In Your Defense

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    Ci stiamo scaldando per una grande, bellissima storia.
    Michael e Lou sanno la verità ma la stanno evitando, su più di un fronte.
    Grazie, aspetto il seguito con impazienza! <3
     
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    Capitolo 4

    HER LIPS ARE LIKE THE GALAXY'S EDGE






    “Paul, non ce la faccio a fare un concerto ogni due giorni, te l’ho detto.” Mi avvio verso il suv nero fermo nel mezzo del vialetto che porta alla residenza principale di Neverland, inspirando profondamente. “Certo, lo so.”
    Odio discutere continuamente delle solite cose, ma sembra che Paul Gongaware, il mio tour manager, non abbia ancora capito. Saluto Bill, uno dei miei bodyguard, che mi apre la porterai posteriore, e mimo un “Grazie” con le labbra, mentre Paul continua a insistere sul fatto che sia impossibile organizzare il tour in un altro modo.

    “Ciao, re del pop” mi saluta Lou, dopo che mi sono seduto accanto a lei. Le accarezzo uno zigomo con la parte superiore della mano, dopodiché faccio cenno a Bill di partire.
    “Paul, te lo ripeto, non ce la faccio. Un tour è estenuante. E non è tanto raro che sia disidratato, che svenga o che ci sia qualche altro problema. Non riesco nemmeno a dormire bene, quindi è impossibile.” Mi tolgo il fedora, lasciandolo cadere ai miei piedi, mentre guardo distrattamente lo scenario che si sussegue al finestrino. “Ho bisogno di 100 milioni di dollari per Natale 1993.”
    Mi massaggio le meningi tra il pollice e l’indice. Non ne posso più. Sono giorni che questa discussione va avanti e tutto questo non fa altro che caricarmi ancora di più di pressione, quando il tour non è ancora cominciato, quando non è uscito neppure l’album. Non oso immaginare cosa accadrà quando la carovana verrà messa in movimento.
    “Certo che ho bisogno dei soldi, ma non posso nemmeno morire!” Alzo il tono di voce, spazientito, ma cerco di riprendere subito il controllo. “Deve esserci un altro modo. Comunque ne parliamo domani, adesso devo andare. Ciao!”

    Abbandono il telefono sul sedile, sospirando. Sono esausto, e la giornata è appena iniziata. Ho l’agenda piena per tutto l’anno, tra servizi fotografici, interviste e concerti, ma non sembra mai abbastanza. Mi stanno strizzando come una spugna e mi pare che tutta l’acqua del mio corpo si stia prosciugando, giorno dopo giorno.
    “Qualche problema?” domanda Lou, distogliendomi dalle mie preoccupazioni.
    La squadro un attimo. Indossa un vestito leggero bianco, che arriva a metà coscia, e gli occhi sono resi più grandi da uno strato abbondante di mascara sulle ciglia. I capelli biondi chiari sono raccolti in una coda alta, lasciando scoperto il collo.
    “Uh uh.”
    Faccio scorrere distrattamente gli occhi sulle gambe nude, Lou si agita un po’ sul sedile, a disagio, facendomi spostare lo sguardo sul suo viso.
    
“Michael, non sai mentire.”
    “C’è qualche… problema con il tour.”
    Le spiego velocemente la situazione.

    Quando mi stavo preparando per il Bad Tour avevo l’adrenalina a mille, non vedevo l’ora di intraprendere i miei primi concerti da solista.
    Ma, ben presto, ho capito che un tour ti sfibra letteralmente, ti toglie ogni abitudine quotidiana e persino uno stile di vita che possa definirsi umano. Non ci sono più orari, né un posto fisso dove stare; sono costretto a vivere in alberghi che cambiano anche ogni quarantotto ore e i fusi orari mi fanno perdere la concezione del tempo. Non esiste il riposo, né mi posso permettere di mollare un po’ la corda, perché ogni show deve essere al massimo livello.
    È una cosa debilitante. Odio i tour.
    Non penserei nemmeno a farli, se non fosse per i miei fans. Loro sono la ragione del mio successo. Conoscono tutte le mie canzoni e i miei passi di danza, indossano perfino fedora e scotch alle dita.
    Se mi esibisco in più di cento concerti, girando il globo terrestre, è soltanto perché ogni mio fan deve provare l’estasi di un mio spettacolo. Io devo e voglio accontentare ognuno di loro.
    L’energia che mi trasmettono è incredibile. Tra me e il pubblico si crea una connessione magica, che mi spinge a dare sempre di più. Le scariche elettriche che ricevo tornano a loro, e questo scambio di elettricità non è altro che la più sincera forma di amore che io conosca.

    “Troverai una soluzione, no?” La positività di Lou non riesce a contagiarmi. Soprattutto perché sa benissimo come si lavori nel mio circo, perciò non sta facendo altro che provare a tirarmi su di morale.
    “Spero, anche se non credo di avere molte soluzioni.”
    Già, perché c’è anche il capitolo “Heal The World Foundation”. Ho bisogno di soldi per l’associazione di beneficenza che sono intenzionato a fondare. Voglio aiutare il maggior numero di bambini, senza limitarmi alle donazioni. Voglio dare un aiuto concreto, che non sia solo economico. Ma, per prima cosa, devo avere quei soldi.
    C’è in ballo il progetto della mia vita, qualcosa che, addirittura, va oltre il canto e la danza. È ciò per cui sono stato chiamato sulla Terra.
    “Be’, alla fine sei tu che comandi. Sei tu il capo.” Adesso invece è seria, perché non sa, non può sapere.
    Mi ammutolisco, tornando a concentrarmi sui fotogrammi che si susseguono al di là del finestrino. Qualche albero, i cartelli dell’autostrada, un autogrill.
    “Non è così semplice, Lou.”
    No, non lo è per niente. Ed è anche questo il prezzo del successo: avere sempre delle catene che non ti permetteranno mai di spiccare il volo.
    “Adesso non pensarci, non vedo l’ora di uscire da questa macchina!”


    ***




    “Michael ma è pazzesco questo posto! Hai visto quante attrezzature hanno? Sai mica se c’è anche una camera oscura? Deve esserci per forza! Voglio visitare ogni angolo, è incredibile!” esclama Lou, dopo aver spalancato la porta del mio camerino e essersi precipitata dinanzi a me. Gli occhi color ghiaccio scintillano per l’euforia ed ha le labbra tirate al massimo in un sorrido che non posso far altro che ricambiare.
    “Oh, ciao Karen, scusami” continua, frenando il suo entusiasmo, o meglio provando a farlo. Ridacchio, seguito da Karen, intenta a passarmi una linea di eye-liner sulle palpebre.
    “Ma tra quanto cominciate? E non mi hai ancora detto chi ti farà le foto!”

    Lou è letteralmente un fiume in piena. Qualche giorno fa, le ho annunciato che avrei dovuto fare un servizio fotografico a Los Angeles per il mio nuovo album Dangerous e le ho proposto di accompagnarmi.
    L’inizio della fine.
    Sono quattro giorni che non fa altro che ringraziarmi e manifestare tutta la sua eccitazione per il progetto. Mi ha chiamato più volte nel cuore della notte solo per chiedermi se fossi serio o se la stessi prendendo in giro, oppure per assicurarmi che non vuole in nessun modo sfruttare il mio nome per partecipare a qualcosa di “stramegafantastico”. Comunque, per la maggior parte del tempo, non ha fatto altro che ripetermi quanto tutto questo sia bellissimo, emozionante e inverosimile.
    Darling, questo è il minimo che possa fare, ripetevo nella mia testa.

    “Grazie Turkle.” Karen posa il pennello con cui mi ha definito le sopracciglia e, infine, passa ancora una volta un velo di cipria.
    “Karen, un giorno dovrai truccare anche me, non è giusto che Mike sia sempre messo meglio.” Lou sprofonda in una poltrona del camerino, in maniera scomposta, facendomi ridere ancora di più.
    “Quando vuoi, tesoro, sono a vostra disposizione” replica la mia truccatrice, riponendo tutte le matite e specchietti nelle borse. “Ti aspetto di là Mike, okay?”
    Annuisco, salutandola, dopo averla accompagnata alla porta.
    “Ma che cazzo di roba devi metterti?” La domanda poco delicata di Lou mi fa voltare di scatto. La vedo immobile davanti all’armadio, con un’anta aperta, mentre fa scorrere le grucce alle quali sono appesi i miei vestiti.
    “Ma che strozzate sono…”
    “Lou, puoi esprimerti un po’ più educatamente?” Cerco di trattenere le risate.
    “Una camicia leopardata…” E l’indumento vola sulla poltrona dove era seduta fino a poco prima. “Va be’, questi pantaloni dorati, considerando i tuoi standard, vanno bene. E poi c’è…. Una tuta da scherma?!” Si volta verso di me, riservandomi un’occhiata interrogativa, con la fronte aggrottata. Scoppio ridere. “Michael, è uno scherzo, vero?”
    “Okay Lou, perché non te ne torni a sedere?” propongo, tra una risata e l’altra. Devo calmarmi, o il trucco colerà prima ancora che abbia cominciato. Stranamente, fa ciò che le ho detto.
    Nel frattempo, mi tolgo la t-shirt bianca e, imbarazzato, la sostituisco velocemente con la fantomatica camicia leopardata. Lou mi squadra dalla testa ai piedi, guardando disgustata quel pezzo di stoffa.
    “Che c’è, darling?”
    “Io non lascerei mai che il mio ragazzo indossasse una cosa del genere.”
    L’affermazione mi spiazza, facendo accelerare irreparabilmente i battiti del mio cuore, ma cerco di comportarmi con naturalezza. È soltanto una battuta, stupido.
    Afferro i pantaloni dorati e mi dirigo verso il bagno.
    “Be’, ma io non sono il tuo ragazzo, giusto darling?” le faccio notare, affacciato alla porta.
    Lei fissa un punto indefinito della moquette, sembra pensarci un po’, con i gomiti appoggiati ai braccioli della poltrona rossa e le mani unite davanti alla bocca.
    Avrei voluto parlarle di quel pomeriggio nello studio di registrazione, dirle che non scherzavo, capire soprattutto se lei fosse seria. Non ne ho ancora avuta l’occasione, o probabilmente non ho avuto il coraggio di iniziare il discorso. Il fatto è che ho paura di perderla, perciò preferisco non fare mosse azzardate. Mi sono confidato anche con Liz e, seppur non sia la migliore consulente sentimentale vista la sua lista di matrimoni, non posso non darle ragione: nel peggiore dei casi la nostra amicizia terminerebbe, nel migliore (ma forse anche questo è un male) la trascinerei in un mondo dove non potrebbe più vivere, quindi finirebbe per andarsene comunque.
    “Vero” replica alla fine.


    ***




    Osservo Lou intenta ad analizzare ogni luce puntata contro lo sfondo dove verrò fotografato, di tanto in tanto fa qualche domanda agli assistenti. Il vestito bianco, seppur non le risalti sulla pelle chiarissima, le dona un aspetto angelico. E sembra che anche qualche ragazzo della troupe l’abbia notato.

    “Signor Jackson, buon pomeriggio e mi scusi per l’attesa.” Scosto lo sguardo da Lou, incontrando la figura di Herb dinanzi a me.
    “Buon pomeriggio a te, Herb!” Stringo la mano che mi ha teso, sorridendo cordialmente. Sembra proprio un bravo ragazzo.
    “Spero si sia trovato a suo agio, signor Jackson.”
    “Oh sì, sono tutti gentilissimi. Ma ti prego di darmi del tu, e di chiamarmi Michael, altrimenti mi sento vecchio.” Herb annuisce, sorridendo. “Senti, ho portato una mia… amica.” Con un cenno della testa indico Lou, accovacciata a terra alle prese con qualche apparecchio a me sconosciuto. “Vive per la fotografia, quindi potrei presentartela?”
    “Certo, con piacere!”

    Quando la chiamo, si alza goffamente sbattendo in un cavalletto, che si appresta subito ad afferrare con una mano per evitare che cada. Mi raggiunge velocemente con un sorriso imbarazzato stampato in faccia, mentre stira il vestito sulle cosce con i palmi delle mani. È buffa quando cerca di tirare fuori le gambe da una figuraccia con indifferenza.
    “Dimmi Mic…” Si blocca all’improvviso, spostando lo sguardo su Herb, che la guarda divertito. “È uno scherzo, vero?”
    “Mm, non credo. Herb, questa è la mia…” Merda. “Questa è Lou.” Faccio un passo indietro, lasciando loro spazio. Il fotografo le tende una mano, che però Lou fissa imbambolata. Mi schiarisco la voce con un colpo di tosse, sperando di destarla dalla postura marmorea che ha assunto.
    “Ma è proprio Herb Ritts? Quell’Herb Ritts?!” domanda esterrefatta, con gli occhi sgranati.
    “Sì, sono io” conferma Herb, ridendo, mentre Lou, finalmente, fa affondare la sua piccola mano in quella enorme di lui. Sprizza ammirazione e stima da ogni poro.
    “Dio Michael, ma potevi dirmelo? Mi sarei truccata un po’ meglio, non so…”
    “Sei bellissima così” la rassicura Herb, togliendomi le parole.
    “Ma… posso chiederti un autografo? Sei il mio idolo, seriamente, i tuoi lavori sono mozzafiato!”
    Ha le guance arrossate per l’emozione, quando Herb, dopo averla ringraziata, le firma un pezzo di carta che Lou ha strappato dalla sua agenda. Poi l’uomo le fa qualche domanda sulla passione che li accomuna e lei, adesso più sicura, gli risponde senza indugio. Discutono degli ultimi shooting di Ritts; Lou elogia particolarmente gli scatti fatti a David Bowie e Tina Turner nel 1989 e quelli di Claudia Schiffer dello scorso anno.
    Vorrei non solo che fosse sempre così felice, ma soprattutto che vivesse nell’ambiente che adora, a contatto con persone che osserva con meraviglia.
    Così colgo la palla al balzo.
    “Sai Herb, Lou è molto brava. Era stata anche accettata in un’università a studiare fotografia, ma poi…” affermo vago con un gesto indefinito della mano, percependo Lou fulminarmi con lo sguardo. Se non capisci non le buone, darling, dovrò ricorrere alle maniere cattive.
    “Ah, sì? E poi?”
    “Niente, ho rifiutato.”
    “Studierà business” aggiungo, rincarando la dose. “Peccato, no?”
    “Lou, non farlo! Ascolta, capisco che questo mondo sia un po’ strano e insicuro, ma se è la tua passione, non mollarla.”
    “Be’…”
“Sono serio. Quando ci si può esprimere solo con una foto, diventa impossibile farne a meno. Sarebbe il tuo più grande rimorso, pensaci bene.”
Lou si zittisce e abbassa lo sguardo, non riuscendo a sostenere l’occhiata decisa di Herb, che adesso le accarezza un braccio per rassicurarla. “Pensaci” ripete, mentre sento un moto di orgoglio e trionfo lievitarmi nel petto.
    “Potrei portarti il suo portfolio, che ne dici?” chiedo, mentre stringo la coda dove sono raccolti i miei capelli, oggi liscissimi.
    “Certo, sono felice di vedere il tuo lavoro. Intanto, potresti aiutarmi?”
    “Io?!” Lou torna a fissarlo sbalordita. “Non ho mai…”
    “C’è sempre una prima volta, ragazza.” Herb le fa un occhiolino, prima di spostarsi verso il punto in cui si svolgerà lo shooting, seguito da noi due. Le nostre mani si scontrano, facendomi sussultare.

    Ragazza. Mi ripeto questa parola nella mia mente, mentre Karen ritocca il trucco. Ragazza. La ragazza sta a fianco di Herb, osservando ogni sua mossa. La ragazza deve seguire i suoi sogni.
    “Uff, ma che hai fatto? Il trucco si è sciolto un po’ troppo rispetto a quanto avevo previsto” si lamenta Karen, passando pennelli di ogni grandezza sulla mia pelle.
    Ragazza. La ragazza ha fatto sciogliere il mio trucco, Turkle, perché accanto a lei la colonnina di mercurio del mio corpo infrange il vetro e schizza alle stelle. La ragazza, ora, è piegata su una macchina fotografica agganciata ad un cavalletto, sta provando a scattare qualche foto. E, per un attimo, abbandono ogni freno inibitore, e immagino come sarebbe se, in questo preciso momento, le alzassi il vestito e scostassi gli slip. Ragazza. Deglutisco a fatica, socchiudo le palpebre. La ragazza è calda, e aspetta solo me.
    Sento l’erezione crescere sotto i pantaloni dorati, e me ne vergogno. Perché io sono un uomo, non più un ragazzo. Ma la ragazza mi porta in altre galassie e non potrei mai dir di no ad un viaggio intergalattico.
    “Scusami Turkle, di’ loro che torno subito…” dico in un sospiro.

    Nel mio viaggio intergalattico, ragazza, c’è un corridoio che attraverso a lunghe falcate, la svolta a destra che mi scombussola lo stomaco, la porta del mio camerino che mi permette di accedere al mondo delle mie fantasie e, infine, il mio camerino, pianeta abbastanza lontano e sicuro da lasciarmi il diritto di cedere.
    Ragazza, ragazza, ragazza. Più ripeto questa parola, più il suo significato spira via.
    Perché, per me, la ragazza è sempre stata darling.
    La porta si chiude in un tonfo assordante, prima che io mi ci abbandoni contro, la schiena incollata al legno.
    Darling è molto più carino. Trovo che sia un nomignolo dolce, per quanto comune. Anzi, il fatto che sia comune mi catapulta in una normalità estremamente vivida.
    La chiamerei darling quando rientra a casa, quando si sveglia con i capelli arruffati, quando ride, quando si dispera, quando si dona a me. La chiamerei darling in qualsiasi occasione, perché questo è un nomignolo affettuoso che però non la catalogherebbe in nessun modo.
    A diciotto anni lei è una ragazza, invece io a trentaquattro sono un uomo. Strano, no? Alla gente darebbe fastidio, forse. Magari, io non saprei come gestire la cosa.
    Ma se lei è semplicemente darling, allora niente è definito.
    Istintivamente, porto la mano al cavallo dei pantaloni e lo accarezzo timidamente. Il respiro si fa più profondo, così tanto fa riempire il silenzio di questa stanza.
    E neppure Lou andrebbe bene, perché lei è sempre Lou. A me deve riservare qualcosa che sia soltanto mio. Dunque per il mondo è ragazza, per le persone che la conoscono è Lou, per me è darling. Perfetto.
    Faccio saltare il bottone, anch’esso dorato, ed abbasso la cerniera, per poi far scorre leggermente i pantaloni verso il basso. Il dorato mi ricorda il colore dei suoi capelli, morbidi come seta e profumati.
    Impaziente, libero l’erezione dai boxer e… Dio, solo il pensiero che lei ci si abbassi mi fa impazzire.
    Comincio a muovere lentamente la mano intorno ad essa, mentre ormai la razionalità mi è scivolata via dall’anima, insieme a tutti i miei problemi e le mie preoccupazioni. Niente album, niente tour, niente di niente, neppure il mio ingombrante cognome.
    In quei movimenti regolari immagino la sua piccola mano, con le unghie smaltate di rosso. Nel mio respiro rauco fantastico che si fonda il suo, più trattenuto. Sotto la mia camicia, figuro con la mente la sensazione delle sue labbra che scottano la mia pelle ad ogni bacio.
    Quando aumento il ritmo della mia mano, sono costretto ad aggrapparmi allo stipite con l’altra, le unghie stridono contro il muro. Mi afferro il labbro inferiore tra i denti e lo mordo fino a quando il sapore ferreo di qualche goccia di sangue incontra la mia lingua.
    Mi chiedo se sia vergine. Non parliamo mai di queste cose, sarebbe troppo imbarazzante. Ma, adesso, non so se sia più eccitante pensarla stretta e timorosa oppure calda e dominatrice. Entrambe le situazioni mi portano presto alle stelle, alla mia destinazione. Sento la mia mano rallentare fino a fermarsi, bagnandosi di quel liquido che è dimostrazione della mia passeggiata nell’universo, nel suo universo. Darling.
    Con i battiti che tornano alla normalità e il sudore che mi si sta ghiacciando addosso, mi lascio scivolare a terra.
    E, solo allora, mi chiedo che cosa mi sia preso.


    ***




    “Comunque Herb è fantastico!” esclama, stravaccata sul tappeto del salone, con la schiena poggiata al divano. Nella posizione in cui mi sono trovato in camerino, penso.
    “Ti rendi conto di quante persone famose abbia fotografato? Naomi Campbell, Madonna, Liz e adesso anche te. Non saprò mai come ringraziarti abbastanza.”

    Ha fatto un resoconto completo di quello shooting iniziato due ore più tardi a causa del controllo che non ho, ha lodato Herb Ritts senza riserve, ha ammesso che alla fine i miei vestiti avevano un bell’effetto davanti la macchina fotografica. Non ha mai smesso di parlare.
    Non so se il fatto che chiacchieri costantemente mi sia d’aiuto oppure mi renda tutto più difficile. Se, da una parte, riempie il silenzio che altrimenti offuscherebbe questo grande salone e cancella l’imbarazzo che sarebbe estremamente tangibile, dall’altra il suo chiacchiericcio mi provoca una tremenda voglia di arrestarlo immediatamente.
    Seduto accanto a lei, mi tengo impegnato masticando una gomma alla fragola. Non riesco nemmeno a guardarla negli occhi.
    Sullo schermo della televisione si alternano le scene di un vecchio film western, sul quale siamo capitati senza rendercene conto.
    Potrebbe essere una sera qualunque, ma no, stasera è tutto diverso. Lou è sempre stata una mia amica e le fantasie su di lei sono sempre rimaste idealizzate. Adesso invece sono dannatamente fisiche e palpabili. Non dovevo cedere a tutto questo. Per quanto timido e rispettoso, rimango un uomo e, talvolta, ragiono anche io da uomo. E ragionare da uomo significa perdere la testa. Lei non fa altro che farmela perdere.

    “Sai Mike…” Si siede a gambe incrociate, sistemandosi rivolta verso di me. No, ti prego. “Credo… credo che potrei rivalutare la mia scelta. Cioè, potrei provare a riprendermi il posto alla facoltà di fotografia. L’unica paura è che non so come la prenderebbe mio padre, ma potresti darmi una mano, no? Penso che dovrei almeno provare, perché è quella la mia passione, come mi dici sempre tu.”
    Non muovo un singolo muscolo della mia faccia. In un’altra condizione, avrei festeggiato, l’avrei stritolata tra le mie braccia e le avrei espresso tutto il mio orgoglio. Forse, dentro di me, sto festeggiando. Tuttavia, non riesco a manifestare niente.
    “Michael, mi hai ascoltata?” Porta una mano sulla mia spalla e mi rivolge uno sguardo preoccupato. Vorrei solo che togliesse quella mano, perché la pelle, sotto il tessuto bianco della maglia, sta andando a fuoco. “C’è qualcosa che non va?”
    
“No, tranquilla” replico a fatica.
    “Sei preoccupato per la faccenda del tour? Mi dispiace non aver approfondito la cosa stamattina, ma ero troppo euforica. Possiamo parlarne adesso, però.”
    “No, non è per il tour.”
    La vedo alzarsi e inginocchiarsi tra le mie gambe aperte. Ora, porta entrambe le mani sulle mie spalle. Penso che, con questo, abbia superato il limite ed io mi concentro perfino sulle venature del parquet pur di non guardarla.
    “Michael, ascolta, con me puoi parlarne. Ci siamo sempre detti tutto, sono qui per aiutarti. Non voglio sbagliare di nuovo, non scappo.”
    “Lou…”
    
“È per… quello che ci siamo detti lo scorso pomeriggio?”
    Sì e no.
    “Mike, se è per quello, non preoccuparti. Io, mm…” Sospira.
    A volte mi sembra così piccola, a volte è tanto matura quanto impacciata a causa della sua età, che viene inevitabilmente in superficie quando si trova in determinate situazioni. Ma può darsi che sia proprio questo che mi piace. Vive la vita con la leggerezza che, seppur controllata e non banale, io non ho mai avuto.
    “Ascolta Lou” Inspiro profondamente, chiedo mentalmente scusa a Liz per non seguire i suoi saggi consigli e, finalmente, incontro quelle gemme color ghiaccio che le risplendono nel viso. “Io… ero serio, okay?”
    “Anche io, Michael.”
    “Sì, ma non so…”
    Possibile che non capisca? So che non abbia mai avuto una relazione, ma a me sembra di comportarmi in modo così palese che perfino un bambino lo capirebbe. “Cosa intendi tu per seria?”
    “Non lo so, perché hai bisogno di definire così tanto le cose?” ribatte, con un velo di risentimento nella voce. Le sue mani scivolano via e tornano sopra le sue gambe.
    “Non lo so perché, era per parlare.”
    Fa per alzarsi, ma la blocco, afferrandole un polso e facendola rimettere in quella scomoda posizione. “Okay, scusa, è solo che sono stanco, tra tutti gli impegni e le cose a cui devo pensare. Non volevo farti arrabbiare.”
    “Non sono arrabbiata, solo che non capisco cosa…” Si ferma, alla ricerca di qualche parola che probabilmente non esiste neppure. “Non capisco e basta.”
    “Nemmeno io.”
    “Ma cosa c’è da capire?”
    “Non lo so.”

    Questa conversazione sta diventando troppo squallida. Sembriamo imprigionati in una scena di quei film romantici che non giungono mai ad una conclusione. Lei mi fissa con un’espressione indecifrabile, un misto di incomprensione e richiesta di aiuto. E, in questo film, devo essere io a darle delle risposte.
    Le porto una mano tra i capelli che, poco fa, ha sciolto. Si irrigidisce immediatamente. Le massaggio la testa, spostandomi, fino ad arrivare alla sua nuca. Non si muove di un centimetro, sembra pietrificata, ed ora leggo solo paura nei suoi occhi. Terrore puro.
    Facendomi leva alla presa che ho sul suo collo, mi sporgo verso di lei. Respira velocemente, il suo respiro si infrange contro la mia bocca, sulla quale passo la lingua più volte.
    “Michael…” Il suo richiamo, bisbigliato, non giunge alle mie orecchie.
    “Scusami, darling” le sussurro a fior di labbra, mentre i nostri nasi si accarezzano.

    Lou è completamente avvolta dal panico, quando annullo la poca distanza rimasta tra di noi e sfioro con le labbra quelle rosee di lei, per poi spingermici contro con maggiore pressione. Non si oppone, rimanendo comunque nel suo “territorio di sicurezza”.
    Quando la sento tremare, non faccio altro che tuffarmi con più profondità su quelle labbra morbide. E, ne sono certo, questo bacio casto è meglio di qualsiasi viaggio abbia mai intrapreso la mia immaginazione.
    Sento il suo profumo di borotalco invadermi le narici, mentre le stringo le guance tra le mani.
    Adesso posso dirlo, non esiste luogo più sicuro delle sue labbra, che sono i confini della mia galassia, il punto dopo il quale c’è il più pericoloso dei precipizi, un interminabile buco nero. E questa caduta mi fa saltare il cuore in gola per la paura, ma è anche una scarica di adrenalina che non mi concede ripensamenti.
    Il sapore di menta impresso sulla sua bocca soppianta quello di fragola che, fino a poco fa, aleggiava nella mia.
    Se dopo questo gesto sconsiderato ci sarà soltanto la morte per me, sono pronto ad accettarla.
    Succhio un’ultima volta le sue labbra, prima di staccarmi con riluttanza, lentamente, con uno schiocco appena percettibile, ma che mi fa realizzare ciò che ho appena fatto.

    “Mi piaci, darling” affermo deciso, sempre contro quella porzione di pelle umida che è stata fatta mia, mentre mi perdo tra il mare in tempesta che si scatena nei suoi occhi. Mi sento un adolescente alle prese con la sua prima cotta.
    Lei volta la testa a sinistra, una lacrima scende sulla sua guancia fino a precipitare sul tessuto nero dei miei pantaloni, sciogliendosi in una piccolissima chiazza ancora più nera.
    Non sono in grado di formulare una frase, né di rassicurarla. Mi limito a passarmi le mani sul volto, improvvisamente privo di energie e pieno di delusione. Cosa mi aspettavo?
    “Michael” La sua voce, seppur cerchi di controllarla, è rotta dal pianto. “Ho paura.”
    Ho paura anche io, ma insieme potremmo non averne più.
    “Lou…”
    Si alza, senza degnarmi di uno sguardo, e non provo a fermarla stavolta, perché so che non otterrei niente e perché non ne ho le forze.
    Dopo appena qualche minuto sento il portone sbattere e osservo dalla finestra i fari della sua auto allontanarsi dalla casa, fino a scomparire quando oltrepassa il cancello e svolta.
    Ancora una volta è scappata. Per colpa mia.




    Eccomi di nuovo qui!
    Spero che questo capitolo vi sia piaciuto, lascio a voi i commenti!
    Volevo soltanto dirvi che, se ne siete incuriositi, potete dare un'occhiata ai lavori di Herb Ritts qui:
    www.herbritts.com/#/archive/photo
    Sono andata ad una sua mostra qualche tempo fa e ne sono rimasta letteralmente affascinata. Non solo è l'autore dello shooting per Dangerous (nel quale rientra la foto di Michael che indossa quei buffi pantaloni con la sua faccia ricamata sopra!), ma ha anche diretto il video di In The Closet, quindi mi sento di ringraziarlo per aver dato vita al video più sexy di Michael, a mio avviso!
    Vi abbraccio forte, al prossimo capitolo! <3
     
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    Io ho caldo. Molto caldo... Ho avuto i brividi sulla scena dell'"assolo" di Michael :barella:
    Comunque... La situazione è complicata, e come potrebbe non esserlo con uno come lui. Però... Però... Spero che troveranno un modo per essere felici. È tutto nelle tue mani Kalopsia, e stai facendo un lavoro magistrale!
     
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    Eff! Ho avuto caldo anche io a scriverla, quella parte! Ahahahah
    Non so, forse sto facendo procedere le cose troppo velocemente, ma ho tantissime idee che mi frullano per la testa e non vedo l'ora di trasmettervele tutte. Credo che sia inutile indugiare su questa parte, quando ce ne saranno delle altre molto più importanti!
    Come sempre, i tuoi commenti mi danno una carica incredibile e, inevitabilmente, nella mia storia ci sarà un po' di te, scrivi magnificamente e sei un esempio!
    Ti e vi ringrazio con tutto il cuore! <3
     
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    No cara ti ringrazio io per questa bellissima storia che ci stai regalando, sento di nuovo Michael vicino come qualche anno fa leggendola. E questo significa che ce la stai raccontando magnificamente.
    Comunque non ti preoccupare di correre troppo, a parte che non lo fai, ma è proprio questo il bello di avere una storia che ti frulla in testa... Le idee, le scene, le battute e i sentimenti dei personaggi. So bene cosa provi. Vai e non avere paura di mettere tutto per iscritto perché solo così potrai trasportarci dentro il racconto( come stai già facendo eh!) mi fido di te :congra:
     
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    Ha ammesso che gli piace Luo, Luo scappa per non ammettere i suoi sentimenti e che gli piace. Scrivi per sapere se ritornerà per dare una risposta a Michael.
     
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    Capitolo 5

    COLD HANDS, WARM HEART





    Soraya si blocca davanti l’ennesima vetrina di una gioielleria, portando gli occhiali da sole sulla testa e scrutando gli oggetti dietro il vetro. “Che ne dici di quella collana? O quel bracciale lì, non so.”
    La raggiungo, tornando indietro di qualche passo, e do un’occhiata nella speranza che questo sia il negozio giusto. “Hai visto i prezzi? Con quella cifra ci pago quasi un anno all’università.”
    “Hai ragione, scusa, pessima idea. Ma che cazzo si regala ad una persona che ha tutto o che può avere tutto?”
    Eh, bella domanda.

    Riprendiamo a camminare tra la calca di persone che, come noi, sono occupate a fare shopping. Fa caldissimo, siamo in giro da quasi tre ore e credo che mi squaglierò da un momento all’altro.
    Soraya è tornata dalla sua vacanza stamattina e, seppur sapessi che avrebbe preferito disfare le valigie e riposare, ha deciso di
    accompagnarmi a comprare il regalo per il compleanno di Michael. È un angelo, non so come farei senza di lei.

    “Prendiamo un gelato?” propone, quando passiamo accanto ad una gelateria.
    Annuisco.
    Scegliamo i gusti che vogliamo (io rigorosamente vaniglia e nient’altro), pago per entrambe nel tentativo di sdebitarmi almeno un po’ e torniamo sul marciapiede.
    Per ingannare il tempo e soprattutto la rassegnazione che sta per colpirmi senza pietà, mi faccio raccontare di come sia stata alle Bahamas, nonostante sappia che questa sia una lama a doppio taglio. Infatti comincia un racconto che, ne sono certa, non terminerà a breve.

    Lei e Chase hanno fatto tante attività divertenti, tra immersioni e nuotate con i delfini, hanno cenato in ristoranti romantici e si sono rilassati coccolandosi; mi mordo la lingua per tenermi in bocca la battuta che mi stava per scappare. Certo, ti credo.
    Sembra che Chase sia stato fantastico, le ha anche regalato l’anello che Soraya mi ha praticamente sbattuto contro gli occhi appena ci siamo riabbracciate.
    Deve essere un bel periodo per loro, sono affiatati e, sempre più spesso, penso che siano realmente fatti per trascorrere tutta la loro vita insieme.
    Un po’, per quanto sia sinceramente felice per la mia amica, la invidio.

    “Tu invece? Che hai fatto?” mi chiede, dopo avermi messo al corrente di ogni particolare della vacanza, compresa una spiegazione professionale su come cucinino una strana zuppa di pesce.
    “Tutto nella norma” mi limito a rispondere, in un’alzata di spalle.
    “Sicura?”
    “Certo, cosa sarebbe dovuto accadere?”
    Nonostante mi imponga di tenere lo sguardo fisso sui miei piedi, scorgo Soraya lanciarmi un’occhiata indagatrice. Ti prego, non chiedere niente, ti prego.
    “Michael?”
    Sussulto, mentre il mio povero cono precipita a terra sotto i miei occhi sgranati. Merda. Mi abbasso per raccoglierlo e gettarlo nel cestino poco più avanti.
    Credo che, più o meno, sia stata quella la sensazione che ho provato quando mi ha… non riesco nemmeno ad ammetterlo. Comunque, mi sembrava di cadere nel vuoto e alla fine CRACK!, le mie deboli e sottili ossa si sono scontrate contro il suolo, rompendosi in mille pezzi.
    “Bene, quindi è Michael il problema.”
    
“Sor-”
    “Che aspetti a raccontarmi tutto?”
    “È un po’ difficile.” Provo a schivare l’argomento, ma so che non ci riuscirò, non con la mia migliore amica. Forse mi farà bene parlarne con qualcuno, sfogarmi. Oppure no, è meglio se non ci penso più e dimentico tutto.
    “Hai intenzione di parlare o devo cavarti le parole a forza?”
Sospiro, inforcando di nuovo i miei RayBan con le lenti scure, identici a quelli che portava Michael cinque o sei anni fa. Be’, a dir la verità ce li comprammo insieme ed uguali di proposito.
    “Soraya… Allora, l’ultima volta che ci siamo visti-”
    “Quando?”
    “Non lo so, un po’ di tempo fa.” Il senso di colpa mi travolge, come accade ogni notte, quando non riesco a far altro che rimuginare su quello che ci sta capitando. “Dicevo, l’ultima volta che ci siamo visti, l’ho accompagnato a Los Angeles per un servizio fotografico e mi ha presentato Herb Ritts.”

    “Davvero?!” esclama, fissandomi esterrefatta.
    “Già.”

    “Ma è incredibile!”
    
“Sì, lo è, ma c’è un precedente. Dopo il colloquio per l’università sono andata agli studio e abbiamo discusso perché dopo quella sera in cui abbiamo ballato” Un brivido mi percorre la schiena, mentre ricordo quei momenti in cui l’ho sentito così tanto in me. “non mi sono più fatta sentire e lui ha avuto paura che l’avessi dimenticato.”
    “Comprensibile per lui, con tutta la gente schifosa che ha intorno.”
    
“Lo so, infatti mi sono scusata e ci siamo chiariti. Ma dopo, quando ero in collo a lui-”
    “Wow, qui arriva la parte divertente!” Mi dà un pizzicotto sul braccio, riuscendo a strapparmi un sorriso.
    “Stupida! No, niente di quello che pensi, ma ha iniziato a fare dei discorsi strani, sul fatto che stavamo bene insieme e cose così.”
    “E tu?”

    “Io… gli ho dato ragione, perché era vero. E tra noi c’era così tanta… chimica, credo? Insomma, mi sembrava magico. Ma niente, alla fine mi ha regalato un libro di Steve McCurry.”
    “Dovevi-”
    “Non dirlo, so cosa intendi!” la interrompo. Non potrei sopportare di sentire quella parola, quel verbo. No, non è mai successo.
    “Okay, ma continua.”

    Inspiro per farmi coraggio e convincermi che devo, una volta per tutte, sputare la verità, se voglio davvero realizzare quello che è irreparabilmente accaduto, per quanto inverosimile.
    “Dopo il servizio fotografico, siamo andati a Neverland e Michael ha ricominciato con il discorso che stavamo bene, ha detto che era serio e gli ho detto che anche io ero seria, ma non so in che senso. Comunque, a parte questo, lui era strano. Credevo fosse per l’organizzazione del tour, invece no. Fatto sta che lui…”
    Esito.
    Dillo, che c’è di male? Teoricamente niente, praticamente tutto.
    Fisso il marciapiede, imponendo ai miei piedi di non toccare le righe per tenere impegnata la mente. Non so più chi io sia, cosa ci faccia qui, perché proprio a me. Non so più niente, mi sono trasformata in un fascio di insicurezza e paura.
    “Lui?”
    Uno, due, tre. “Lui mi ha baciata, Soraya.”

    Bene, l’ho detto. E, almeno secondo quello che posso percepire, sono ancora viva.
    L’ho ammesso, perfetto, ma adesso? Ora quel bacio, quell’infantile bacio a stampo, mi sembra troppo reale, troppo vivido, troppo intenso, troppo tutto. Potrebbe essere una cura, ma anche il più letale degli antidoti o la più potente delle droghe. Cosa bisogna fare adesso? Cedere o resistere? Qual è la scelta giusta?

    Mi blocco quando, destandomi dai miei infiniti interrogativi, mi accorgo che Soraya ha smesso di camminare da un po’ ed è rimasta indietro, pietrificata, come lo ero io quando le nostre labbra si sono incontrate.
    “Dio, Lou, non so che dirti…” balbetta, dopo essersi risvegliata ed avermi raggiunta.
    “Nemmeno io.”

    “Ho sempre creduto che non avrebbe mai fatto il primo passo e invece…”

    “Cosa devo fare? Cosa cazzo devo fare?” la imploro, piazzandomi di fronte a lei e portandole le mani sulle spalle, scrollandole. Come ho fatto con Michael. “Che cazzo vuol dire? Perché?”
    
“Lou, non fare la bambina, lo sai benissimo. Adesso torna tutto: i regali, le parole carine, i complimenti.”
    
“Cosa stai dicendo, Soraya?” Sono esasperata.
    “Sveglia, ragazza!” I suoi occhi verdi, fissi nei miei, mi stanno terrorizzando. Sorride, mentre io vorrei soltanto sotterrarmi. “Ti sta corteggiando! Gli piaci!”
    Okay, questa non è proprio una novità. Diciamo che qualcosa avevo intuito, ma non volevo e non riuscivo a crederci. E comunque, Michael è sempre estremamente gentile con tutti, perciò non mi sembrava che mi riservasse un trattamento speciale.
    “È quello che mi ha detto anche lui, che… gli piaccio.”

    Mi afferra a braccetto, trascinandomi accanto a lei, mentre riprendiamo a camminare. Improvvisamente, mi pare che tutta la gente sia scomparsa e che sia rimasta soltanto io, con i miei mille dubbi che non mi hanno mai lasciata dormire durante questi giorni.
    “E tu che hai detto?”
    “Soraya, io ho paura, sia perché è la prima volta che devo gestire qualcosa di sentimentale e non so come comportarmi, sia perché si tratta di Michael.”

    “Perché ha quindici anni più di te, è una star e non capisci per quale motivo sia capitato a te, giusto?”
    “Giusto.” Soraya mi conosce quasi quanto mia madre, a volte riusciamo realmente a leggerci nel pensiero.
    “Hai paura, ma ti piace?”
    
“Non lo so, è sempre stato un sogno, qualcosa di irrealizzabile. Capisci cosa intendo? Certo che mi piace, non posso negarlo, ma non è semplice.”
    
“Hai ragione, è una situazione difficile.”
    “Cosa devo fare?”
    Soraya sospira e si mangiucchia un’unghia. “Non lo so, Lou.”

    E poi cedo, perché sono troppi giorni che faccio finta di niente. Ho finto con mia madre, con mio padre. Ho finto quando siamo andati a pranzo dai miei nonni nel fine settimana. Ho finto quando sono andata dalla parrucchiera, affermando che stessi alla grande. Ho finto di stare bene per troppo. Ho solo diciotto anni e mi sembra che la più gigantesca delle onde stia per abbattersi su di me, per trascinarmi prima in mare e poi in una corrente vorticosa dalla quale potrò uscire solo annientata.

    “Soraya, ho paura. Paura di tutto, paura di qualsiasi cosa accadrà. Non ho nemmeno il coraggio di chiamare Michael, riesco solo a scappare. È una cosa più grande di me e non so cosa fare.” La mia voce incrinata viene definitivamente troncata dall’abbraccio in cui la mia amica, la mia migliore amica, la mia spalla su cui piangere e la mia compagna di avventure, mi stringe, così forte da rassicurarmi seriamente.
    “Tesoro, ascolta.” Soraya parla contro i miei capelli, accarezzandomi la schiena. “Purtroppo non so esattamente cosa tu debba fare. Secondo me, dovresti parlarne con lui, è l’unica persona in cui puoi trovare delle risposte. E, a prescindere da quali siano queste risposte, ti prometto che andrà tutto bene, okay? Andrà tutto bene.”
    Slega l’abbraccio e mi lascia un bacio sulla fronte. Per un istante, credo realmente che tutto andrà bene, voglio crederci.
    “Dai, adesso cerchiamo questo regalo!” esclama, facendomi tornare il sorriso.
    “In realtà credo di averlo trovato.” Indico il piccolo negozio di antiquariato alla nostra destra, nella cui vetrina ho scovato una grande cornice dorata, elaborata in numerosi riccioli e lavorazioni floreali. “Ho avuto un’idea.”


    ***




    Il sole sta ormai tramontando, quando finalmente mi lascio cadere sul mio letto, la borsa abbandonata sul tappeto e il grosso regalo di Michael appoggiato al mio armadio.
    Ho deciso che domani, con la scusa del suo compleanno, andrò a Neverland e coglierò l’occasione per chiarire la situazione, anche se non so in che modo. Ma lo farò, per darmi pace.
    Mi alzo per mettere su un po’ di musica, quando sento il campanello suonare. Sarà mia madre che ha finito prima a lavoro, penso, mentre mi precipito giù dalle scale, con il disco ancora in mano.
    Ma quando apro il portone, sento il cuore balzarmi in gola. Il disco mi cade dalle mani, insieme al mio programma per il giorno successivo e la sicurezza che credevo di aver riconquistato.

    “Che ci fai qui?”
    “Non fare domande e lasciami entrare, prima che mi veda qualcuno” taglia corto Michael, mentre, dopo aver raccolto il mio vinile, si intrufola in casa.
    Richiudo la porta, sapendo di lasciar fuori qualsiasi parola prestabilita o discorso composto da frasi con un senso compiuto.
    “Non hai caldo?” chiedo, alludendo alla felpa extralarge nella quale scompare letteralmente e al pesante cappello di lana che gli tocca le sopracciglia. Se non fosse che il suo arrivo improvviso mi ha spiazzata, mi sarei messa a ridere appena dopo averlo visto in quelle condizioni.
    “Sì, adesso tolgo tutto.”

    Il mio stomaco si contorce quando rimuove gli indumenti, lasciandoli sull’appendiabiti, e rimane con una semplice t-shirt bianca, sopra la quale indossa una camicia dello stesso colore lasciata aperta.
    Faccio scorrere gli occhi sul suo corpo, sul petto che posso intravedere dalla stoffa, sulle gambe fasciate nei pantaloni neri, fino ai suoi mocassini. Dopodiché, percorro la mia strada immaginaria a ritroso e, ad aspettarmi, trovo la morte. I suoi occhi a cerbiatto, troppo grandi e magnetici, mi stanno fissando e, in un attimo, catturano anche i miei. In prigione, chiusa in un angolo privo di vie d’uscita. Così mi sento, di fronte alla mia condanna.

    “Ciao” sussurra, mantenendo una certa distanza, le mani nascoste dietro la schiena e il labbro inferiore che viene torturato dai suoi denti bianchissimi.
    “Ciao.”
    Tra di noi cala il silenzio, e anche il mio sguardo precipita sul parquet chiaro. Con lui, non riesco a resistere. Non riesco ad impormi. Non riesco a mostrarmi sicura di me stessa. Non riesco ad essere quella che sono solitamente. Lui mi capovolge completamente.
    “Scusami, sono un disastro, è che sono appena tornata a casa e-” farfuglio, mentre passo le dita tra i capelli, riflettendomi allo specchio che c’è nell’ingresso.
    “Ma cosa dici! Sei bellissima, davvero” mi interrompe, arrossendo forse più di me.
    “Mmm, mettiamoci in salotto invece di stare qui.”

    Gli faccio strada fino al divano, dove si sediamo.
    Lo vedo dare un’occhiata alle foto che sono sparse ovunque. Nonostante sia stato più volte a casa mia ed ormai le conosca tutte a memoria, dice che non riesce a farne a meno, perché trova che sia dolcissimo il fatto che ogni immagine porti con sé un pezzo di storia, di vita.
    Seduto accanto a me, è a disagio. Muove continuamente le gambe, incrociandole per poi rimetterle entrambe a terra un secondo dopo. Mantiene una distanza di sicurezza, non so se lo faccia per sé o per me, ma è certo che nessuno si è mai stretto così tanto contro il bracciolo del divano prima di lui.
    Adesso non mi guarda.
    Socchiude le labbra, come a voler dire qualcosa, ma le richiude subito dopo.
    “Michael” comincio, cercando di riempire il silenzio che sta diventando insopportabile, ma anche a me le parole muoiono in gola. Il suo profumo di vaniglia arriva fino a me, stordendomi. Sto per dire addio al mio controllo.
    “No Lou, ascolta” Inspira, avvicinandosi un po’ a me, benché non crei nessun contatto fisico tra noi. “Non devi scusarti, non devi dire niente. Ho sbagliato, scusami. Sono stato egoista, ho pensato solo a me stesso, senza preoccuparmi della tua reazioni. Non so cosa mi sia preso, scusa, dimentica tutto.”
    Assimilo le sue parole una ad una, tremando impercettibilmente. Porto i piedi scalzi sul divano e abbraccio le gambe, in silenzio, nel vano tentativo di chiudermi in un guscio che sia capace di proteggermi. Ciò che ha detto mi ha finita di distruggere, spazzando via le poche idee logiche che avevo ancora in testa. Adesso il mio cervello è sgombrato di qualsiasi speranza e sta annegando in una misera pozza nera.

    Chiudo gli occhi, per fermare le lacrime, mentre rabbrividisco al solo pensiero della sua risposta. “Quindi… te me sei pentito?” Riapro le palpebre solo quando ho scandito quella domanda. Michael mi fissa stupito, con la fronte corrugata.
    Non dice niente, ed io sento soltanto il fischio del mondo che precipita ad una velocità inarrestabile.
    “Dio, Lou.” Si alza e si inginocchia davanti a me, facendo scivolare giù le mie gambe e facendosi spazio tra di esse, per poi stringere le mie mani freddissime nelle sue. Vorrei soltanto piangere.
    “Michael, dillo, non preoccuparti. Me lo aspettavo. Sono stata una stupida a crederci anche solo un pochino. È che… non lo so…”
    “Fermati, ferma subito la tua testa, la sento macchinare da qui.” Mi sorride. Ma che cazzo sorridi, stronzo?
    “Veloce ed indolore, per favore.”
    
“Cosa devo fare con te?”
    “Oh be’, mi faccio la stessa domanda da quando tu mi hai… lascia perdere.” L’iniziale tono sarcastico della mia replica si perde, scomparendo in un gesto indefinito della mia testa, che si sposta a destra per evitare qualsiasi contatto con l’uomo che ho davanti.
    “Lou, ascoltami” Sempre inginocchiato, porta le mani sul mio volto, facendomi voltare verso di lui. “e guardami.” Ormai schiava delle sue pupille dilatate, mi arrendo. “Non scappiamo questa volta, parliamone. Questa situazione è difficile anche per me, okay? Se già è difficile affrontare queste cose a causa del mio nome, in questo caso è lo è ancora di più perché, anche se cerco di non curarmene, tu hai appena diciotto anni. Sei d’accordo?”
    Annuisco debolmente.
    “Bene, quindi non so come muovermi, come comportarmi.”
    “Nemmeno io.”
    “Okay, su questo ci capiamo. Ci conosciamo da una vita, ti ho vista crescere, e per questo ho provato spesso a considerarti come una sorella, ma non ci riuscivo. Allo stesso tempo, però, è strano anche pensarti come qualcosa di più di una cara amica.”
    “Quindi siamo bloccati in una zona grigia, se vogliamo chiamarla così?”
    “Più o meno. Ma questo non vuol dire che… che me ne sia pentito.” Le sue guance si tingono di rosso e si mordicchia il labbro inferiore per nascondere il sorriso che, me ne sono accorta, gli stava nascendo sul volto. “Mi piaci davvero, darling, solo che non so cosa fare.”

    Lo fisso profondamente, con il cuore che batte all’impazzata. Mi piaci davvero, darling. Quelle parole rimbombano nella mia mente, che piano piano torna a colorarsi. La verità che mi ha confessato mi colpisce con la forza di una piuma e si insinua sotto la mia pelle che viene scossa da un brivido, fino alle ossa che ora sono radici di un albero impossibile da abbattere, fino alle vene per mescolarsi nel mio sangue che è un mare piacevolmente in tempesta.

    “Come siamo arrivati a… questo?” domando, facendo involontariamente cadere gli occhi sulle nostre mani di nuovo intrecciate.
    “Non lo so, non penso sia importante. Quello che conta è dove arriveremo da qui, da stasera. Da questo nuovo inizio, se tu lo vuoi.”
    “Sei troppo bravo con le parole” ribatto, facendolo ridacchiare.
    Un nuovo inizio. Le parole di Michael mi impauriscono ed esaltano allo stesso tempo. Questa potrebbe essere la più dolce delle avventure, ma anche la più dolorosa delle cadute se qualcosa dovesse andare storto. Potrei perderlo definitivamente oppure averlo con una totalità che è sempre esistita solo nelle mie fantasie.
    “Hai le mani ghiacciate” constata, mentre mi accarezza la parte superiore di una mano con il suo pollice.
    “Ho sempre le mani fredde.”
    “Mani fredde, cuore caldo.”
    “Così si dice, a quanto pare.”
    “Lou, devi credermi, non sto scherzando. Non mi sarei mai… esposto in quel modo se non fossi sicuro di quello che voglio… che vorrei.”

    Questo vuol dire che vuole me? Una diciottenne con la pelle troppo pallida?
    Vorrei non credergli, ma più fisso i suoi occhi scuri, più le sue parole mi trafiggono con maggiore consapevolezza. Gli occhi non mentono. Ed i suoi sono intrisi di una sincerità che non ho mai riscontrato in nessun altro.
    Ma ne vale davvero la pena? Rischiare di perdere tutto per lui? Per… noi?
    Una morsa mi stringe lo stomaco ed inevitabilmente sorrido, mentre la mia mente è divisa tra due fuochi, pronti entrambi a bruciarmi, seppur in maniera diversa.
    Bruciare di desiderio, di passione e forse d’amore? Oppure di rinuncia e razionalità, evitando di gettarmi nel vuoto?
    Non lo so, non credo di avere una risposta in questo momento.

    “Come faremo?” chiedo, cercando in un lui una sicurezza, che tuttavia non può avere, ne sono consapevole.
    “Non lo so.”
    “Non andremo da nessuna parte.”
    “Siamo già qui, darling.”
    Il cuore sta per balzarmi fuori dal petto. Forse, per una volta, dovrei seguire lui, dimenticando gli schemi ed i programmi sui quali ho sempre costruito la mia vita.

    Mentre Michael non smette di guardarmi neppure per un secondo, capisco che la necessità di averlo è estremamente più intensa della paura di perderlo. C’è la possibilità che soffra, e tanto, ma questa è anche una rassicurazione, poiché significherebbe aver dato innanzitutto una possibilità a noi.
    Non so se sia amore, ma sono certa che quest’uomo è sempre stato l’apice dei miei desideri, la creature più amorevole che abbia mai incontrato, l’essere umano protagonista della nella vita che immagino per il mio futuro.
    E non importa come andranno le cose, io voglio provarci.

    Con lentezza e con un po’ di incoscienza da ragazza, mi abbasso verso di lui, mentre tutti i ricordi che abbiamo insieme mi attraversano la mente.
    A qualche centimetro dal suo volto, lo sento trattenere il respiro qualche secondo, per poi buttar fuori l’aria adagio, solleticandomi la pelle.
    Fa scorrere lo sguardo su ogni dettaglio del mio volto, costringendomi a placare l’imbarazzo che mi assale. Sorride, ed io faccio altrettanto.
    “Mi piace quando mi chiami darling” sussurro contro le sue labbra socchiuse.
    “Darling.” Sorrido di nuovo.
    I nostri respiri che si mescolano sono una melodia armoniosa che mi culla dolcemente. Strofino leggermente il naso contro il suo, mentre avverto una sua mano insinuarsi tra i miei capelli.
    “Ho paura, Michael.”
    “Andrà tutto bene.” Gli credo, come ho creduto a Soraya. “Ma, ti prego, non farmi aspettare ancora” conclude, scostandomi un ciuffo biondissimo dal viso.
    Mi inumidisco le labbra, con la testa che mi gira vertiginosamente quando la inclino leggermente. Sto per firmare la mia condanna, la mia dipendenza, la mia cura, ogni cosa che possa esistere su questo pianeta. Ma, al massimo, voglio vivere di rimpianti e non di rimorsi. E adesso desidero semplicemente baciarlo. Al resto, ci penserò più tardi.
    Sto per unire le nostre labbra, quando il rumore delle chiavi che armeggiano nella serratura e del portone che si apre ci fa sobbalzare.

    “Tesoro, siamo arrivati!” esclama mia madre. Ci alziamo contemporaneamente, balziamo letteralmente in piedi appena prima che i miei genitori entrino in salotto.
    “Oh, ciao Michael!” esordisce mio padre, ignorando, almeno apparentemente, il suo evidente imbarazzo. Michael ricambia il saluto, mentre io sistemo i cuscini del divano provando a nascondere il mio disagio.
    “Michael era passato per… salutarci” balbetto, lanciandogli un’occhiata complice.
    “Esatto, passavo di qui e ho pensato di fare un salto da voi” continua lui, afferrando il mio segnale e reggendomi il gioco.
    “Oh, ma sei gentilissimo” squittisce mia madre, schioccandogli un bacio sulla guancia. “Perché non rimani a cena?”
    
“Non importa, ma grazie comunque.”
    
“Dai, non farmi insistere. Così festeggiamo il tuo compleanno, giusto Lou?” Mi volto impacciatamente verso mia madre, che sta già togliendo il centrotavola per apparecchiare, e non riesco a decifrare l’occhiata che mi rivolge, i suoi occhi che prima indagano sul mio volto e poi si spostano su Michael, ormai occupato a discutere dell’album con mio padre.
    “Sì, perfetto."


    ***




    L’imbarazzo si è sciolto appena ci siamo seduti a tavola e abbiamo cominciato a chiacchierare.
    Michael è seduto di fronte a me e sta ridendo per una squallida battuta che ha fatto mio padre. La sua risata mi fa contorcere ogni organo del corpo per il piacere.
    Sono finalmente riuscita a rilassare i nervi. Credo che non si siano accorti di niente e la strana reazioni di mia madre potrebbe essere stata semplicemente casuale, oppure qualcosa che ho immaginato solo io o che ho frainteso.

    Quando mia madre si alza per togliere i piatti ormai vuoti, faccio lo stesso per aiutarla. Appena ci ritroviamo in cucina, però, quella sensazioni di essere sotto esame ritorna. Cerco di ignorarla, mentre appoggio il vassoio dove prima c’era l’arrosto nel lavello.
    “Tutto bene?” mi chiede, cogliendomi di sorpresa. Mi blocco, ancora davanti al lavello.
    “Sì, perché?”
    “Sei strana ultimamente. Devi dirmi qualcosa?”
    “No, è tutto come sempre” mento, tentando di sfuggirle mentre mi sposto verso il salotto.
    “Okay. Puoi prendere la torta gelato che c’è nel freezer?”
    Annuisco e faccio quanto mi ha detto, gettando la scatola di cartone nella quale si trovava il dolce e posizionandoci le candeline che ho trovato per caso in un cassetto. Le accendo, per poi dirigermi nuovamente nella stanza adiacente, ma vengo nuovamente fermata dalla voce di mia madre.
    “Non sei obbligata a raccontarmi ogni dettaglio della tua vita, ma io ci sono per qualsiasi cosa, lo sai.”
    “Lo so, grazie mamma” replico, prima che mi passi davanti e spenga le luci del salotto, per poi incitarmi ad entrare.

    Poggio la torta di fronte a Michael, che si paralizza per la sorpresa, mentre mia madre intona un “Tanti auguri a te” che lo fa imbarazzare più di quanto non sia già, e lo comprendo.
    Michael farfuglia qualcosa che mi giunge come un ringraziamento, con le mani che gli coprono il volto ma non il sorriso che ci ha stampato sopra. Mi siedo al mio posto, sorridendogli di rimando.
    “Dai, spegnile!” esclama mio padre, lasciandogli una pacca sulla schiena.
    Michael soffia sulle candeline e noi applaudiamo.

    L’aria di festa non mi impedisce di non rimuginare sulle parole di mia madre, che ha riacceso le luci e adesso taglia la torta, servendo ad ognuno la sua porzione. Penso che, per adesso, sia presto parlarle di Michael, poiché non saprei cosa dire dal momento che non c’è una situazione definita tra di noi. Ma, al momento opportuno, lo farò.
    Ha sempre saputo che io avessi una cotta, se vogliamo chiamarla così, per lui, ma le cose stanno prendendo una piega molto più seria, credo.
    Ho bisogno di mettere la faccenda in chiaro prima con me, poi con Michael e, soltanto a quel punto, potrò parlarne.

    “Grazie davvero, non me lo aspettavo” ripete Michael, mentre porta un pezzo di torta alla bocca.
    Mio padre ha recuperato una bottiglia di liquore. “Vuoi?” chiede a Michael.
    “Non farlo” lo avverto, sghignazzando sotto il suo sguardo confuso. “È una brodaglia super alcolica e disgustosa che fa con le sue mani.”
    “Non darle retta, Michael” replica subito mio padre, versandone una dose generosa in un bicchiere che porge a Michael.
    Lui lo porta alle labbra ed esita un attimo, annusando il liquido.
    “Sei sempre in tempo a salvarti” insisto, terminando la mia fetta di torta e raccogliendo la salsa ai frutti di bosco con il dito.
    “Lou!” mi richiama mia madre.
    “Lou, non influenzarlo” mi ammonisce contemporaneamente mio padre.
    Michael agita il liquore, per poi prenderne un piccolo sorso. Corruga la fronte e, quando un’espressione di disgusto gli si dipinge sulla faccia, scoppio a ridere. Lui strizza gli occhi e posa il bicchiere, sostituendolo immediatamente con quello dell’acqua.
    “Dio, Bruce, ma cosa c’è dentro?” domanda, pulendosi le labbra con il tovagliolo.
    “Alcol puro” rispondo, tra le risate.
    “Ah, voi giovani siete proprio schizzinosi” borbotta mio padre, bevendo la sua dose. “Non reggete niente.”
    Michael ride, scuotendo la testa e guardandomi divertito.

    Sembra sinceramente felice. Non ha festeggiato molti compleanni nella sua vita, perché la sua religione, o quella che era la sua religione, non lo permette. Cresciuto come testimone di Geova, non ha mai festeggiato nemmeno il Natale. La separazione definitiva con la comunità è avvenuta ormai quasi cinque anni fa, dopo alcune controversie che essa aveva riscontrato sia in Thriller sia nelle sue coreografie di danza considerate eccessivamente “spinte”, soprattutto quando Michael si tocca il cavallo dei pantaloni. All’epoca, non capivo tanto di questo argomento, ma adesso, riflettendoci, credo che il suo allontanamento sia stato, in un certo senso, anche positivo. Certo, lui ci è stato malissimo, specialmente per la delusione che aveva provocato a sua madre. Tuttavia, non ritengo che gli abbia giovato crescere in quell’ambiente: se già non ha avuto un’infanzia perché doveva lavorare in continuazione, la religione gli ha sottratto ancor più esperienze fondamentali per un bambino.
    Perciò vederlo contento in questo momento mi alleggerisce ancora di più il cuore, suscitandomi una gioia immensa. Vorrei che ogni giorno fosse così per lui, senza problemi o affari incommensurabili da sbrogliare.
    Vorrei che fosse sempre felice, o almeno sereno.
    “Andiamo un attimo in camera mia” annuncio, guardando Michael e alzandomi. “C’è il mio regalo che ti aspetta.”

    Mi segue silenziosamente per le scale, fino alla mia stanza. Gli chiedo di chiudere la porta. Poi si siede accanto a me sul mio letto.
    “Ho la gola in fiamme” si lamenta.
    “Io ti avevo avvisato.”
    Si guarda intorno, soffermandosi sul comodino, dove si trova una nostra foto in cui io avrò avuto al massimo sei anni e lui aveva sempre i capelli afro.
    “Mi ricordo quel giorno” dice a bassa voce.
    “Sì?”
    
“Sì, avevamo iniziato a lavorare su Off The Wall da appena qualche giorno. Sono quasi sicuro al cento percento che sia stata la tua prima volta in studio.”
    “La prima di tante altre!”
    “Già.”
    
“Comunque quello è il tuo regalo” cambio discorso, indicando il grosso pacco appoggiato all’armadio. Sono impaziente di sapere cosa ne pensi. “E buon compleanno. Tranquillo, ormai è mezzanotte e non porta sfortuna.”
    Michael ci si avvicina e lo esamina. “Ma posso aprirlo?”
    “Certo, devi aprirlo!”
    “Okay!”
    Emozionato come potrebbe essere solo un bambino, rompe il fiocco con i denti e strappa la carta colorata, appallottolandola e abbandonandola a terra.
    “Fai piano perché è delicato.”
    Sempre più fremente, toglie altri fogli di carta e infine un foglio di pluriball.
    Si immobilizza di fronte al suo regalo, dandomi le spalle e impedendomi di conseguenza di scorgere una qualsiasi reazione. Lo vedo, però, accarezzare le decorazioni della cornice, come in estasi.
    “Michael? Allora? Ti piace?”
    Lui si abbassa all’altezza del centro della foto che è protetta dal vetro: sulla destra c’è Michael, le braccia spalancate e la testa rivolta verso il cielo, dietro di lui invece una fila di bambini nella medesima posizione, ad eccezione di una bambina che si rifiutava di unirsi al gruppo e che, perciò, si trova nell’angolo destro, davanti a Michael.
    “Lou, io…” Continua a passare delicatamente le dita su ogni soggetto. “Io non ho parole.” dice finalmente, per poi tornare da me e, abbassatosi sul mio corpo, abbracciarmi. “Deve essere la foto supermegapazzesca, vero?”
    Annuisco con la testa contro l’incavo del suo collo, mentre lui mi carezza la schiena. “Peter Pan e i suoi Bambini Sperduti” spiego, affogando le parole contro la sua pelle.
    Scioglie l’abbraccio e si siede nuovamente accanto a me. “Non riesco seriamente a trovare le parole… Quella foto è pura poesia.”
    “Esagerato!” ribatto, dandogli una piccola spinta.

    “Viste le dimensioni, mi servirà un’intera parete per appenderla!”
    Mi sono dannata per avere il regalo pronto entro la serata, visto che avrei voluto darglielo l’indomani. Se sono bastati due minuti per pagare la cornice, è servita circa un’ora per trasportarla alla macchina di Soraya e soprattutto per farcela entrare. Dopodiché siamo andate al negozio di fotografia per far sviluppare la foto, ma per quelle dimensioni sarebbero stati necessari almeno cinque giorni, quindi ho dovuto supplicare allo stremo quello scorbutico signore affinché me la stampasse sul momento.
    Fortunatamente, ci sono riuscita.
    “Sono felice che ti piaccia.”
“La adoro, grazie mille.” Posa una mano sulla mia guancia, ed inevitabilmente il mio cuore comincia a battere a mille. “Anche per la serata, è stato il miglior compleanno che abbia mai avuto, anche se non ne ho festeggiati tanti.”
    Mi abbraccia di nuovo, il mio corpo esile sembra scomparire nel suo che, seppur magro, è muscoloso e protettivo.
    Voglio rimanere qui per sempre.
    “Darling, posso… Dio, è imbarazzante” bisbiglia dietro la mia spalla, ridacchiando. Porta le sue labbra al mio orecchio. Il suo fiato contro di me, affinché riesca a sopportarlo, mi obbliga a chiudere gli occhi, prima fissi su quella nostra vecchia foto, così innocente da non far nemmeno presupporre la situazione in cui ci troviamo adesso. “Posso baciarti?”




    Eccomi di nuovo qui!
    Spero non ci siano errori, perché, vista l'ora, non sono nel massimo della reattività e mi si stanno chiudendo gli occhi!
    Per quanto riguarda la foto di Lou, mi riferisco a questa:
    https://www.google.it/search?q=michael+jac...=dNDEUXmwnKtUmM:
    Vi abbraccio forte!
     
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    Aaaaaaaaaahhhhh continuaaaaa certo che puoi baciarla DEVI! Testa di mela che non sei altro :love: :love: :love:

    Oh, quella foto è stupenda... Tutto il servizio lo è, e lui sembra così felice.
    Fantastico capitolo, fantastica tu Kalopsia io ormai sono dipendente dalla tua FF!
     
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    Eff, è sempre un immenso piacere leggere i tuoi commenti, realmente! :love:
    Sono felice che la storia ti stia appassionando, sto lavorando sul prossimo capitolo, perciò a presto!
     
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    Peccato si stavano baciando sul più bello sono arrivati i suoi genitori. Scrivi il prossimo capitolo forse è la volta buona si baceranno Effulgent non è la sola ad essere dipendente dalla tua storia
     
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    Mi rende tanto soddisfatta sapere che la storia vi stia piacendo, grazie tantissimo!
     
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    Capitolo 6

    THE WEIRDEST LOVE STORIES ARE THE BEST





    Elizabeth scende dal suo elicottero, appena atterrato a Neverland.
    “Eccomi, tesoro!” mi saluta. L’accolgo in un abbraccio.

    Qualche giorno fa mi ha chiesto di poter venire al ranch perché aveva una sorpresa per me e perché voleva parlarmi. Ovviamente, per lei, mi sono liberato di qualsiasi impegno.
    Elizabeth è una delle persone più importanti della mia vita. Penso che possa considerarla la mia migliore amica, o più precisamente una confidente sempre pronta ad ascoltarmi. Inoltre il nostro passato, molto simile, ci ha permesso di legare ancora di più, perché entrambi siamo in grado di comprendere il dolore e le preoccupazioni dell’altro. Le racconto tutto di me, dalle cose più stupide a quelle più serie. Lei c’è sempre, basta che la chiami ed arriva. E lo stesso vale per me.

    La squadro di sfuggita. Indossa degli strani abiti, sembra travestita da gipsy, ma non faccio domande. Be’, non è una novità vederla in abiti poco usuali, in fondo non c’è niente di anormale.
    Perciò ci limitiamo a spostarci, con una golf cart, alla residenza.
    “Come stai, Mike?”
    
“Tutto bene, Liz, tu?”
    
“Anche io. Ho una sorpresa per te” afferma, mentre fa cenno a qualcuno che io non conosco di avvicinarsi. Ci sono anche alcune telecamere. “Tanti auguri!” Mi schiocca un bacio sulla guancia.
    Improvvisamente, sgrano gli occhi. “Liz, cosa…” Non riesco a concludere la frase.
    Un grande, gigantesco, elefante sta camminando davanti a noi, guidato da due uomini affinché rimanga sul vialetto ornato dai fiori. Rimango a bocca aperta, quando lo conducono fino a noi, facendolo fermare.
    “Sorpresa!” esclama Liz, accarezzando l’animale.
    “Wow, è bellissimo!” Lo guardo timoroso, dal basso. “Grazie mille Liz, è stupendo!”
    
“Dai, diamogli qualcosa da mangiare” continua, prendendo un cesto di banane e poggiandolo nella bocca dell’elefante, quando la apre. “Prova!”
    Gli accarezzo la proboscide, allontanandomi subito dopo. Poi prendo un pezzo di pane ed imito la mia amica, che applaude entusiasta, i numerosi bracciali ai suoi polsi che tintinnano.
    Amo gli elefanti, sono realmente dei giganti buoni, e questo è indubbiamente uno dei migliori regali che abbia mai ricevuto.
    “Dobbiamo trovargli un nome” mi dice, con la sua voce squillante.
    Io ci rifletto un po’, fino a quando non ripenso al suo abbigliamento. “Che ne dici di Gipsy?”
    
“Mi piace!”
    “Grazie tantissimo, Liz. Anche io ho un regalo per te, andiamo dentro.”

    Ci incamminiamo verso la casa e, una volta dentro, la conduco nella stanza dove si trova la mia sorpresa. Dopo aver spalancato la porta, Elizabeth resta incredula.
    “Oh mio Dio, è straordinario! Lo adoro!” esordisce meravigliata, abbracciandomi di nuovo. “Oh… grazie! Con cosa è fatto? Un tappeto?”
    “Sembra un dipinto, ma in realtà è un arazzo, fatto tutto a mano, pezzo per pezzo” le spiego, mentre lei fissa il suo ritratto riprodotto con la stoffa. “Ho scritto qualcosa in fondo.
    Liz si avvicina a quella monumentale opera d’arte e si abbassa per leggere la mia dedica. “Elizabeth… Ti voglio bene… Michael.”
    Mi bacia sulla guancia, mentre io sorrido imbarazzato, stringendomi nelle spalle. “Hai un posto per questo? Forse è un po’…”

    “Ora, probabilmente, dovrò costruire una casa!” Ridiamo, con le telecamere che ci girano intorno. “Lo trovo favoloso, Mike!”
    “Ho visto la pubblicità che hai fatto, è bellissima!”
    “Ti è piaciuta?”
    “Oh sì, è incredibile!”

    “Be’, allora vedrai uno dei miei film in questi giorni!” mi prende in giro, facendomi ridere di nuovo.
    “Sapevo che l’avresti detto.” Mi copro il viso con una mano, trattenendo le risate. “Sto vedendo ‘Virginia Woolf’ in questo weekend.”
“Congratulazioni!”
    “Penso di vederlo oggi, in realtà.”
    Liz sghignazza, poi si volta verso la telecamera, con me. “Dobbiamo spiegarvi la battuta” comincia. “L’ultimo film che Michael ha visto in cui c’ero io, e mi ha trovata davvero meravigliosa, è stato ‘Le bianche scogliere di Dover. E io avevo… 9 anni.” Rido imbarazzato, distogliendo lo sguardo dalla cinepresa e masticando la gomma alla fragola che ho in bocca. “Quindi mi vedrai un po’ più grande!”
Annuisco, morendomi il labbro, mentre lei torna ad ammirare l’arazzo.
    Il mio regalo non è stato grande quanto Gipsy, ma credo che le sia piaciuto tanto quanto a me è piaciuto il suo.
    “Andiamo a fare due chiacchiere in salotto?” propone.
    Il momento che più temevo è arrivato.

    “Allora? Che mi racconti?” Inizia a mangiare la sua macedonia, mentre io prendo un sorso della mia aranciata.
    Le pesanti tende delle finestre sono sigillate, per impedire al sole di entrare nella stanza e riscaldarla, mentre noi ci crogioliamo con l’aria fresca del condizionatore.
    Elizabeth siede composta su una poltrona damascata, io su quella di fronte.
    “Mah, niente di che…”

    “È nuova quella foto che hai nel corridoio? Quella con i bambini…”
    Il mio cuore si stringe ripensando al regalo di Lou. L’ho posizionato nel corridoio dell’ingresso, così che tutti potessero ammirarlo appena entrati.
    “Sì, è il regalo di Lou per il mio compleanno, l’ha scattata lei” replico, cercando di mantenere un tono neutro per nascondere le mie reali emozioni: felicità, eccitazione, vitalità alle stelle.
    “Oh, allora quest’anno è suo il primato del regalo più bello.” Ridacchio, con le guance arrossate. “Va tutto bene con lei?”
    
In un primo momento, penso che sia meglio continuare ad avere un atteggiamento indifferente, tenendo solo per noi due quello che abbiamo vissuto. Poi, però, capisco che non riuscirei a nascondere a Liz una cosa del genere.
    “Liz, devo dirti una cosa.”
    
“L’avevo capito.”
    
“Su Lou.”
    
“Avevo capito anche questo.”

    
Bene, da dove dovrei partire? Dai suoi capelli biondissimi o dai suoi occhi color ghiaccio? Dal suo profumo di borotalco o dalla sua pelle quasi trasparente da quanto è chiara? Forse dovrei iniziare spiegandole come mi fa sentire. Dovrei dirle che, al solo vederla, avverto la mia mascolinità sforare qualsiasi limite. Quando la accarezzo, i brividi che le scaturisco non fanno altro che farmi rabbrividire a mia volta. Quando l’abbraccio, il mio unico scopo è quello di proteggere il suo corpo esile, creando una corazza che lo difenda da ogni male. E quando ho delicatamente premuto le mie labbra contro le sue, mi è sembrato che ogni sensazione lottasse dentro di me per prevalere sulle altre, ma nessuna di esse vi è riuscita. Ogni emozione era al suo massimo livello, così che mi sono sciolto in un mix contrastante di beatitudine, paura, desiderio, gioia, ansia, ardore.
    Dovrei dirle che mi sembra di essere tornato un adolescente incapace di contenere l’eccitazione, che si è dovuto chiudere nel proprio camerino per sfogare la brama di piacere, che non è riuscito a resistere alle labbra morbide di una ragazza, che ha completamente perso la testa per questa, incurante delle conseguenze.
    Dovrei confidarle che però quando la notte mi trovo a letto, intrappolato nella mia solitudine, ho paura, la stessa paura che lei ha ammesso di avere. Ho paura di aver fatto un passo più lungo di quanto avessi potuto effettivamente permettermi, di aver messo a repentaglio il nostro rapporto più del dovuto, di trascinarla in un mondo di cui si stancherà ancor prima che io abbia assaggiato ogni sua sfaccettatura o accarezzato ogni sua curva.
    Ma Dio, la voglia di lei è tanto travolgente da togliermi il respiro.

    “Allora… in poche parole, l’ho baciata” dico tutto d’un fiato.
    Non che sia stato un vero e proprio bacio. Un semplice bacio a stampo, che mi ha lasciato addosso un tremendo desiderio di baciarla ancora e ancora. Già, perché per ben due volte non sono stato accontentato, a causa delle interruzioni dei genitori di Lou. Anche quando eravamo nella sua camera e si era creata un’atmosfera perfetta per assaporare davvero le sue labbra, suo padre mi ha richiamato al piano di sotto per spiegarmi una ricetta di un altro suo liquore.
    Se adesso fosse qui, credo che la divorerei letteralmente.
    “Michael…”
    “Liz, lo so cosa stai per dirmi.”

    “Pensaci bene. Non che voglia scoraggiarti, ma questa faccenda potrebbe portarti e soprattutto portarle solo guai.”
    “Lo so, lo so, me lo ripeto continuamente. Ma non puoi capire, ho… completamente perso la testa, non capisco più niente.”
    Se prima era Lou quella pazza di me (cosa che era più che evidente), adesso credo di essere io quello a non saper gestire la mia incontrollabile voglia di averla intorno, accarezzarla, baciarla. Non che lei non provi lo stesso: per quanto cerchi di tenere la situazione sotto controllo, i suoi occhi si liquefanno quando mi guarda, ed io lo noto. Ma ho sempre intuito che sarebbe stata lei a cedere per prima, invece i fatti hanno dimostrato il contrario.
    Liz scuote la testa. “Mike, non sei più un ragazzino, non puoi gettarti nelle braccia di una diciottenne in questo modo” mi rimprovera, riportandomi momentaneamente con i piedi per terra. “Pensa a quello che poi potrebbe raccontare in giro, ai giornali, è giovane.”

    “Lou non farebbe mai una cosa del genere” ribatto, infastidito.
    “Ora no, ma domani? Che ne sai di quello che potrebbe accadere? Avrebbe ogni valido strumento per vendicarsi.”
    Nonostante sappia benissimo che Elizabeth ha ragione, non riesco a dipingere Lou come un’approfittatrice qualsiasi. “No, non lo farebbe mai.” Fisso un punto indefinito del tappeto, sospirando. “Liz, io non posso dire di… amarla, okay? Ma è qualcosa di molto molto forte” concludo, determinato, rivolgendo alla mia amica un’occhiata decisa.
    Lei sospira a sua volta e mi guarda con la fronte corrugata e un pizzico di compassione. Devo essere messo proprio male. “Sei sicuro?”
“Sì, al cento percento.”
    
“Allora provaci, ma fai un passo alla volta. E stai attento, molto molto attento.” Torno a sorridere, finendo la mia aranciata. C’è un momento di silenzio, poi Liz riprende a parlare. “In fondo, è una brava ragazza.”
    Grazie Liz, grazie!


    ***




    “Michael!” La voce acuta di Lou mi desta dalla melodia che stavo provando al pianoforte. Sorrido involontariamente, mentre tolgo le dita dai tasti bianchi e neri.
    “Sono di qua!” grido, scrivendo qualche appunto su un pezzo di carta.
    Con la coda dell’occhio, la vedo sbucare nella stanza, raggiante. “Ehi, scusa se ti ho interrotto.”
    “Tranquilla, ho quasi fatto.”

    “Posso?” domanda timidamente, indicando lo spazio libero del panchetto.
    “Non devi nemmeno chiederlo.” Mi sposto più a sinistra, per farla stare più comoda.
    Un brivido mi percorre la schiena quando la sua coscia, lasciata scoperta dagli shorts, si incolla alla mia. Non so come mi debba comportare adesso, ma vorrei tanto poterla finalmente baciare.
    “Su cosa stai lavorando?”
    
“Oh, niente di concreto per ora, solo uno scarabocchio.”
    “Poi me lo farai ascoltare quando l’avrai finito?”
    
“Naturalmente!”
    “Ho sempre voluto imparare a suonare il pianoforte” afferma, accarezzando i tassi dello strumento.
    Mi balena un’idea nella testa “Be’, allora cominciamo.”
    “Cosa?” Mi fissa sorpresa.
    “Dai, andiamo!” Lou si volta elettrizzata verso il pianoforte e vi appoggia esitante le mani. “Dunque, le dita vanno messe così” spiego, correggendo la loro posizione, mentre quel contatto mi accelera i battiti del cuore. “E adesso alterna questi tasti.”
    Il suono di quelle poche note basta per farle spuntare un sorriso a trentadue denti.
    “Che canzone è?”

    Ignoro la sua domanda. “Ora concentrati solo sull’altra mano, però aspetta, è sbagliato così.” Mi allungo in una scomoda posizione per sistemarle la mano sui tasti bianchi. “È difficile così…”
    “Aspetta, spostati più indietro col panchetto” mi ordina, alzandosi. Faccio quanto mi ha detto e poi lei si accomoda sulle mie gambe. Sono costretto a chiudere per un attimo gli occhi, deglutendo pesantemente. “Va meglio?”

    “Credo di sì, sì…”
    “Dove eravamo rimasti?”
    Con molta fatica a concentrarmi, a differenza di lei che sta mettendo il massimo impegno in quella lezione improvvisata, le spiego qualche altra nozione base.
    La melodia, seppur priva di accompagnamento e imperfetta, comincia a prendere forma e quando Lou la riconosce, si volta improvvisamente verso di me. C’è giusto qualche centimetro a dividere le nostre labbra, che urlano di desiderio.
    “Ma è Ben!” esclama radiosa contro il mio volto, il profumo di menta del suo fiato si posa delicatamente sulla mia pelle. Da piccola, adorava quando le cantavo questa canzone. I used to say I and me, now it's us, now it's we, il testo mi balena in testa.
    “Esatto. Visto che sei già brava?”
    Sorride soddisfatta, ed io faccio lo stesso.

    Ma lo sguardo entusiasta, piano piano, svanisce e viene sostituito da un’espressione seria. I suoi occhi celesti guizzano sulla mia bocca, per poi tornare alle mie pupille, diventate denso inchiostro nero pronto a lasciare la propria traccia sulla sua pelle delicata. Osservo ogni dettaglio, il piccolo neo vicino al naso all’insù, la cicatrice poco profonda che è visibile sulla sua fronte quando non indossa il fondotinta, l’arco di cupido accentuato.
    Lei arrossisce e si morde il labbro, imbarazzata, facendomi eccitare più del dovuto. Poggia una sottile mano sulla stoffa della mia camicia viola all’altezza del petto, ruotando anche il busto verso di me.
    “Hai il cuore a mille” mi informa, in un sussurro. Colpa tua, darling.

    Socchiudo le labbra per replicare qualcosa che però la mia mente non riesce ad elaborare abbastanza velocemente, per fortuna, perché lei sia avventa su quei lembi di pelle che scottano, spiazzandomi ed impedendomi ogni risposta.
    Serro gli occhi, e l’avverto ovunque.
    Mi bacia timidamente all’inizio, come se le mie labbra fossero fuoco e lei dovesse abituarsi, poi succhia con più decisione, con la sua mano ancora all’altezza del mio cuore. Le porto una mano dietro la schiena, spingendola verso di me in modo da ostacolare ogni possibile tentativo di allontanamento.
    Sto impazzendo, non capisco più niente. Mi sembra di baciare una ragazza per la prima volta, mentre le emozioni, ogni genere di emozione, mi si rimescolano nella pancia.
    Lou trema impercettibilmente ed io la stringo ancora di più, prima che abbandoni la mia bocca. I suoi enormi occhi azzurri, resi ancora più profondi dalla spessa linea di eye-liner che percorre sia le palpebre superiori che quelle inferiori, si riaprono lentamente e mi fissano. Mi uccidono e mi restituiscono vita allo stesso tempo.
    Respira velocemente, il suo petto si alza e si abbassa ritmicamente, come il mio. E passo attimi interminabili nell’azzurro del suo mare in tempesta, di cui oggi posso avvertire anche l’odore di salmastro, di libertà.

    “Sei bella” sussurro, quando il silenzio si è fatto troppo pesante. Lei,a quel punto, distoglie lo sguardo per la vergogna, arrossendo, ma torna a guardarmi subito dopo. “Mettiti così, rivolta verso di me” le ordino, facendola sedere a cavalcioni su di me.
    I suoi glutei sodi si incollano alle mie cosce, mentre le sue gambe si lasciano cadere ai lati del mio bacino. Devo ricorrere a tutto l’autocontrollo che gli uomini spesso non hanno per obbligarmi a non strapparle quel semplice, troppo trasparente ed inutile top bianco che le lascia scoperto uno scampolo di ventre.
    Ho perso la testa.

    Porto una mano alla sua nuca e la riconduco contro le mie labbra, dalle quali fugge un sospiro di piacere che la fa rabbrividire. Dopodiché riprendo a baciarla, stavolta con foga, impaziente di avere di più. La mia lingua implora un accesso alla sua bocca, che lei mi concede dopo qualche secondo di tentennamento.
    Un passo alla volta, mi ripeto come un mantra nella mia testa.
    Ma poi le nostre lingue si toccano trepidamente per la prima volta e il mio senno spira via da ogni cellula del mio corpo.
    Se apparentemente Lou è ghiaccio, con quegli occhi che ti sferzano spietatamente e quella pelle che ti trasmette freddo al solo sfiorarla, al suo interno c’è una calorosa stufa pronta e sciogliere il senso di freddezza che la sua figura emette al primo approccio.
    Comincio ad accarezzare con più pressione la sua lingua, mentre le sue braccia si legano dietro la mia testa. Ben presto, le nostre lingue prendono a danzare in un vortice che mi sta risucchiando l’anima, per riversarla completamente nel corpo magro che stringo a me, con forza sempre maggiore, terrorizzato che possa scivolare via dalla mia presa all’improvviso.
    Mi spingo di più contro la sua bocca, facendola indietreggiare con la schiena, così che mi ritrovo piegato contro il suo ventre.

    “Cazzo!” esclama ad un tratto, sobbalzando ed interrompendo senza preavviso il bacio, quando la sua colonna vertebrale si scontra con i tasti del pianoforte, emettendo un insieme scomposto e insensato di note. Il suo spavento inaspettato si scioglie subito in una risata poco calcata, che mi coinvolge. Appoggia la fronte al mio sterno, mentre continua a ridere, ed io l’abbraccio goffamente.
    “Scusa, non me lo aspettavo” si giustifica, mentre risolleva la testa e prova a guardarmi seria, sigillando le labbra per non sghignazzare, ma scoppiamo inevitabilmente di nuovo a ridere.
    “Nemmeno io” rispondo, con il tono di voce basso che allude ad altro. “Voglio che ogni giorno sia così, darling.”
    Adesso no, non ride più ed i suoi occhi tornano ad essere poli d’attrazione che stillano ardore, mischiato a terrore.

    Riporta una mano dietro la mia nuca, tuffandola tra i miei ricci. “Tutto questo è una pazzia…” sussurra. “Abbiamo due vite completamente diverse, io sono solo una ragazza di diciotto anni e tu la più grande popstar di tutto il pianeta. Come credi di farla funzionare?” mi chiede, sempre bisbigliando, come se quella constatazione ci avrebbe colpiti troppo violentemente nel caso in cui fosse stata pronunciata con un tono più alto. “È un vicolo cieco” conclude, poggiando la guancia sul mio petto. Si avvinghia al mio corpo, mentre io le accarezzo lentamente la schiena, cullandola, come facevo quando era piccola.
    “La mia vicina di casa a Gary era cieca” inizio a raccontarle. La sento abbandonarsi contro di me, come se avesse esaurito ogni energia. “Era una maestra alla suola elementare. Un giorno, mentre andava in bicicletta, è caduta da una rupe. Tutte le persone che erano sul posto la prendevano in giro, senza aiutarla. Fu suo marito a recuperarla. Era più vecchio di lei, aveva settantuno anni, ventuno più di lei, ma scese comunque lungo le rocce, la riportò a casa e le curò i graffi. Sono rimasti insieme tutta la vita.” Inspiro e sposto la mano, che precedentemente era sulla sua schiena, tra i suoi capelli e mi avvolgo una ciocca alle dita, giocandoci.
    “Cosa c’entra la tua vicina?”
    “Niente, era per dirti che gli amori che sembrano assurdi certe volte sono i migliori.”


    ***




    “La prego, ho bisogno di parlare con la segreteria.”
    Sono sdraiato sul mio letto, la testa poggiata al cuscino e un sorriso che non vuole saperne di spegnersi. Non faccio altro che ripensare a quello che è accaduto poco fa, al suo sapore, alla sua pelle contro la mia.
    Dopo la conversazione che abbiamo avuto, lei ha sollevato la testa, mi ha guardato con il capo inclinato da una parte e si è limitata a lasciare un ultimo leggero bacio sulle mie labbra, in una tacita approvazione che sapeva di “Proviamoci”.
    “Ascolti, forse non ha capito, io ho bisogno di parlare con la segreteria” ripete, alzando la voce.
    È seduta sul bordo opposto del materasso e mi dà le spalle, con la cornetta incollata all’orecchio e il filo del telefono attorcigliato alle dita.

    Ah, conosco i miei polli.
    Vuole riprendersi il suo posto alla facoltà di fotografia. Questo mi rende ancora più entusiasta. La immagino già, tra qualche anno, nel suo studio, impegnata a coordinare un’intera troupe di aiutanti e a fotografare le modelle più famose per le riviste di moda. Sarà eccellente, lo so. Oppure potrebbe girare il mondo con me, per immortalare in uno scatto ogni Paese, venendo a contatto con svariate culture. Sì, mi piacerebbe se mi seguisse ovunque, ma forse adesso è presto per parlarne. Però sarebbe fantastico, Dio!

    “Oh sì, grazie mille per la vostra attenzione” comincia, stavolta con tono estremamente brioso. Poi si presenta e discute del suo portfolio e altre cose.
    Parla veloce ma scandisce ogni parola, assumendo un atteggiamento sicuro di sé.
    Osservata dall’esterno, è così diversa in confronto all’impacciata e timida ragazza che diventa quando dico una parola di troppo o mi avvicino alle sue labbra.
    Questa sua doppia faccia mi intriga.
    Continua a conversare con l’interlocutore dall’altra parte della cornetta ancora per dieci minuti abbondanti, poi saluta e chiude la chiamata.

    “Allora?” le chiedo, sbadigliando.
    “Siiiì, oddio, non ci credooo!” grida, saltando in piedi sul letto. “Cazzo Michael, non ci credooo!” prosegue, le mani chiuse a pugno e alzate al soffitto in segno di vittoria. Poi cade in ginocchio sul materasso e tamburella con i palmi delle mani sulla mia pancia, facendomi ridere.
    “Lou, calmati…” provo a dirle, ma vengo interrotto da un altro grido di gioia.
    In realtà, è bellissimo vederla così spensierata, con i capelli scarruffati e le guance rosse per lo sforzo.
    “Cazzo cazzo cazzo, è il giorno più bello della mia vita!” Si sdraia con un tonfo accanto a me e riprende fiato, prima di sussurrare tra sé e sé un altro “Non ci credo”.
    “Credo che ti abbiano preso” affermo, girandomi su un fianco per guardarla.
    “Più o meno, devo comunque fare un colloquio, ma la cosa è praticamente fatta! Avevano ancora un paio di posti liberi, fortunatamente. E sai cosa mi hanno detto? ‘Signorina Swedien, eravamo rimasti molto colpiti dalle sue fotografie e sarebbe stato un dispiacere non averla tra noi’” dice, riproducendo la voce altezzosa dell’uomo con cui ha parlato. “Saluta la nuova Steve McCurry, re del pop!”
    Rido, ancorando una mano al suo fianco e cingendole il basso ventre con un braccio. “Sono felice per te. E orgoglioso.”

    “Grazie Mike, anche tu hai un po’ di merito. Mi hai incoraggiata così tanto.”
    
“E tu mi hai ignorato altrettanto!”
    
Sghignazza. “Be’, tutto è bene quel che finisce bene, no?”
    Annuisco. “Dovrai dirlo ai tuoi.”

    Sospira lievemente, sbattendo le lunghe ciglia. “Lo farò, spero che vada tutto bene.”
    
“Saranno felici di vederti così soddisfatta.”
    
“Certo, ma si erano anche abituati all’idea che studiassi business e facessi carriera e tutta quella roba lì.”

    “Ma non era quello che volevi fare.”
    “No, sento che è questa la mia strada e so di aver fatto la cosa giusta per me.”
    “È questo l’importante, i tuoi capiranno.”
    “Magari potresti darmi una mano…”
    “In che senso?”

    “Non so, mi basterebbe averti accanto, come un supporto morale. Potresti difendermi dall’eventuale furia di mio padre!” Emette una breve risata. “No, a parte gli scherzi, mi piacerebbe che tu ci fossi.”
    Un moto di fierezza riempie il mio ego. “Ci sarò, assicurato” le garantisco, strofinandole il fianco dove è saldata la mia mano.

    C’è un attimo di silenzio, in cui si possono percepire soltanto i nostri respiri leggeri. Scruto tutta la sua figura, mentre un piacevole sfarfallio si diffonde nel mio stomaco.
    “Dunque questo è il giorno più bello della tua vita?”

    “Fino ad ora, credo proprio di sì.” Finalmente, volta la testa verso di me e vedo i suoi occhi perdersi nei miei, ancora. Vorrei chiederle se sia felice solo per l’università o anche per… noi, ma mi anticipa, come se mi avesse letto nel pensiero. “Anche per quello che ci è stato prima, soprattutto per quello” ammette in un sussurro appena percepibile, arrossendo immediatamente.
    “Anche io. Prima che tu arrivassi è venuta Liz. Mi ha regalato un elefante, l’hai visto?”
    “Già, quando ho parcheggiato stava bevendo dalla piscina.”
    “Le ho parlato di te, spero non ti dispiaccia.”
    
“Se hai detto cose positive, no.”

    Ridacchio. “Ovvio, secondo te?”
    
“E che ha detto?”
    
“Niente che ti riguardi.”

    Mi fissa esterrefatta, fulminandomi con lo sguardo e tirandomi un calcio sulla coscia. “Ah, mi liquidi così stronzo?”

    Scoppio a ridere. “Sì.”
    “Dai, voglio sapere cosa ti ha detto.”

    “Mai!”
    “Ma riguarda me!”

    “Proprio così!”
    “Apri quella cazzo di bocca, bastardo!”
    
“Ma non riesci a formulare una frase senza parolacce?”
    “Brutto stronzo traditore, non cambiare discorso!” Mi dà una spinta e mi fa cadere nuovamente con la schiena contro il materasso, per poi sedersi a cavalcioni sopra di me, sul mio basso ventre. Darling, non osare troppo. “Giuro che se non parli ti faccio il solletico.”
“Come siamo minacciosi, aiuto!” ribatto, con un’espressione di finta paura. E, ovviamente, mi becco una scarica di solletico sui fianchi che mi fa contorcere.
    “Voglio sapere cosa ti ha detto!”
    
“Ad una condizione!”
    
“Dipende che condizione.”
    
“Allora niente.”
    “Okay okay, ma prima mi dici cosa ti ha detto.” Rilassa i muscoli, poggiando la schiena alle mie gambe tirate su, così da formare un triangolo con la materassa.
    “Ha… detto… che…”
 le dico, facendo delle lunghe pause tra una parola e l'altra.
    “Dai Michael!”

    “Va bene, la smetto. Ha detto che sei una brava ragazza” dico alla fine, sorvolando volontariamente la predica che mi fatto.
    Lou corruga la fronte e mi guarda interdetta. “Tutto qui?”
    Annuisco, ridendo sotto i baffi.
    “Sei veramente uno stronzo.”
    
Fa per alzarsi, ma la blocco, trascinandola nuovamente su di me. “Ehi ragazza, i patti vanno mantenuti.”

    “Ma era una cazzata.”
    
“È uguale, ormai non puoi tornare indietro.”
    “Via su, chiedi.”

    Mi mordo il labbro, guardandola sorridendo. Dopodiché le prendo una mano (fredda) e la porto al mio volto; la sfioro con le labbra e poi ci lascio un bacio silenzioso. Avverto il suo respiro velocizzarsi. “Potresti ricominciare quello che hai fatto prima?”
    “Per questo non ti serve ricattarmi, ricordalo per la prossima volta.”
    
L’ultima cosa che vedo, prima di serrare le palpebre, è la sua bocca dischiusa che precipita verso la mia. E poi mi bacia, ci baciamo. Ed è come se, anche questa, fosse la prima volta. Ed è tutto così folle, ma niente sarà mai tanto folle quanto lo sono io in questo momento, contro le sue labbra, nel mio angolo di paradiso.




    I'm back!
    Stavolta vi vizio, ma non abituatevi troppo a questi aggiornamenti ravvicinati! Semplicemente ho scritto questo capitolo in una sola notte e non resistevo più, quindi eccolo qui per voi.
    Come potrete aver riconosciuto, il dialogo con Liz è ripreso dai Private Home Movies. Nel caso voleste riguardare quella parte, vi lascio il link:

    Grazie per ogni commento, è sempre un piacere vedere che la storia vi sta piacendo!
    Un abbraccio!
     
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    Finalmente si sono baciati.Grandioso Lou è stata presa al corso di fotografia potrà fare da fotografa personale a Michael così avranno più tempo da stare insieme
     
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    None of your scars can make me love you less

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    Come ho letto della scena di Liz e Michael mi sono subito ricordata di quel filmato con Gipsy :D erano una forza insieme.
    Ma la cosa più bella e vedere ( perché il modo in cui descrivi le scene è in grado di farcele vedere veramente!) Lou e Mike interagire. Si sente l'emozione palpabile nell'aria, il desiderio,la tensione. È come un film... Ti prego non smettere di farci sognare così
    La scena del bacio comunque... :barella:
    Sei fenomenale.
     
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    It's all for love, L.O.V.E.

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    Grazie tantissimo!
    Eff, i tuoi commenti mi fanno sempre sorridere come una stupida, ripeto che mi danno una carica pazzesca! :smack:
     
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46 replies since 28/6/2017, 21:30   1049 views
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