The Rebirth

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  1. Sharon Jackson
     
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    Grazie amica ettenderò con immensa gioia il regalo di Natale :love: :love: :love: :love: :love:
     
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  2. maria graziamj
     
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    :( Ambra...a quando il nuovo capitolo?...Natale è passato da un pezzo....POSTA :possochiu:
     
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    Maria Grazia :wub:
    Eh lo so... io sono sempre ritardataria (o quasi sempre...)
    E volendo intenzionalmente creare allarmismi, dico di stare attente in questi giorni a qualche possibile aggiornamento :D Potrebbe arrivare più presto del previsto! :kiss2:
     
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    Alibi

    Made our choice, a trial by fire.
    To battle is the only way we feel alive.
    ♪ ♫ ♬


    November, 29, 2006.


    “Avanti, finiamo quest’espressione”, risi e scompigliai i capelli di Prince dopo la sua notevole imitazione di Gollum de Il Signore Degli Anelli. Fissai il cellulare adagiato sulla coscia destra e il petto si alzò a causa di un altro profondo respiro. “Altrimenti non guardiamo il film”.

    Paris puntò il fratello maggiore con un’occhiata furbesca e provocatrice. Conoscevo quello sguardo.

    “Io riesco a fare un’imitazione migliore”.

    “Paris...”

    “Dai, provalo!”, la punzecchiò Blanket mollando la penna sul quaderno con un risolino malefico. Paris lo fissò di rimando. “Non sei capace!”

    “Ora dobbiamo finire i compiti”, mia figlia alzò il sopracciglio usando un tono piuttosto saccente. Sollevò il mento e impugnò la matita con fermezza. “Papà ha detto così e io sono obbediente!”

    “Anch’io sono obbidente!”.

    Blanket si offese e puntò le ginocchia sulla sedia, alzando il fondo schiena per superare l’altezza della sorella. Con la mano lo indussi a risedersi correttamente. Mi osservò con l’intenzione di chi sta per intraprendere una grande battaglia e non vuole essere interrotto.

    “Si dice obbediente”, precisò Paris ricambiando il gesto di sfida.

    Prince li osservò in silenzio, scuotendo il capo con assoluto dissenso.

    “Solo papà può dirmi cos’è giusto! E tu non sei meglio di Prince!”, Blanket alzò la voce.

    Paris assunse una smorfia arrabbiata e prima che potesse dire qualcosa li richiamai battendo le mani tre volte sul tavolo, creando abbastanza frastuono da riportarli all’ordine. I due sobbalzarono e mi puntarono in silenzio, ancora infervorati per il loro “semi-litigio” inconcluso.

    Li esaminai con un’occhiata tanto severa quanto irremovibile.

    “Sapete cosa penso di questi litigi”. La voce fu cupa nonostante la tranquillità apparente. “Nessuno di voi tre è meglio dell’altro, non dovete mai pensarlo. Chiedete scusa e finite i compiti”.

    I due furono esitanti, ma bastò un altro sguardo che questi, borbottando, decisero di scusarsi senza guardarsi negli occhi per più di cinque secondi consecutivi. Lasciarono cadere il discorso e riabbassarono la testa sui loro quaderni.

    Mi piaceva assisterli durante i ‘compiti per casa’. Per me era fondamentale essere presente nelle loro vite, soprattutto nell’insegnamento scolastico. Volevo che un giorno diventassero persone di grande cultura e intelligenza, così da sopravvivere in un mondo fatto di sciacalli e squali con una marcia in più. Vedere i loro occhi illuminarsi per una nuova lezione appresa mi rigenerava; esattamente come quando mi chiedevano: “Papà, mi aiuti con i compiti?”. Tutto ciò rappresentava uno dei doni più belli che la vita mi avesse potuto fare.

    Mi ero ripromesso di crescere i miei figli con l’affetto e il sostegno che a molti bambini mancava, quello che in passato era mancato anche a me.

    Un bimbo ha bisogno della presenza del padre e della madre costantemente, affinché possa essere in grado di spiccare il volo; esattamente come mamma aquila procura il cibo ai suoi piccoli, sapendo che prima o poi dovranno cavarsela da soli. I genitori devono proteggere i figli come l’amorevole elefantessa difende il suo cucciolo, fino a quando non sarà abbastanza grande da percorrere la sua strada con gli insegnamenti impartiti da piccolo. Tenersi stretti i propri bambini, insegnar loro tutto ciò che c’è da sapere sul mondo, e lasciarli liberi di fare esperienze di vita… questo è essenziale per la loro formazione caratteriale. Un genitore deve essere sempre lì, a vegliare su di loro e attenderli a braccia aperte, nel caso in cui avessero avuto bisogno di riscoprire cosa fosse Casa quando la via si sarebbe persa.

    Amavo osservarli quando erano troppo concentrati per darmi attenzione; uno si mordeva il labbro, un altro corrugava la fronte e l’altra mostrava la punta della lingua. Loro erano il mio tutto, la ragione per cui mi svegliavo ogni mattina e cercavo di essere un padre e una madre in una cosa sola.

    Gli occhi si chinarono sul cellulare, ancora.

    Niente.

    Spostai l’attenzione sui quadri appesi alle pareti rosso bordò, sulla lunga tavola ovale e sulla finestra che prendeva tutta la parete a sinistra. L’ambiente era accogliente – stare lì era come stare in una casa di montagna, circondati dall’odore di terreno fertile e bagnato. La luce del lampadario era fievole e la pioggia batteva sui vetri con leggerezza, come fosse una ninnananna.

    Ogni qualvolta vedessi la nuova insegnante di Prince, Paris e Blanket ritornavo al passato.

    Era diversa da lei, fin troppo.

    Si chiamava Aileen. Tratti esotici, capelli scuri, occhi scuri, labbra molto carnose e fisico mingherlino, decisamente più bassa di me. Dava l’idea di una sorella maggiore, ma era una donna molto sveglia. Anche se possedeva una gentilezza e una cultura invidiabile, non era lei – non solo fisicamente parlando.

    Con il passato ritornavano i flash di luce e i ricordi dolceamari: i sorrisi di Sarah quando stringeva Blanket tra le braccia e gli baciava le tempie socchiudendo le palpebre – attimi in cui riusciva a farmi venire i brividi lungo tutta la schiena – e gli abbracci inaspettati di Paris, che quella piccola incosciente non era mai stata abituata a ricevere; ricordavo i momenti in cui tutti e cinque – io, Sarah e i miei figli – sembravano la cosa più simile a una famiglia. A quei tempi era quella la cura perfetta alla paura, quella che in poco tempo avrebbe inglobato ogni molecola di lucidità e non sarei stato in grado di sconfiggere.

    Tutto era più silenzioso di prima. Mi guardavo intorno e percepivo un vuoto che non emetteva suono, crudele e impercettibile, che ammutoliva quelle fredde giornate di fine novembre in attesa di una sua chiamata.

    Dopo due settimane non avevo ancora ricevuto un segno da parte sua.

    I primi giorni furono i più difficili da reggere. Continuavo a tormentarmi, a oscillare tra la speranza e la tristezza completa: mi insultavo, accusandomi e dicendomi quanto fossi stato stupido a pensare che avrebbe voluto richiamarmi; ‘avanti, Michael, pensi che abbia voglia di sentirti dopo averti lasciato senza pensarci due volte?’, e così ritornava anche la rabbia insensata. Un dolore profondo che si nascondeva sotto la forma di un’ira illogica. Quello stato mutava poi in impazienza, in angoscia, in pura e semplice mancanza, per poi evolversi in un buio terrificante. La fiducia ritornava nelle ore più impensabili e mi risollevava da terra, soprattutto quando sfogliavo le pagine del suo romanzo che avevo portato con me da Londra. E di nuovo, per l’ennesima volta, mi arrendevo.

    Alla fine non ero riuscito a sbarazzarmene, pur non avendo avuto il coraggio di iniziarlo.

    E avrei dovuto lasciare che Sarah continuasse la sua vita, senza presentarle di nuovo il passato davanti agli occhi. Sarebbe stato un atteggiamento più maturo, visto l’uomo quarantottenne che ero.

    Era la voglia di amarla ancora? Era il desiderio di affrontarla una volta per tutte e sentirmi dire che mi odiava, così da poter finalmente metterci una pietra sopra? Era il bisogno di sfogare la mia rabbia e tutte le parole che avevo represso fino ad allora, anche quelle più irrazionali?

    La sola idea che potesse avere un altro era… inconcepibile.

    Le dava più amore di quanto non le avessi dato io? La faceva sentire importante? Era la sua anima gemella? La faceva sentire unica e speciale nella maniera in cui io non avevo saputo fare, con i loro alti e bassi di mezzo? Forse usava qualcun’altro per sostituirmi. Chissà se preferiva stare sola come me, incapace di avere un’altra relazione perché viveva ancora nel ricordo di un amore spezzato dal silenzio.

    Sono un egoista.

    “Finito!”

    Prince alzò le braccia in aria e guardò me e il resto dei fratelli con evidente soddisfazione.

    Inspirai e tornai al presente.

    “Anch’io!”, disse Paris qualche secondo più tardi, sorridendo ampiamente.

    Blanket sbuffò e lasciò cadere la testa sul braccio disteso sul tavolo.

    Espirando credetti di soffocare.

    “Non è giusto, io no!”

    Se l’addio è doloroso, vivere fra la speranza e l’arresa è peggio. Nella speranza non c'è accenno di rinuncia, non un modo di imparare finalmente a lasciare andare. Sei sempre appeso ad un filo. È la presa ferrea all’unica àncora di salvezza rimasta, che rende tutto più difficile.

    Vivere con l’arresa nel cuore, invece, è come vivere un lutto: all’inizio stai male, così tanto da non capire dove ti trovi, ma poi molli tutto. Lo vivi. Ci convivi così tanto da non riuscire a sentire più niente. Sei in un limbo senza uscita e il dolore diventa sopportabile soltanto con la forza dell’abitudine. Eppure, quando credi di vedere la luce in fondo al tunnel, il minimo ricordo di lei ritorna ad annientare anima e corpo.

    La rivedevo in ogni cosa che facessi o che mi circondasse. Non riuscivo a sfuggirle. Era come un’ombra che non mi lasciava. Ogni profumo mi ricordava Sarah, anche quando era completamente diverso dal suo. In ogni donna cercavo di riconoscere alcuni tratti del suo viso, e così mi convincevo che fosse. Ma quando capivo che era finita e che non c’era speranza, ancora e ancora, il vuoto nel petto ritornava ad essere talmente grande da non permettermi neanche di piangere.

    Dodici giorni, tredici ore e tre minuti da quando la mia guardia del corpo, Mike, aveva consegnato fiori e lettera alla diretta interessata.

    Dodici giorni, tredici ore e tre minuti da quando mi aveva raccontato di averla vista a bocca aperta, pallida come un cencio… ma non era rimasto lì abbastanza da notare una qualche reazione più plateale, quel tanto che bastava per non far morire definitivamente le mie illusioni.

    Dodici giorni, tredici ore e quattro minuti.

    *

    Quella sera non ebbi molto appetito, non più del solito, e mi rintanai in camera da letto poco dopo l’ora di cena. Mi stavo arrendendo all’idea che le mie speranze fossero vane e, di riflesso, la fame se ne andava completamente.

    Me ne stavo a bordo del letto, seduto immobile e con gli avambracci appoggiati alle ginocchia; le mani legate stringevano e allentavano la presa spasmodicamente, il respiro fuoriusciva a malapena dalla bocca socchiusa. Da quella posizione vedevo il divanetto color panna e la scrivania piena di scartoffie, accostata all’enorme finestra che dava sul giardino, la stessa da cui potevo osservare i miei figli giocare durante il giorno. Le enormi vetrate erano ornate da tende color senape, stesso identico colore del copriletto. Inoltre, da lì potevo scorgere il mio riflesso sullo specchio da terra, ovale e alto quel tanto che bastava da rinchiudermi completamente al suo interno. Il pavimento era decorato da tre diversi tappeti rossi e c’era un ulteriore specchio anche alle mie spalle, appeso a una sorta di quadro incorniciato d’oro. La lampada a muro – quella posta sul mio lato del letto – rischiarava la stanza debolmente; la luce metteva in risalto il viola fosforescente del suo nome sulla copertina del libro, posto sopra il comodino alla mia sinistra.

    Fissai il romanzo con aria imperscrutabile.

    Era ora di sbarazzarmene… o nasconderlo fino al giorno in cui non mi sarei deciso di regalarlo a qualcuno, a una qualche biblioteca magari.

    Lasciando Neverland avevo abbandonato qualsiasi cosa che mi ricordasse Sarah, non solo il processo e le accuse; i ricordi di lei erano impressi su qualsiasi angolo del ranch, marchiati a fuoco dalla sua quieta presenza. La sua anima aveva lasciato una scia ovunque fosse andata, ovunque avesse toccato, esattamente come polvere di fata. Per non portare con me un dolore che faceva mancare il fiato avevo lasciato tutto lì, incapace di vendere il Ranch, sapendo che Neverland sarebbe stata la mia dimora inabitata per molto tempo… una ‘casa’ a cui non avrei mai avuto il coraggio di dire addio.

    Dalla musica carillon che si udiva in ogni angolo al profumo dello zucchero filato, dal cinguettio degli uccellini al dolce scroscio delle fontane, ogni odore e rumore ricordava un’innocenza perduta (e forse mai avuta) e tutte le cose che avevo smarrito con e durante il processo.

    Ai bambini avevo lasciato prendere qualsiasi cosa fosse loro caro – purché non fosse tutta la casa: giocattoli, pupazzi, cartoni animati, film preferiti, disegni.

    Ogni ricordo sapeva di speranza, dolore, sentimenti inesplorati e voglia di conoscersi.

    Mi mancava, eppure il suo silenzio era una risposta.

    Sospirai e incrociai il mio riflesso allo specchio con la coda dell’occhio.

    I miei occhi sembravano lo specchio della frustrazione: spenti e stanchi. Le guance incavate mi dipingevano come un uomo più pallido e smagrito del solito. I miei capelli… erano così disordinati che non ci prestai manco attenzione. Vestito così – completamente in nero – sembravo pronto per un funerale, mi dissi.

    Qualcuno bussò alla porta. Mi voltai drizzando la schiena.

    “Avanti”.

    Una testolina castana sbucò da oltre l’uscio e mi puntò con discrezione. Teneva i capelli in due trecce perfettamente ordinate, raggiungendo l’ombelico, e due occhi chiari come l’acqua. Paris non si era ancora cambiata: stessi pantaloncini verdi e stessa maglietta a maniche lunghe del pomeriggio.

    “Papà?”

    Sorrisi. “Non ti sei ancora messa il pigiama”.

    Le feci cenno di entrare. Questa, con sguardo concentrato sull’oggetto che teneva tra le dita, spostò la porta con una spalla ed entrò lentamente. Con altrettanta attenzione richiuse la porta spingendosi su di essa con tutto il corpo. Tra le mani impugnava una tazza blu fumante.

    “Ti ho portato una camomilla, daddy”, avanzò con un’occhiata premurosa. “Non hai mangiato niente. Pensavo stessi male…”

    Quando mi fu davanti mi porse la tazza.

    “Scotta”, pigolò.

    Poggiai la camomilla sul tavolino. Mentre il vapore si sollevava creando scie di fumo danzanti, osservai Paris con uno sguardo ricolmo di affetto. Teneva le spalle dritte, le mani incrociate sulla pancia e i suoi occhi cercavano di capire se fossi contento o meno per quel gesto. Ero così orgoglioso all’idea che fosse la mia bambina.

    “Vieni qui, fatti abbracciare…”, la invitai.

    Paris si illuminò, fiondandosi tra le mie braccia senza esitazione; la sollevai e la feci sedere sul mio ginocchio destro, mentre affondava il viso nell’incavo del mio collo. Espirai con una miscela di emozioni incomprensibili.

    “Grazie mille, principessa”.

    Se non avessi avuto i miei figli probabilmente sarei morto da un pezzo. Loro non avevano la minima idea di che cosa avesse passato o stesse passando loro padre, ed era giusto così; era troppo presto affinché sentissero il peso del mio passato sulle loro spalle. Li volevo proteggere e lo avrei fatto fino a quando non sarebbero stati maturi abbastanza, forti quel tanto che bastava da non farsi ingoiare da qualcosa che non dipendeva da loro.

    In tutta quella tristezza – sapendo che non ci sarebbe stata nessuna chiamata, riconciliazione o litigio da parte della donna che ancora mi infestava con la sua impalpabile presenza – io avevo i miei figli.

    Avere dei bambini da amare e proteggere ti rende forte e coraggioso, impavido e indistruttibile. Non avere più la persona che pensavi di amare per sempre, al contrario, ti riempie di rimpianti e momenti non vissuti pienamente.

    “Papà?”

    Abbassai il mento per sbirciare il volto di Paris. “Sì?”

    I suoi occhi miravano dritto, in direzione della camomilla fumante. Mi irrigidii appena, nell’istante in cui capii cosa stesse guardando.

    “Papà, quel libro dice Sarah Anne Morris...”.

    Lo stomaco si contorse su di sé.

    “Esatto”.

    “Si chiama come la nostra ex insegnante...”.

    Si separò dal mio petto e mi fissò con visibile trepidazione. Mi bagnai le labbra e deglutii la saliva ostentando tranquillità.

    “Lo è”. Stirai un sorriso forzato. “È proprio lei”.

    “Davvero?”, Paris si alzò. “Ha scritto un libro?” Curvai lo sguardo senza che mi potesse notare, umettandomi nuovamente la bocca e stringendo le mani attorno alle ginocchia. “Posso vederlo?”.

    Annuii lentamente.

    Se fossi stato emotivamente distante da tutto quel casino che era la mia vita sentimentale, probabilmente mi sarei messo a ridere per tutto quell’insieme di strane coincidenze. Era come se Dio mi volesse porre sempre di fronte al suo volto, al suo nome, al suo ricordo. Più me ne separavo, più ritornava alla carica, intimandomi di non dimenticarla.

    Io e Sarah non avevamo passato una vita assieme… soltanto un anno e mezzo (includendo i mesi in cui eravamo stati ‘soltanto buoni amici’). Ciò nonostante mi sembrava che non fosse affatto così, che la conoscessi da sempre. Un misero, semplice anno e mezzo che aveva stravolto la mia intera esistenza.

    “Wow… che bella…”

    Paris sfiorò la copertina con le dita. Chinò la testa prima da un lato e poi da un altro, ammirando devotamente la figura femminile in primo piano. Aprì il libro e cominciò a sfogliarlo dalla prima pagina. Non appena vide la sua scrittura, si fermò e mi scoccò un’occhiata di gioia.

    “È la sua scrittura, la riconosco! È proprio lei!”

    Paris continuò a sfogliarlo ed io mi reclinai in avanti, come se mi fosse stata lanciata una lastra in cemento sulla schiena.

    “Posso leggerlo?”, mi osservò pregante.

    Sbattei le palpebre più volte.

    “Sembra veramente molto bello...”, sorrise facendo spallucce.

    Mi morsi il labbro inferiore e scrutai il libro aperto.

    “Penso che sia adatto a bambine un po’ più grandi di te, Paris...”, mi sollevai in piedi e le poggiai le mani sulle sue spalle. Lei mi adocchiò tenendo il nasino all’insù, storcendo la bocca con disapprovazione. “Ci sono concetti e frasi difficili da capire. Tempo al tempo. Sono sicuro che presto lo leggerai anche tu...”.

    Paris annuì amareggiata. Scostai il viso alla mia destra, verso la finestra. Era notte fonda. La Luna ravvivava il cielo di tanto in tanto, liberandosi da un manto di nuvole annunciatore di temporale.

    “Papà…”, mormorò. “Pensi che tornerà?”

    Inspirai.

    “No, Paris...”.

    La mia voce sembrava più graffiata del solito.

    “Mi manca tanto... la maestra che abbiamo adesso è bravissima e dolce… ma non è come zia Sarah… anche Prince la pensa come me... Blanket non si ricorda niente, invece...”

    “Blanket ha quattro anni e mezzo ora, Paris. È normale…”

    Paris continuò imperterrita.

    “Qualche giorno prima di andarsene ha pianto…”.

    Gli occhi saettarono su mia figlia. Allontanai le mani dalle sue spalle e mi risedetti sul materasso con un piccolo tonfo, puntandola. Il cuore perse qualche battito.

    “Davvero?”

    Paris annuì tristemente.

    “E che cosa vi siete dette quel giorno?”

    Chinò il mento con segno di pentimento nelle iridi azzurro-verde. Si morse le labbra più e più volte, chiudendo il libro e stringendolo forte al petto. Immediatamente capii che c’era qualcosa che non voleva dirmi… o che voleva dirmi, ma che pensava fosse sbagliato…

    Dubitai che a Sarah fosse sfuggito qualcosa riguardo la nostra storia.

    “Ci ha detto che sarebbe stato il nostro segreto…”

    “Dimmi, Paris”, provai a mantenere un tono di voce calmo e fermo. In realtà mi tremavano le mani e le gambe. “Non avere paura”.

    Mi adocchiò titubante.

    “Ci ha detto che non se ne voleva andare per causa nostra, ma perché stava molto male… che non dovevamo sentirci... mmm, colpevoli… e che ci amava tantissimo…”, mormorò facendo scattare lo sguardo dal libro al mio viso, dal comodino alla lampada a muro. “Ci ha fatto promettere di essere sempre bravi bambini… ci ha detto di proteggerti e di volerti tanto bene, perché siamo fortunati… ci disse che un giorno, forse, ci saremmo incontrati di nuovo…”, arrossì appena. “Vorrei tanto che tornasse…”

    Fu come se il cervello si fosse resettato nel momento stesso in cui Paris aveva finito di parlare. Come se troppe informazioni tutte in una volta avessero fatto andare in pappa la capacità di formulare un pensiero di senso compiuto, anche il più banale.

    Ci ha detto di proteggerti…

    Un giorno, forse, ci saremmo incontrati di nuovo…

    Ed eccola nuovamente, l’euforia nascosta. Quel sottile senso di felicità che si fondeva con la speranza, che mi faceva desiderare di scoppiare a ridere per il sollievo. ‘Hai visto, Michael? Non ti ha lasciato per sempre’, diceva. E un secondo più tardi ricadevo a velocità della luce nel dispiacere.

    Accarezzai la nuca di mia figlia.

    “Non è così semplice, Paris”.

    Lo dissi più a me che a lei. La abbracciai improvvisamente, con un calore più sentito di quello precedente. Ci dondolammo sul posto per qualche istante, mentre la mia mente continuava a lavorare e ricordare le parole di Paris.

    “Ora è tempo di andare a mettersi su il pigiama e coricarsi a letto. Avvisa i tuoi fratelli che arrivo subito, il tempo di cambiarmi anch’io”.

    Paris adagiò il volume sul comodino, esattamente dove lo aveva trovato. Mi issai in piedi una seconda volta e insieme ci dirigemmo verso la porta, Paris con il suo sorriso stretto e io con il caos nella testa.

    Nello stesso istante in cui afferrai la maniglia, udii la suoneria del cellulare.

    Mi girai di scatto.

    Il telefono era adagiato sul cuscino, quello dalla parte del letto in cui non dormivo. Lo schermo era diventato bianco e il piccolo marchingegno vibrava a vista d’occhio. La suoneria, alta come non mai, fece sobbalzare sia me che Paris.

    Ingoiai il fiato.

    Mi sembrava che il cuore fosse sul punto di esplodere.

    Neanche cinque secondi più tardi e la suoneria si interruppe. Lo schermo diventò nero e tutto smise di muoversi, anche il mio stesso respiro.

    Silenzio tombale.

    “Papà?”.

    Mi ridestai con un leggero tremolio. Guardai Paris con gli occhi fuori dalle orbite e la bocca semischiusa. Mia figlia ricambiò con un’espressione di segreto divertimento.

    “Oh, sì, scusami”.

    Aprii la porta. Mi chinai su Paris e le diedi un bacio sulla fronte; rabbrividivo così tanto che mi sembrava di avere la febbre.

    “Bevo la camomilla e arrivo subito”.

    Paris annuì e ricambiò il bacio cercando la mia guancia sinistra. Serrai le palpebre, godendomi il momento. Non appena si incamminò lungo il corridoio, mi rinchiusi nella stanza.

    L’ansia tornò a stritolarmi la gola.

    Rimasi appoggiato con entrambe le mani sulla porta in legno bianco e mi diedi qualche secondo per respirare a pieni polmoni.

    Aspettai.

    Poco dopo ritornai nei pressi del letto, stavolta dove era posto il cellulare. Lo afferrai, ammirando lo schermo nero come ipnotizzato. Dopo mezzo minuto passato a trovare il coraggio per non sentirmi crollare il mondo addosso, sbloccai la schermata. La mente era sempre incredibilmente taciturna.

    Si illuminò con un sol tocco.

    Chiusi le palpebre ed espirai a bocca aperta.




    Edited by fallagain - 24/4/2020, 18:39
     
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  5. Applehead97
     
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    Oddio FINALMENTE hai continuato!
    Cavolo, sto tremando anche io come Michael.

    Non ho più parole per dirti quanto scrivi bene e quanto sei meravigliosa tu stessa!
    VAI Sarah, corri da lui ❤
     
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  6. wonderfulMJ
     
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    L'attesa è stata più che premiata; un capitolo bellissimo, struggente, perfetto!
    Sei fantastica nel trasmettere anche ... il loro respiro!
    E lo fai togliere a noi!
    Complimenti, tantissimi davvero! :congra:

    Buone Feste anche a te e ..... speriamo a presto! Prestissimo!
    :ciau:
     
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    Darling Reader
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    Ambra,le tue parole mi travolgono e mi portano così lontano... :wub:
    Sembra tutto vero,Dio mio. Io vivo questi capitoli.
    Sei straordinaria,tesoro!

    Ti aspetto! :hug:
     
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  8. agony.
     
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    Tesoro.. è un po' che non scrivo qui.
    Comunque dico solo una cosa:
    Ora sono senza parole quindi, se nei prossimi giorni ci sentiremo, saprò farti i miei più sinceri complimenti.. per ora mi godo le emozioni che mi ha lasciato questo capitolo.
    Ciao.
    :hug:
     
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  9. ornellamj
     
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    ....si sono incontrati...dopo tanto tempo...e si sono scontrati come facevano spesso...ma ora è lei ad evitarlo per non coinvolgerlo e farsi coinvolgere...Sarah, non scappare...amalo ancora...Mike se lo merita :00:
    Ambra sei bravissima...ci tieni sempre col fiato sospeso come in The Wish :o:
    per favore...posta presto il prossimo capitolo...ormai sono FF dipendente :aaa: e a questa ci tengo particolarmente :)
    un abbraccio :hug:
     
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  10. maria graziamj
     
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    Stupenda ed emozionante...pochissime storie riescono a coinvolgermi cosi tanto come la tua...sei straordinaria Ambra :wub: ti aspetto con un nuovo capitolo ...Buone feste tesoro :kiss2:
     
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  11. Elenajackson777
     
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    Ambra complimenti,hai scritto un altro stupendo capitolo,ogni capitolo che scrivi è un capolavoro,ogni volta che leggo un tuo capitolo mi immedesimo completamente nel personaggio che tu descrivi,che può essere Michael o Sarah o qualcun'altro e riesco a percepire perfettamente i suoi stati d'animo e le sue emozioni,sei davvero bravissima.
    Finalmente si sono rivisti e si sono scontrati,adesso Sarah sta fuggendo via ma spero tanto che Michael la raggiunga e riesca a fargli cambiare idea e a farla rimanere con lui :love: :love:
    Attenderò il continuo e auguri di buone feste a te e alla tua famiglia :smack:
     
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  12. Sharon Jackson
     
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    Finalmente il tanto atteso incontro è avvenuto. Cara Amica Ambra buone feste :wub: :smack: e al prossimo con la speranza che Sarah ci ripensi e torni da lui

    Edited by Sharon Jackson - 29/12/2012, 13:05
     
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  13. Holiday
     
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    Ho commentato in diretta questo capitolo, proprio come piace a noi.
    Ma, non potevo non lasciare due parole qui e "farti" vedere la mia presenza! :asd:
    Nella prima parte del capitolo ho percepito l'ansia, la paura e la trepidazione di Michael e nella seconda mi sono emozionata leggendo che Sarah aveva intuito il mittente della lettera e avuto la conferma solo guardando una piccola statuetta! :rolleyes:
    CITAZIONE
    Mi ero ripromesso di crescere i miei bambini con l’affetto e il sostegno che a molti altri mancava, quello che in passato era mancato anche a me e non solo. Un bambino aveva bisogno della presenza del padre o della madre in maniera costante affinché fosse in grado di spiccare il volo, esattamente come mamma aquila procura il cibo ai suoi piccoli e sa che prima o poi sapranno cavarsela da soli. I genitori devono proteggere i loro figli come l’amorevole elefantessa difende il suo cucciolo, fino a quando questo non sarà abbastanza grande per seguire la sua strada con la forza ricevuta da piccolo. Tenersi stretti i propri bambini, insegnar loro tutto quello che c’è da sapere sul mondo, e lasciarli liberi di fare esperienze belle e brutte era fondamentale... ma essere sempre lì, presenti, vegliando su di loro e tenendo sempre le braccia aperte, in caso avessero avuto mai il bisogno di riscoprire cos’era Casa quando la via sembra perduta.

    :00:

    E ora sai bene, che aspetto il prossimo capitolo per continuare a leggere di loro!
    :kiss2:
     
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    Una stella non muore mai. Si trasforma in un sorriso e si fonde con la musica del cosmo, la danza della vita

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    Finalmente Ambra, bellissimo capitolo! Davvero non ho parole per ringraziarti delle emozioni che riesci sempre a trasmetterci, alla faccia dei cali di ispirazione! Le storie d'amore travagliate sono sempre le più belle, continua così che noi non vediamo l'ora di leggerti. Un abbraccio grande e tanti auguri di buon anno tesoro, a presto. :hug: :heart:
     
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    Che dolcezze che siete :wub: Tutte quante voi che mi scrivete :hug:



    Applehead...
    (Ti dispiace se ti chiamo così?) GRAZIE. Grazie davvero :thud:

    Santa...
    Mamma :wub: Ti adoro, sappilo :kiss:

    Lella...
    Ti ringrazio per tutto, col cuoricino :wub:

    Mary...
    E' ufficiale, TU non mi fai sentire straordinaria, di più! :wub:

    Isa...
    E che te lo dico a fare che ti ringrazio? Ti voglio bene, tesoro. :kiss:

    Ornella...
    Vedrò di postare presto, più presto di quanto ti aspetti stavolta ;) Grazie mille per i complimenti e per vivere questa fiction... :wub: :kiss:

    Maria Grazia...
    :kiss: Tesoro! Sei sempre così cara con questo essere molto complicato (che sarei io) :lool: Grazie per esserci :wub:

    Elena...
    Eh ma io ora sto sorridendo come un ebete per il tuo commento :laught: Ti ringrazio di cuore :wub: Grazie grazie e grazie! :kiss:

    Serena...
    Finalmente, vero? :wub: Vedrai che succederà... :sisi:
    Grazie come sempre :kiss:

    Ilaria...
    Tu sai l'effetto che hanno i tuoi commenti su di me :suspect: Quindi non serve che ti ringrazio :suspect: Muahahahahah scherzo amore :smug: Con che burlona hai a che fare tu :smug: (Oggi sono andata :crazy: ) Grazie tante tesoro per l'appoggio :wub: :kiss:

    Cris...
    Grazie bambina sperduta per le tue parole :wub: Alla faccia dei cali d'ispirazione, eh? :lool: Sono contenta di aver dato le emozioni che speravo di suscitare :wub: Un bacione! :kiss:


    VI VOGLIO BENE :hug:
     
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