ennesima risata. “Ma di cosa parla il film? Non ci ho capito niente” affermo, provando a seguire le battute dei personaggi, ma lei ora scoppia nuovamente a ridere, mentre mi prende la mano e se la porta contro il volto.
    E rido anche io, come non ho mai fatto. E non serve a niente il suo tentativo di avvertirmi di fare piano perché la mia risata si riconosce a mille miglia di distanza. Rido, fino a piangere, stringendola a me. Tuttavia, forse, rido davvero troppo forte.
    Il signore davanti a me, improvvisamente, mi fissa con gli occhi sgranati ed io sono già pronto a sghignazzare per il suo prossimo rimprovero, ma più mi fissa nella penombra, più il sangue mi si congela nelle vene.

    “OH MIO DIO, È MICHAEL JACKSON!”
    Panico.
    Non riesco a muovermi di un millimetro, mentre prova a scavalcare la seduta per raggiungermi, continuando a urlare il mio nome e facendo così voltare tutti.
    “Merda, corri!”
    Succede tutto troppo in fretta perché me ne renda conto.
    
Lou mi afferra per il tessuto della stoffa e, dopo aver gettato i pop corn a terra, si precipita all’uscita, tra gli schiamazzi della gente che si alza dal suo posto per seguirci. Qualcuno inciampa e cade, qualcun altro riesce a sfiorarmi, ma Lou corre velocissima e mi trascina dietro a sé. Per poco non picchio nello spigolo di una parete, quando ci troviamo nell’atrio principale, con urla isteriche alle spalle.
    Gli addetti del cinema, dopo un primo momento di sorpresa, capiscono fortunatamente cosa stia succedendo e, appena scendiamo le scale dell’ingresso, serrano le porte, bloccando la piccola folla che si stava riversando su di noi.
    La strada è deserta, ma Lou continua a correre, anche se meno velocemente. Adesso mi stringe la mano ed io mi tranquillizzo.
    “Cazzo, non ho più fiato” dice, respirando profondamente. Rallenta, fino a camminare, seppur a grandi passi. Svolta in una strada stretta, poi in un’ulteriore via secondaria e, solo dopo essersi guardata intorno ed essersi accertata che siamo soli, si abbandona con la schiena contro un’auto e butta fuori l’aria. Io rimango immobile dinanzi a lei, riprendendo a mia volta fiato.
    Ancora sotto shock, si getta contro il mio petto ed io l’abbraccio.
    “Pericolo scampato” bisbiglia stancamente.
    “Stai bene?”

    “Sì, tu?”
    “Anche io.”

    Ci sediamo sull’asfalto, ancora caldo per il sole della giornata ed io torno ad avvinghiarmi intorno al suo corpo magro, che piano piano si sta normalizzando.
    “Wow, però è stato divertente!” esclama, ridacchiando.
    Ma, stavolta, non riesco a farmi coinvolgere.
    Ecco cosa intendeva Liz, ecco in cosa la sto trascinando. Le sto togliendo ogni abitudine solo per averla, per egocentrismo. E si stancherà di tutto questo, ne sono certo. Ed io rimarrò con il cuore spezzato. E non potrò fare nient’altro che strisciare nuovamente nella mia gabbia dorata. Da solo.
    “Non è stato divertente, Lou.” La voce esce estremamente dura. “Potevamo farci male, potevi farti male!”
    “Ma è andato tutto bene.”
    
“Questa volta, ma la prossima?!” Vorrei urlare per la frustrazione, ma non mi piace farlo e quindi mi limito ad un tono che suona quasi esasperato.

    “Staremo più attenti, Mike.”
    
“No, è impossibile. Ogni volta è così. Non posso andare al cinema, non posso andare al parco, non posso andare a fare la spesa, non posso nemmeno camminare per strada.” Sento gli occhi riempirsi di lacrime, e non per le risate. Lou mi fissa attonita. “Tutta la mia vita è così.”
    
“Lo so” risponde tranquillamente.
    “Mi sento egoista a trascinartici. Mi odierai per farti passare tutti questi casini. E, peggio ancora, mi lascerai solo. Quindi non preoccuparti, ti capisco se vuoi scappare, finché sei in tempo.”

    “Ehi, ehi, ehi!” Mi prende il volto tra le mani e mi guarda. La strada è illuminata da un solo lampione, la cui luce, nonostante sia debole, mi permette di scorgere le sua espressione seria. “Lo so. So come è la tua vita e so anche quello che rischio di passare.” Ora sorride. “Ma voglio stare con te, okay?”

    “Lou, è un inferno.”
    
“Tu vuoi stare con me?”
    “Ovvio!” ribatto immediatamente. “Ma so che-”
    “Vogliamo la stessa cosa, giusto?”
Annuisco.
    “Allora basta paura. Dobbiamo smettere tutti e due di avere paura.” Mi bacia a stampo, forse solo per cancellarmi il panico dalla faccia. “Aiutiamoci a vicenda. L’hai detto tu.”

    Rifletto un po’. Sono certo che a Lou appaia tutto molto più semplice, solo perché non è pienamente consapevole di quello che le persone sono in grado di fare, perché non ha vissuto determinati eventi. Tuttavia, non riesco ad ignorare il calore rassicurante che mi sale nel corpo ogni volta che si trova accanto a me, né sono capace di immaginare anche un solo giorno senza di lei.
    Si tratta di emozioni, come posso pretendere di sconfiggerle? Sono sempre dentro di me, e mi agitano in continuazione. Posso soltanto cedere.
    E credere in lei, per sperare in noi.

    “Prima, quando c’erano quegli stupidi ragazzi, mi hai chiamato il tuo ragazzo.” Mi mordo il labbro, imbarazzato, mentre lei arrossisce.
    “Anche tu l’hai fatto.”
    
Le passo un braccio intorno alle spalle, attirandola a me. Lei intreccia una mano alla mia ed io non resisto al non guardarle.
    Sorrido. Sorridiamo.
    “Vuol dire che… stiamo insieme?”
    La luna splende nel cielo. Per quanto sappia di essere patetico, è vero, le stelle brillano quanto i suoi occhi. La città è silenziosa, ad eccezione dello sfrecciare sporadico di qualche macchina.
    “Non me l’hai ancora chiesto…”
    
La sua voce leggera mia fa vibrare come le corde di una chitarra che vengono pizzicate. Mi alzo in piedi e, porgendole una mano, la aiuto a fare lo stesso. Si sistema la gonna, mentre io le porto le mani sui fianchi. Lei strappa delicatamente i miei baffi finti, facendo attenzione a non farmi troppo male, e poi intreccia le braccia al mio collo. Con il cuore che mi batte più rapidamente ad ogni centimetro che lei annulla tra di noi, sfiora il suo naso con il mio.
    “Bene, allora…” Inspiro profondamente. “Louise Swedien, vuoi... metterti con me?” scandisco, fissandola negli occhi.
    “Certo, Michael Jackson.”
    Vista dall’esterno, non potrebbe stagliarsi una scena più sdolcinata e noiosa di questa, eppure nessuno dei due sembra prestarci attenzione.
Probabilmente nemmeno a quattordici anni mi sentivo così euforico, ma è così che mi sento adesso. Sono come una foglia che danza nel vento, che viene trascinata da una parte all’altra, da una sensazione all’altra.
    Mi getto contro le sue labbra, baciandola con foga e spingendola nuovamente contro l’auto. Poggio un mano al finestrino, mentre lei inclina la testa e approfondisce il bacio. La sua lingua guizza nella mia bocca e quando si scontra con la mia, mi sembra che la mia mente stia esplodendo come un fuoco d’artificio. Ci sono scintille ovunque.
    Respiro la sua stessa aria, mentre esplora la mia bocca, in mille acrobazie.
    Le sue mani, ora, vagano sulla mia schiena, scendendo e salendo lungo di essa, mentre le nostre lingue sono diventate un tornado di passione.
    Il suo odore di borotalco mi culla. Le sue labbra scottano contro le mie, ed anche il mio cuore sta ardendo di mille emozioni.
    Ogni volta è la prima volta.
    Si stacca lentamente e, prima che si allontani troppo, mentre riprende fiato, le afferro il labbro inferiore tra i denti, mordicchiandolo e poi lasciandolo fuggire via.
    “Andiamo?” bisbiglia, contro la mia bocca umida, sorridendo.
    In questo momento, in questo preciso momento, capisco che, con lei, andrei dappertutto. Anche all’inferno.





    Here I am!
    Purtroppo, non sono stata in grado di scrivere questo capitolo nel reale modo in cui l'avevo immaginato nella mia testa. Le parole scorrevano male e non so perché. Ma qualcosa dovevo pubblicare.
    Sono abbastanza frustrata, però so che questi "blocchi" possono esserci quando si scrive.
    Spero di non aver deluso troppo le vostre aspettative, mi farò perdonare.
    Voglio anche informarvi che domani partirò per gli Stati Uniti, dove resterò per venti giorni, dunque non so se/quando/come riuscirò a pubblicare. Nel peggiore dei casi, vi prego di avere un po' di pazienza, anche se so che non si tratta di un periodo breve.
    Sarò di nuovo qui il prima possibile, e spero di ritrovarvi.
    Renato Zero direbbe: "Non dimenticatemi, eh!"
    Un abbraccio!
     
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    Bello vederlo finalmente vivere con Lou una vita normale, che caldo leggere di Lou che parla con lui della coreografia arte di pura sensualità di Black Or White.
    Non pensarlo neanche non hai deluso è un bel capitolo come gli altri tu hai la capacità di farci entrare nella storia e rendere partecipi delle loro storie. Buon viaggio divertiti stai tranquilla non ci dimenticheremo
     
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    Ma quale deluso, è stato un capitolo bellissimo come al solito. Poi ora sono ufficiali!
    Goditi il viaggio cara, dove vai di bello negli States? Io aspetterò il tuo ritorno e il prossimo aggiornamento con impazienza!
     
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    Grazie mille ad entrambi!
    Sono in Nuovo Messico, a Los Alamos!
     
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    oh beh, poi avrai da raccontarci anche il viaggio allora!
    Enjoy!
     
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    Ehilà!
    Come state?
    Sono passata a dirvi che sono tornata dall'America e che sto attualmente lavorando sul prossimo capitolo (è più arduo del solito! :wacko:). Non mi sono dimenticata di voi e tornerò presto con qualcosa di nuovo da farvi leggere!
    Intanto vi abbraccio, buonanotte!
     
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    Ooooooh ci devi raccontare!! Ma prima posta, scrivi! Siamo in astinenza!

     
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    Tutto bene e te? Racconta
     
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    Okay, lo scrivo qui perché non so in quale altro posto potrei sfogarmi.
    Capitolo pronto, riletto e sistemato... Per sbaglio ho selezionato tutto il testo, cliccato "Copia" invece che "Conteggio parole" e puf, capitolo sparito. Potrei anche mettermi a piangere...
    Qualcuno ha mica un Macbook e sa se esiste un modo per recuperarlo?
    Non potete immaginare l'incazzatura, passatemi il francesismo...

    CAZZO RESPIRO DI NUOVO!!!
    Niente, sono riuscita a ripristinarlo per fortuna!! worthy
    Ma mi è preso davvero un infarto!
    Domani o domani l'altro aggiorno, stay tuned!!!

    No, sono riuscita a recuperare metà capitolo, l'altra metà è andata persa e devo riscriverla.
    Aggiorno comunque il prima possibile, perdonatemi la lunga attesa!
    Buonanotte
     
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    Capitolo 9

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    “Fanno schifo.” Più fisso le foto che sono sparse sul tavolo, più sento le lacrime riempirmi gli occhi. Sono interi giorni che lavoro su questo fortuitissimo progetto che mi ha fatto sudare più delle sette camicie che prevede il detto. E questo è il risultato.
    Le dita affusolate di Michael sfiorano la carta lucida e la sua faccia si contrae in un’espressione concentrata, che analizza ogni dettaglio. “No dai…” dice, incapace di nascondere un velato tono poco convinto. “Non sono così male…”
    “‘Fanculo!” sbotto, lasciandomi cadere su una sedia e puntando lo sguardo lontano dalle fotografie. “Non sai mentire. E comunque lo dici soltanto perché si tratta di me.”
    Un sospiro lieve mi sfiora la guancia, mentre lui sposta un’altra sedia più vicina alla mia e ci si accomoda. “Non sono niente male, davvero” ripete, prendendomi le mani.
    Gli occhi mi pizzicano a causa delle lacrime, che mi ostino a trattenere perché sarebbe stupido piangere per una cosa come questa. Ma la frustrazione e soprattutto la delusione mi attanagliano lo stomaco e mi serrano la gola.
    “Cosa cazzo manca?”
    “Lou…”
    
“Guarda che schifo!” Afferro una manciata di foto e le lascio cadere di nuovo sul tavolo, spazientita. “Sai quante volte le ho fatte stampare? Quattro! Ho fatto stampare quattro progetti diversi in una settimana!” Tiro su con il naso e deglutisco, nel tentativo di far scivolare giù il nodo che mi chiude la gola. “Il tizio del negozio penserà che abbia una specie di ossessione compulsiva!”
    “Lou, calmati…” tenta Michael, accarezzandomi un braccio, ma tutto quello che gli riservo è un’occhiata sbigottita. Calmati è la parola giusta per farmi incazzare ancora di più.
    “Cazzo, lo capisci che devo consegnare questa stracazzo di cagata tra due giorni?! Due giorni. DUE. GIORNI. Due giorni!” ruggisco, poi per riprendere fiato faccio una pausa, che comunque dura meno di un secondo. “E sai cosa ho? Niente! Nien-Te. Solo questi stupidi scorci di città.” Una foto di queste vola a terra, seguita dalle altre. “Paesaggi californiani che tutti possono vedere dalla finestra, un tramonto senza colori e… Ah, il giardino di casa mia. Bello, bellissimo oserei! ‘Fanculo!” Finalmente, dopo aver sputato fuori un po’ di tutta la rabbia che bolle dentro di me, mi ammutolisco definitivamente.
    Nonostante le mie pupille siano fisse sullo smalto rosso di un’unghia che sto martoriando, scorgo Michael guardarmi di sottecchi. Socchiude le labbra per dire qualcosa, pentendosene subito dopo, timoroso che possa dar di matto un’altra volta.

    “Puoi parlare, ho finito la mia sceneggiata” affermo secca.
    “Per prima cosa, smetti di rovinarti lo smalto” comincia, liberando quella povera unghia dalla sua tortura. “Poi, fai un bel respiro.”
    Faccio come mi ha detto e avverto la tensione sciogliersi un po’, nonostante rimanga sempre lì. Soltanto allora noto come sia bello oggi, privo di trucco e con la camicia rossa fuori dai pantaloni. Così naturale. Spontaneo. Spontaneo, ripeto nella mia testa, la mia prima regola per una buona foto.
    “Lou, sono sincero, queste foto sono belle.” Raccoglie quelle che, nella furia, sono cadute a terra e le ricongiunge al gruppo. “Ma hai ragione, manca qualcosa. Quella scintilla che ti fa dire wow!”
    “Lo so, sono tecnicamente quasi perfette. Ma…” Scuoto la testa, fissando il vuoto. “Manca qualcosa, sì.”
    “Ascolta, facciamo così.” Mi prende per il polso e mi trascina a sedere sulle sue gambe. “Dimentica tutto. Mettiamo da parte queste foto e facciamo qualcosa, qualsiasi altra cosa.”
    “Ma ho solo due giorni e…”

    “Non serve a niente che tu ti continui a scervellare su questo progetto. Non sei abbastanza lucida e tranquilla.” Vorrei ribattere dicendogli che è davvero carino a dirmi così, o che certamente fare un giro sui Go-Kart non mi aiuterà a partorire idee, ma non ne ho voglia. “Più tardi penserai a qualcosa.”
    Mi volto verso di lui ed incontro il suo sorriso accennato, ma comunque rassicurante. Se non ci fosse Michael… no, non voglio nemmeno pensarci. Lui c’è. Ed ha sempre le parole giuste per me, e la soluzione migliore.

    Ruoto il busto quel tanto che mi basta per poggiare il mento sulla sua spalla ed accoccolarmi contro di lui, che mi abbraccia e mi accarezza i capelli, consapevole di quanto apprezzi quell’attenzione.
    “Non volevo urlare in quel modo, soprattutto perché non hai nessuna colpa” sussurro, respirandogli sul collo.
    “Tranquilla, capita di perdere le staffe e comunque fa parte del mestiere, ti capisco.” Scosta i capelli e mi bacia un lobo. “E poi, quando ti arrabbi, sei… sexy” ammette, ridacchiando subito dopo. Nonostante non riesca a vederlo nel viso, potrei scommettere che le sue guance siano avvampate per l’imbarazzo.
    “Che stupido…” Gli imprimo un bacio sulla pelle lasciata scoperta dal colletto della camicia e, sciogliendo la stretta, torno a fissarlo.
    “Anche se strilli più di Bubbles!”
    “Che stronzo!” Non riesco a trattenere una risata, seguita subito dopo dalla sua. “Però sei riuscito a farmi passare quasi del tutto l’incazzatura.”
    “Ne sono onorato, tra qualche anno, se mi specializzo, potrebbero premiarmi anche per questo!”

    “Michael Jackson: il calmante contro gli scleri femminili. Anche se con le tue fan non funziona, quelle si strappano pure i capelli!”
    “Ah, tu non saresti mia fan?” domanda sorpreso, lasciando trasparire un pizzico di malizia, che mi fa deglutire più pesantemente del solito, appena si avvicina alle mie labbra. Sbatto più volte le ciglia rese più voluminose e lunghe da uno spesso strato di mascara e mi mordo il labbro inferiore. Quando scoprirò il suo segreto per farmi cambiare improvvisamente umore e sciogliermi tra le sue braccia, sarà ormai troppo tardi. “Tu non ti strapperesti i capelli per me?” La voce si è fatta roca ed io rabbrividisco. Quello che era uno stupido giochetto ora mi si ritorce contro ed io non riesco a far altro che boccheggiare alla ricerca d’aria. Assorbo un’ultima occhiata di fuoco prima di tuffarmi sulle sue labbra, chiudendogli il volto tra i palmi delle mani sudate per l’emozione. La sua lingua, appena si scontra con la mia, è velluto. Senza scollarmi minimamente da quell’angolo di piacere, indietreggio con la schiena fino ad appoggiarmi al bordo del tavolo, con le sue mani che vagano sulla schiena e, poi, passano fugacemente su una coppa del reggiseno. Sento il fiato mancarmi più di quanto non causi già la sua bocca.
    Quando ci stacchiamo, con uno schiocco impercettibile e dolce, respira profondamente contro le mie labbra umide.
    “Mi fai impazzire, darling…” confessa sommessamente. Lo bacio di nuovo e gli accarezzo una guancia. “Mi fai impazzire, mi fai impazzire” ripete, come se volesse essere certo che io abbia assimilato ogni singola lettera. Ed è così, perché non riesco a frenare il cuore.
    “Ed io sì, mi strapperei i capelli per te.” A discapito del mio tono serio, scoppiamo a ridere.
    Mi strapperei anche la vita dalle vene per te. Non glielo dico.


    ***




    “Pensavo fosse più semplice. Intendo non l’università, ma… creare.”

    “È sempre più difficile del previsto.”
    “Qual è la chiave del successo?” Mi metto in bocca tre o quattro M&M’s, mentre lui sembra pensarci su.
    “Non c’è un vero e proprio segreto, o almeno ognuno ha il suo” replica, per poi sgranocchiare a suo volta alcuni confetti di cioccolato.
    “Puoi svelarmi il tuo?”
    Viene scosso da una risata. “No ragazza. Sarebbe troppo semplice” Sorride sornione. “Ma posso darti qualche consiglio. Per prima cosa, la determinazione: potranno dirti che non vali niente, che il tuo lavoro è da buttare o che non arriverai da nessuna parte… Non crollare mai. Poi devi essere te stessa, non farti mai soffocare dalle mode, da un capo, da niente.” Un soffio di vento gli scompiglia i ricci lascia sciolti, che toglie subito dal volto e lega in una coda. “E devi essere libera.”

    Non dico niente, gustandomi le parole di Michael ancora qualche attimo, prigioniera in uno stato di trance. Spilla esperienza ed ispirazione ad ogni suono che emette, anche il più banale, anche un respiro.
    Lo vedo tastare il prato che ha intorno, mentre io mi stendo, facendo appoggio sugli avambracci per tenermi su con il busto così da poterlo guardare.
    “Vedi” Si rigira una piccola foglia tra le dita e poi l’appoggia sul mio ventre. “Si può conoscere tutto il mondo osservando solo la semplice foglia di un albero. Le idee sono ovunque.”
    Sono letteralmente incantata da questa lezione improvvisata. “Thriller è nato così?”
    “Più o meno.”
    
“L’album più venduto del mondo quando avevi ventiquattro anni… da pazzi! Mi sembra che non arriverò da nessuna parte.”
    Si sdraia accanto a me, unendo le mani dietro la testa che è messa in ombra da una grande quercia. Incrocia i piedi con un calzino giallo e l’altro rosso, poi mi sembra che si perda con gli occhi nel cielo.
    Mi limito ad aspettare che continui a parlare, raccogliendo le briciole di cioccolato rimaste nel pacchetto con un dito.
    “Non devi fare paragoni.”
    “Per te è semplice, ti ripeto che il tuo Thriller è l’album più venduto al mondo, nel caso tu te lo fossi dimenticato!”
    “Lou, i successi non piovono dal cielo. Posso stare tutta la vita in questa posizione, e starci anche bene, ma non avrò mai un nuovo album” ribatte seriamente, quasi come una madre rimproverebbe il figlio che non esegue i compiti per la suola.
    “E allora tutti i tuoi discorsi su Dio che ti ha dato un dono, che sono le canzoni a imbattersi in te e tutto il resto?”
    “È così, metaforicamente. È tutto lavoro di Dio, io compongo e basta.”
    “Tzè, Dio non esiste!” esclamo, lasciando venire in superficie l’ateismo che ho dentro, sebbene sappia quanto questo discorso infastidisca Michael.

    Dio, Dio… Quale Dio? Quello che non accetta il video di Thriller solo perché ‘Mamma mia, l’occulto!’? Quello che ha punito l’umanità perché la poveretta di Eva ha osato mangiare una mela? Dov'è Dio durante le guerre, le malattie, il dolore, la morte? Dio è un’illusione, un burattinaio che gli uomini hanno creato per avere, nella loro testa, qualcuno che somigliasse ad una guida, una magra consolazione a cui l’umanità si appiglia poiché è più semplice lasciarsi cadere nelle mani del Signore, piuttosto che lottare.

    “Dio è proprio il problema del mondo.” Appoggio la testa sull’erba, accanto a quella di Michael e fisso il cielo come lui. “E se i successi non piovono dal cielo, non vengono nemmeno portati dall’arcangelo Gabriele.”
    “Il problema del mondo è che la gente non ascolta e capisce Dio.”
    “Non la pensiamo uguale su questo, lo sai, non sforzarti a farmi cambiare idea.”
    “Bene, lasciamo perdere questo discorso. Ma posso assicurati che, con o senza Dio, serve esperienza, tanta esperienza, per fare qualcosa di geniale. Non ho iniziato a cantare e il giorno dopo ho fatto Thriller.”
    “Già dimenticavo, ci sono le quasi ventimila copie di Off The Wall…”
    “Lou, davvero, non puoi pretendere di essere una professionista in una settimana. Ho iniziato a cinque anni, quando ho inciso Off The Wall avevo già quindici anni di esperienza sulle spalle, mi ero esibito praticamente ovunque con i Jackson 5. Serve tempo e pratica.”
    Sospiro e, ignorando seppur con difficoltà il mio orgoglio e la mia testardaggine, gli do ragione. “Ma è così frustrante avere un sacco di idee in testa e non riuscire a buttarle fuori, a renderle concrete… Mi sembra di avere una miniera di diamanti dentro, ma rimane lì.”
    “Lo so, è capitato e capita anche a me di non trovare la parole o le note giuste.”
    “Ma alla fine ci sei riuscito.”

    “Sì, e puoi farcela anche tu.” Si gira su un fianco e mi guarda. “Facciamo un gioco.”

    “No Michael, ti prego, non è il momento…”

    “Fidati. Ha un titolo questo progetto?”

    “Casa è…”
    “Bene” Si avvicina a me, facendo toccare le nostre spalle e poggiandomi una mano sul ventre. “Le senti? Le idee sono qui, proprio qui” Imprime un po’ di pressione. “E aspettano solo di uscire. Guarda il cielo.”

    “Dai Michael” provo a protestare, ma lui mi blocca subito.
    “Shh, non distrarti! Guarda il cielo!”
    
“Okay, lo sto guardando, ora?”
    “Cosa vedi?”
    
“Così tante nuvole che tra poco pioverà sicuramente.”

    “Poi?”
    
“Poi… Nuvole!”
    “Errore” Mi tira un pizzicotto sul fianco, facendomi sobbalzare.
    “Ehi!”
    
“Le ripetizioni non valgono!”

    “Ma che cazzo, ci sono solo nuvole! Tu cosa vedi?”
    “Vedo… Uhh, è passato un pettirosso!”

    “Ma che ne sai se sia un pettirosso o no?”
    “Tocca a te ora!” mi incita, trascurando la mia domanda sarcastica.
    “Vedo… il comignolo di uno dei camini di casa tua. Vale anche se non è proprio in cielo?”
    
“Vale tutto. Io vedo la punta della giostra dei cavalli. Adesso” Sposta la mano dalla pancia ai miei occhi, che sprofondano nell’oscurità. “Arriva il gioco vero e proprio.” 
Wow, il gioco vero e proprio! Trattengo una risata solo perché non voglio palesargli completamente quanto ritenga questo gioco che ha inventato una grande stupidaggine. Nemmeno a sei anni facevo queste cose e mi sento troppo ridicola.

    “Cosa vedi?”
    “Vorrei dirti niente, ma ehi, sono quasi certa che sia la risposta sbagliata!”
    
“Quando vuoi sei anche intelligente, ragazza.”

    “E te sai fare anche lo stronzo, oltre che al finto angioletto innocente.”
    “Cosa vedi?” mi domanda di nuovo. “Cosa è casa per te?”
    “Mmm…”
    “Non puoi pensarci così tanto, vai di getto! Lasciati andare.”
    
“Casa mia, la California, l’America?”
    “Cosa è casa per… Soraya?”
    
“Quel negozio di vestiti costosissimo in fondo alla Grand Avenue. E forse anche le Bahamas. credo che ci abbia lasciato il cuore.”

    “Per tua mamma casa è…”
    
“La cucina, sta praticamente sempre lì ed adora cucinare. Per mio papà è lo studio di registrazione.” I pensieri più svariati mi rimbalzano nella mente, senza che io riesca a controllarli. Il buio si tinge di colori, assume forme diverse, diventa la tela su cui gettare la vernice senza un senso apparente, ma in realtà facendo in modo che ne esca fuori un capolavoro. “Ma sono anche uno la casa dell’altra, tipo un rifugio. Capisci che intendo? La spalla su cui piangere, ma anche la persona con cui condividere la felicità.”
    Mi zittisco, probabilmente persino stupita di quello che Michael sta tirando fuori da me. L’odoro dell’erba umida mi pizzica il naso.
    “Casa è…” proseguo. “Il cielo per quello che pensi sia un pettirosso, o la giostra dei cavalli per i bambini che inviti e aiuti. Ma è anche un ponte per un senzatetto, la strada per una prostituta, una casa di riposo per un anziano dimenticato da una famiglia troppo bastarda.”

    “Cosa è casa… per me?”
    Sto per rispondere di getto Neverland, ma poi mi blocco e ci rimugino sopra. “Il palcoscenico, forse. Dici che è quello il posto in cui ti senti più a tuo agio e dove ti arriva amore vero, no? Volevo dire Neverland, ma credo che tu preferisca l’idea di Neverland e non il ranch in sé, perché alla fine è la tua gabbia. Penso che vorresti che la tua casa fosse il mondo, non un parco giochi. Anche Peter Pan, ogni tanto, deve andare nel mondo reale, non può vivere sempre sull’Isola Che Non C’è.” Sento la pressione della sua mano sui miei occhi diminuire. Silenzio, non dice più niente. “Michael?” Mi metto repentinamente a sedere, la sua mano scivola sul prato perfettamente tagliato. Su una parte della tanta perfezione che lo circonda.
    Tutto nella sua vita, a pensarci, è perfetto. Eppure la vita è la più imperfetta delle cose, con tutti i suoi difetti e i suoi fardelli da trascinarsi dietro. La casa di Michael, nonostante non lo dica, non è il palcoscenico. La casa di Michael è una realtà fittizia che si è creato per ripararsi dalla vita vera, un posto dove possa sentirsi protetto, ma in modo totalmente sbagliato. La sua casa consiste nell’isolarsi dal mondo. In questa ottica, perfino la sua solitudine appare perfetta.

    Mi guarda senza vedermi realmente ed io, per un attimo, temo davvero di averlo ferito.
    “Michael… te cosa vedi se chiudi gli occhi?”
    Si passa la lingua sulle labbra. “Vedo sempre la stessa cosa. Me, qui, da solo.” La voce trema, ed io mi sdraio nuovamente rivolta verso di lui e lo abbraccio goffamente. “Mi sento così solo Lou, non puoi nemmeno immaginare. Faccio tutto quello che posso, regalo al mondo la mia musica, aiuto le persone che soffrono, mi dedico alla beneficenza. Ma, quando torno a casa, sono sempre così solo.” Lo avverto aggrapparsi alla mia schiena e devo impiegare tutta la forza che ho per non piangere.
    “È questo il prezzo della fama?”
    “Forse sì. Non posso nemmeno dirlo, ho sempre vissuto così.”
    “Vorrei fare qualcosa per aiutarti…”

    “Fai già tanto” Si allontana un po’ e, fronte contro fronte, fa toccare la punta dei nostri nasi. “Darling.” Sorrido, imbarazzata.
    “Cambieresti la tua vita?”

    “No, sono nato per cantare, non cambierei niente della mia vita. Ma a volte mi piacerebbe essere una persona qualunque. Camminare per strada, andare al supermercato… ancora di più, vorrei portarti a cena fuori e poi in vacanza da qualche parte, e poi… non lo so, vorrei fare qualsiasi cosa. Ma non come Michael Jackson. Mi piacerebbe essere tra la gente, incrociare milioni di occhi diversi per scoprire che…” Esita, mentre mi accarezza lentamente una guancia con il pollice. Si morde il labbro, fissandomi. “per scoprire che avrei comunque occhi solo per te.”

    Sento il battito del cuore rimbombare nella mente, da cui è stato spazzato via ogni pensiero. Poi catturo le sue labbra e lo stringo a me, avvinghiandomi al suo corpo. E tutto quello che non riesco ad imprimere in una fotografia, si riserva su questo bacio che sa di tristezza e speranza al contempo.
    “Non voglio trascinarti nella mia solitudine, sarebbe la cosa più egoista che-”
    “No” lo interrompo decisa. Osservo le sue pupille che si dilatano, divenendo più profonde di quanto già non siano. “Sarò io a portarti fuori dalla tua solitudine, te lo prometto.”
    E sembra crederci. Ed è in questo momento che io giuro a me stessa di essere la sua difesa.
    Gli prendo una mano e la intreccio alla mia. Entrambi esploriamo le nostre dita che si incatenano… alla perfezione. Tutto, improvvisamente, torna al suo posto. Sollevo le nostre mani verso l’alto, verso quel cielo nuvoloso che predice la più distruttiva delle tempeste. Ma vediamo solo le nostre mani unite, poco importa di quelle nubi che presto ci bagneranno.
    “Voglio che sia questa la tua casa” sussurro, stringendo la sua mano tanto da farmi male ai legamenti. “E voglio che anche per me casa sia questo. Noi.”
    Quell’unione di carne e amore si intrufola tra i nostri petti, dove i cuori stanno battendo all’unisco.
    “So che sembra banale ma… Sei la miglior cosa che mi sia successa, darling.”

    Per la prima volta penso che potrei davvero amarlo, nell’accezione letterale del termine.


    ***




    Il professore al centro, con i piedi allineati e le spalle dritte, fissa la mia foto da sotto gli occhiali. Borbotta qualcosa nell’orecchio di un secondo docente, alto e scheletrico, con le spalle incrucciate. Entrambi, di tanto in tanto, si sporgono verso la foto, scrutando ogni dettaglio e sfumatura. Dopodiché tornano al loro posto, uno impettito e l’altro che sembra ancora proteso in avanti.
    L’ansia mi sta divorando. Per l’ennesima volta, faccio scorrere gli occhi sugli altri lavori: paesaggi prevalentemente, o case. Forse ho tirato un po’ troppo la corda.
    “Signorina Swedien.” Al richiamo del professore distolgo immediatamente l’attenzione dalle altre immagini. Lancia un colpetto di tosse prima di parlare. “Be’, non si può negare che il suo scatto sia molto… inusuale. È stata una sua idea?”
    “Certo. Solamente, la persona che è con me nella foto mi ha aiutata a… vedere idee ovunque.”
    “Ah, quindi è sua una delle due mani?”

    “Sì, esatto?”

    “Non è stato qualcun altro a scattare, vero?” domanda, con tono intimidatorio e un sopracciglio alzato.
    “Assolutamente no. Ho usato un autoscatto, dopo aver impostato diaframma e tempo.” E mi ci sono dannata, perché non c’era luce e la messa a fuoco si sballava in continuazione.
    “Bene, mi ha colpito particolarmente. È la più originale tra tutte. Credo che ci riserverà molte sorprese in questi anni, signorina.” L’altro professore apre il mio libretto dei voti e scarabocchia qualcosa, richiudendo subito tutto e porgendomelo. “Complimenti, ma si ricordi che adesso avremo grandi aspettative da lei. Non ci deluda.”
    
“Non lo farò.”
    I due insegnanti si allontanano dopo avermi lanciato un’ultima occhiata seria. Io sfoglio confusionariamente le pagine del libretto e… trovo un 100% nitido scritto accanto a questa assegnazione.
    Sorrido, mentre dentro di me è in corso una festa. Poi alzo gli occhi sulla mia foto: un ingrandimento su due mani, le nostre mani, unite, strette, indissolubili. E in bianco e nero, perché saremo noi a dar colore a questo buio.
    Casa.



    Ammettetelo... avevate perso la speranza!
    E invece eccomi finalmente di nuovo qui, con un capitolo più corto del previsto ma anche molto sfortunato, viste tutte le disavventure.
    Come state?
    Come vi avevo detto, sono stata in Nuovo Messico e, anche se sapevo che non avrei trovato il prototipo di America che invece è a New York, sono rimasta un po' delusa. Sono stata ospitata da una famiglia che mi aveva promesso di portarmi in tantissimi posti, perfino in Oregon e Colorado, ma così non è accaduto e ho trascorso tanti giorni in casa. Comunque pazienza, sarà la scusa per tornarci un'altra volta. Dopodiché, due giorni dopo il mio rientro in Italia, sono andata a Venezia. Ho visitato anche e soprattutto la mostra Lost+Found di David LaChapelle, che comprendeva tre lavori su Michael, e ne sono rimasta letteralmente incantata.
    Voglio cogliere l'occasione per avere anche un parere su Scream, l'album che uscirà a fine settembre. Questo argomento è stato discusso in abbondanza e, personalmente, credo che è sempre bello vedere il nome di Michael e le sue pubblicità nelle più grandi città del mondo, a prescindere dal disco. Certo, si tratta semplicemente di una raccolta, ma sempre meglio di niente. Oltretutto Michael adorava Halloween! Ditemi un po' cosa ne pensate, se vi va.
    Penso che per il momento sia tutto, aggiornerò molto prima di quanto non abbia fatto adesso, promesso!
    Un abbraccio e buonanotte
     
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    Lou grazie alla sua bravura e anche a Michael è riuscita a fare un bel progetto fotografico e prendere nun 100.Tutto bene
     
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46 replies since 28/6/2017, 21:30   1049 views
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