Not Guilty

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  1. giomichael
     
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    Molly ho letto il primo capitolo e devo dirti che mi hai messo una curiosità tremenda su questa storia ... non vedo l'ora di leggere il seguito ...POSTAAAAA!!!! :horny: :kiss:
     
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  2. Elena01
     
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    Bene, bene Molly: sono sempre contenta di vedere postare una nuova FF! Perciò... ben salita a bordo del nostro carrozzone! :D Tra l'altro, il periodo nel quale hai deciso di ambientare la tua storia, mi piace molto :sisi:
    Posso chiederti una cosa? :mmm: Ho l'impressione che tu avessi scritto questa storia in terza persona per poi passare alla prima... o forse ho capito male io?
    CITAZIONE
    Decisi di non pensarci, almeno non oggi, volevo soltanto dedicarmi alla pittura, era la mia passione da quando era piccola, da quando scarabocchiavo su ogni pezzo di carta che avevo sotto mano e avrei continuato con passione, senza pensare a David, almeno…ci avrei provato. Il suono del mio cellulare mi distolse dai miei pensieri, era sua madre “Ciao Mamma come stai? Come va il vostro viaggio? Come stanno i nonni?”
    “Beth tesoro, quante domande, noi stiamo bene e anche i nonni e tu cara, come stai?”
    “Bene mamma, tutto bene….” Sperava di essere stata abbastanza convincente o sua madre avrebbe iniziato a farle il terzo grado, ma come riusciva sempre a capire anche a chilometri di distanza il suo umore, per Beth era ancora un mistero!

    CITAZIONE
    “Come sta il mio maestro preferito?” Phil era stato un grande pittore, poi un giorno aveva smesso e basta senza nessun motivo, nemmeno io sapevo il perché nonostante fossero diventati grandi amici e nonostante Phil fosse stato per me un grande maestro, non mi aveva mai spiegato il motivo che lo avesse spinto ad abbandonare tutto.

    Scusa se mi permetto, ma i commenti servono proprio per questo: per poterci confrontare. Con tutta la simpatia possibile :wub:
     
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  3. Molly74
     
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    No hai ragione, hai fatto bene, ma qualche volta a forza di rileggere, mi sfuggono delle cose.
    Dopo provvederò a correggere, grazie per avermelo fatto notare. :)
     
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  4. Molly74
     
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    Prima di postare il prossimo capitolo, vorrei ringraziare tutte voi per la calorosissima accoglienza, ci si sente subito a casa. Grazie a tutte!!!! :wub: :wub: :wub: :wub: :wub: :wub: :wub:




    Capitolo 2



    Senza badare troppo a quella sensazione che continuavo a sentire percorrermi le schiena , mi avviai verso l’ingresso del ristorante, mio zio era sulla porta ad aspettarmi, chissà perché, pensai di solito mi aspettava dentro ed inoltre tra quel tempaccio e tutta quella folla davanti al ristorante, era abbastanza strano.
    “Bethhhhhhh!!!!! Mia caraaaaaaaa, come stai?”
    “Zio Jack” gli dissi correndogli incontro a braccia aperte.
    Un caldo abbraccio mi accolse, “tesoro, sei tutta bagnata….”
    “Si se non hai notato sta diluviando, ma che succede? Sembra che nel tuo ristorante abbia appena pranzato il Presidente!”
    “Bhe, non proprio il Presidente, ma qualcuno di famoso, sì” disse tutto tronfio. Il ristorante dello zio Jack è uno dei più famosi a New York, frequentato da politici, avvocati di grido, scrittori e presto avrei scoperto anche da altri generi di artisti e professionisti.
    “Allora, chi è? Dimmelo dai sono curiosa!”
    Mentre gli chiedevo, mi accompagnò al mio tavolo, finalmente mi tolsi il trench bagnato che avevo addosso ed iniziai a riscaldarmi un po’.
    “Beth aspetta. prima voglio dirti una cosa, sai il quadro che mi hai regalato?”
    “Si, zio, quello lì, quello che è al centro della sala…”
    “Si appunto proprio quello, bhe, il mio ospite famoso, mi ha chiesto se poteva comprarlo.”
    “ZIOOOOOO, NON AVRAI MICA VENDUTO IL QUADRO CHE TI HO REGALATO?!”
    “Calma, calma, lo sai che non potrei mai venderlo, ci tengo troppo, ma questa persona mi ha chiesto ugualmente dove avrebbe potuto trovare altri quadri dello stesso artista e io….bhe, gli ho detto che l’artista era mia nipote e che se avesse voluto, tra due settimane avrebbe potuto venire alla tua mostra. Ho pensato che per te sarebbe stata un’enorme pubblicità!”
    “Si zio grazie, ma si può sapere CHI E’!!!????”
    “Si certo, mia cara, è Michael Jackson.”
    “Michael Jacksonnnn, quel Michael Jackson? Cioè il Michael Jackson che canta, il cantante, quello del moonwalk, insomma, quello?!”
    “Si tesoro, quanti Michael Jackson conosci?”
    Giusto quanti Michael Jackson conoscevo, nessuno, cioè solo uno.
    “Tesoro, tesoro, a che pensi??? Sei ancora qui con me?” passò la sua mano di fronte alla mia faccia.
    “Oh, certo si scusa zio e che non mi aspettavo una cosa del genere, comunque sono contenta che gli sia piaciuto il mio quadro, a me piace moltissimo la sua musica, siamo pari direi!” Avevo cercato di sdrammatizzare un po’ anche se sentivo le mie guance diventare sempre più rosse, chi ci avrebbe mai pensato, Michael Jackson!
    Mio zio si accomodò con me al tavolo, e chiacchierammo durante tutto il pranzo dei suoi progetti per l’apertura di un nuovo locale, poi mi chiese della mostra e di David ed io risposi velocemente ad entrambe le domande senza però accennare alla rottura, non avevo più voglia di parlarne e poi stavo ancora pensando che al Re del Pop era piaciuto il mio quadro, cavolo era una sensazione a dir poco esaltante. Ci salutammo, gli promisi che sarei andata a trovarlo presto, e lui non riuscì ad esimersi dal farmi le solite raccomandazioni, risi, divertita dalla sua apprensione, e me ne andai schioccandogli un grosso bacio sulla guancia.


    New York - dentro ad un suv nero – qualche ora prima.

    Non riuscivo a non guardarla.
    Era dall’altro lato della strada, avvolta in un trench nero che faceva intuire le sue forme, il suo ombrello rosso fuoco e la sua camminata non avevano fatto altro che alimentare la mia curiosità. Quell’immagine mi aveva colpito così tanto che chiesi a Robert di invertire il senso di marcia, volevo vederla in faccia, non riuscivo a non guardarla e quando le fui accanto anche lei si voltò verso il suv, forse incuriosita da tutta quel movimento. La vidi e rimasi incantato dal suo viso, dai suoi lineamenti delicati e dai suoi occhi.
    Chissà chi era? Chissà dove stava andando? La seguii con lo sguardo, finchè non vidi che andava incontro a Jack, il proprietario del ristorante e lo abbracciava con affetto.
    Arrivato in albergo, decisi di stendermi un po’, ripensavo al secondo in cui aveva incontrato il viso della sconosciuta e non riuscivo a togliermelo dalla testa, avrei voluto fermare la macchina, scendere e chiederle se potevano parlare un po’, ma non potei farlo, questi lussi a me non erano permessi, ero prigioniero della mia fama. Mi voltai verso il comodino, svitai il tappo di una boccetta di farmaci e ne buttai giù due, il sonno avrebbe scacciato via tutto.


    New York – appartamento di Beth

    Arrivata a casa, non facevo altro che pensare che il mio quadro proprio il mio, era piaciuto a Michael Jackson, non ci potevo credere, ne ero davvero felice. Avevo seguito con trepidazione le vicende legate al processo alla star, non avevo mai creduto ad una sola parola, mi ero sempre fidata del mio istinto e quegli occhi per me non potevano mentire.
    Ero stata sua fan in passato, poi per no so quale strano motivo, l’avevo abbandonato, non avevo mai smesso di sentire la sua musica, questo no, ma da fan scatenata mi ero trasformata semplicemente in una buona ascoltatrice. Ricordai come, da giovane, i miei ormoni di quindicenne sobbalzassero tutte le volte che lo vedevano ballare, il suo fascino era incredibile e magnetico e tutto questo stava riaffiorando alla mente, così decisi di mettere un cd nello stereo e le prime note di Invicible invasero il loft.
    Chiusi gli occhi cullata dalle note e riuscii a vedere mille colori che mi circondavano, li riaprii e tutto quello che non aveva ancora capito sulla tela da completare diventò immediatamente chiaro. Trasportata dalle note di quella musica, creai probabilmente il quadro che meglio rappresentava i miei sentimenti in quel momento, le figure astratte e le pennellate nervose raccontavano il dolore e la rabbia, il rosso la passione pulsante, il nero la notte buia nella quale mi era sembrato di precipitare ed il bianco, una salvezza, una piccola speranza. Con un pennello ancora infilzato nei capelli come fosse una pinza e alcuni riccioli ribelli che mi sfioravano il collo, porsi il mio ringraziamento silenzioso a Michael, quel quadro sarebbe stato al centro della mia mostra, volevo che fosse così e decisi di intitolarlo “Unbreakable”.
    I miei pensieri furono interrotti bruscamente dal suono del telefono, “Pronto!”
    “Ciao!”
    “Cosa vuoi David?”
    “Che accoglienza calorosa, non facevi così….”
    “David piantala, cosa mi devi dire!”
    “Scalpiti sempre, vedo, comunque volevo dirti che è tutto pronto per la tua personale, avremo molti ospiti illustri quindi gradirei che tu fossi carina con tutti.”
    “David, non è necessario che tu, proprio tu, mi dia lezioni di comportamento, comunque non ti preoccupare, non sarò scortese con nessuno” glielo dissi in modo ironico, lui sapeva, ed era già successo una volta, che mandassi all’aria una vendita solo perché non mi era piaciuta la persona che stava per acquistare il mio quadro. E lui si era infuriato molto, mi aveva detto che avevo buttato all’aria un’opportunità, ma io avevo pensato che fosse solo dispiaciuto per aver perso la sua percentuale sulla vendita.
    “Sei sempre spiritosa, mia cara” Mi dava i nervi come avevo potuto amarloooo!
    “Devi dirmi altro?”
    “Domani ti devo vedere per l’allestimento, vorrei mettere….”
    “Aspetta, David, al centro della mostra ci sarà il quadro che ho terminato oggi, voglio che sia così.”
    “Ma io non l’ho visto!”
    “Non mi interessa onestamente, parlerò con Susan domani, ci siamo sempre occupate noi dell’allestimento, non capisco perché tu ora voglia mettere il becco su tutto,”
    “Io sono il tuo gallerista, ragazzina, ricordatelo posso aiutare la tua carriera, così come posso distruggerla.”
    “Sai cosa penso, penso che la nostra collaborazione dopo questa mostra dovrà terminare, è evidente che non possiamo più lavorare assieme…”
    “La stai prendendo tu questa decisione, lo sai che sono stato costretto a tornare da lei, noi avremmo ancora potuto stare assieme.”
    “Basta ti prego, ne parliamo domani!”
    “Come vuoi!” con un click chiuse la chiamata, era pazzesco che fosse lui ad essere arrabbiato con me.

    Guardai fuori dalla finestra, la pioggia batteva leggermente sulle grandi vetrate, ed io osservavo le luci della città sotto di me, mentre lacrime silenziose solcavano il mio viso.


    New York – Waldorf Astoria Hotel

    Mi ero svegliato intontito da quel sonno chimico che mi ero auto indotto, la pioggia batteva leggermente sulle finestre della mia suite, osservavo le luci della città sotto di me, mentre lacrime silenziose solcavano il mio viso.

    Edited by Molly74 - 12/9/2011, 21:43
     
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  5. allorina
     
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    CITAZIONE
    osservavo le luci della città sotto di me, mentre lacrime silenziose solcavano il mio viso.

    bello questo parallelismo :wub:

    ti seguo e aspetto sviluppi :yep:

     
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    Insegui i tuoi sogni ovunque essi si trovino

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    CITAZIONE
    avrei voluto fermare la macchina, scendere e chiederle se potevano parlare un po’, ma non potei farlo, questi lussi a me non erano permessi, ero prigioniero della mia fama. Mi voltai verso il comodino, svitai il tappo di una boccetta di farmaci e ne buttai giù due, il sonno avrebbe scacciato via tutto.

    Michael... :cry:

    Molto bella l'immagine della ragazza che dipinge quel quadro ispirata dalla musica di Michael :wub:


    Un abbraccio :kiss2:
     
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  7. Ray of light*
     
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    Bello anche questo Molly, sono curiosa di sapere come andrà l'incontro alla mostra :woot:

     
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  8. Beat it 81
     
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    Molly !!!!! Ci sono anch'io!!! Ho appena finito di leggere tutti e due i capitoli e la tua Ff mi piace già parecchio, il parallelismo sul finale del secondo capitolo è strepitoso.......Nn vedo già l'ora di leggere il prossimo ;-))))) ...... Baci Sara
     
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  9. Molly74
     
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    Ragazze, sono felice che vi piaccia, ma ci sono ancora moltissime cose da scoprire.....ma non dico nulla! :)

    Capitolo 3


    New York – due settimane dopo – appartamento di Beth


    Mi stiracchiai svogliata nel letto, le due settimane precedenti erano state intense e frenetiche i preparativi della mostra avevano assorbito tutte le mie energie. Avevo preparato l’allestimento assieme a Susan, la quale aveva sopportato i miei terribili sbalzi d’umore e aveva cercato di tranquillizzarmi ogni qualvolta David si presentava in galleria e criticava intenzionalmente il nostro operato. Quella mattina, mi sentivo particolarmente stanca e le occhiaie intorno ai miei occhi erano li a ricordarmi le poche ore di sonno e gli incubi che mi avevano perseguitata ogni notte.
    Seduta sulla mia poltrona preferita guardavo, sorseggiando un’abbondante tazza di caffè macchiato, la sky line di New York. Mi resi conto di amare quella città, l’avevo amata dal primo momento in cui ci avevo messo piede ormai dieci anni prima, ma nello stesso momento sentivo di odiarla, mi sentivo tradita da quelle luci e da quello scintillio, sentivo forte dentro di me il desiderio di andarmene e di fuggire lontano. Oggi era il giorno dell’inaugurazione, ma invece di prepararmi con gioia a quell’evento mi sembrava di prepararmi per andare ad un funerale, sapeva che dopo l’inaugurazione avrei detto addio a David per sempre, sapevo che avrei chiuso il mio contratto di collaborazione con lui, sapevo che non avrei più visto i suoi occhi e questo mi procurava fitte dolorose allo stomaco. BASTA, mi dissi , REAGISCI ACCIDENTI! Le lacrime si confusero con l’acqua della doccia e fu un pianto liberatorio, i singhiozzi rimbombavano tra le fredde pareti del bagno, le ginocchia cedettero e mi ritrovai rannicchiata, scossa, confusa. Come potevo amare ancora quell’uomo che mi aveva ferita così tanto. Non lo sapevo.

    Passai il pomeriggio così tra alti e bassi e telefonate, quando ad un certo punto il catalogo della mostra mi capitoò per le mani, forse lo guardai davvero per la prima volta, in quell’istante.
    “Unbrekable” era in copertina, questo mi fece pensare che avrei dovuto essere forte come l’uomo che aveva ispirato quel quadro con la sua musica e solo in quel momento mi resi conto che mio zio l’aveva invitato alla mostra. Ma come ho fatto a dimenticarmene? Una sorta di agitazione giovanile mi colse di sorpresa, provai la stessa emozione della quindicenne che ero stata, la stessa di quando avevo tappezzato la stanza con i suoi poster e la medesima di quando, rapita ed ipnotizzata dalla sua sensualità, mi fermavo a guardare i suoi video. Arrossii, senza volerlo, la serata non sarebbe stata poi così male!


    New York – Waldorf Astoria Hotel

    Seduto sul divano della mia suite rigiravo tra le mani il biglietto da visita di Jack, sul retro in bella calligrafia vi erano le indicazioni per la mostra di Elisabeth Sax, avevo deciso di andarci, ero curioso di vedere le opere di questa pittrice.
    Avevo passato due settimane lontano da Los Angeles, lontano dai miei figli, non avrei mai potuto farmi vedere così da loro, dovevo ritrovare un po’ di pace e un po’ di equilibrio, ma più i giorni passavano più tutto il dolore che mi aveva circondato negli ultimi mesi mi si scagliava contro violentemente. L’unica soluzione era la calma indotta da quelle maledette pastiglie, sapevo bene che avrei dovuto smettere, che non poteva andare avanti così ancora per molto stavo diventando lo spettro di me stesso, ma ogni volta trovavo il giusto alibi per continuare.
    Tenevo i gomiti appoggiati sulle ginocchia e la testa tra le mani, chiusi gli occhi ed in un lampo altri occhi apparvero, quelli della sconosciuta che lievemente attraversarono i pensieri.


    New York – Galleria d’arte di David Sullivan


    Fasciata in un vestito a tubino nero, accoglievo i miei ospiti all’ingresso della galleria, avevo i capelli tirati su con delle ciocche leggere che le ricadevano sulle spalle, ed i miei occhi verdi si muovevano nervosi alla ricerca di un ospite che non era ancora arrivato.
    “Tesorooooo!” La voce di mia madre, inconfondibile, spezzo il ritmo dei miei pensieri.
    La vidi arrivare a braccia tese seguita da mio padre, il quale teneva un enorme mazzo di rose rosse per me.
    “Ciao mamma” le dissi mentre l’abbracciavo teneramente, il calore di quell’abbraccio scaccio in un momento ogni pensiero e mi ritrovai bambina davanti al patio della vecchia casa a Laguna Beach, ero caduta dalla bici e mi ero fatta un enorme taglio sulla gamba sinistra, ne portavo ancora i segni ormai sbiaditi dal tempo. Mia madre mi aveva accolta tra le sue braccia, lasciando immediatamente il block notes sul quale abbozzava le trame dei suoi romanzi, ed era corsa da me, mi aveva cullata, aveva asciugato le mie lacrime ed il dolore come per magia era scomparso. Le madri, pensai, hanno sempre dei segreti nascosti.
    “Tesoro mioooo, quanto mi sei mancata!”
    “Anche tu mamma”
    “Allora, posso salutare mia figlia o no?!” sorrisi a mio padre benevola e accolsi il suo metro e novanta di abbraccio, “sono per te, Beth, ti piacciono? Tua madre voleva che ti portassi delle rose rosa, ma secondo me queste sono più appropriate al tuo temperamento, che ne dici?” Nel dirlo mi strizzo l’ occhio, si divertiva troppo a battibeccare con mia madre e io li trovavo adorabili dopo più di trent’anni di matrimonio.
    “Le adoro, letteralmente papà!”
    Ad interrompere questo bel quadro famigliare fu David che ci raggiunse a grandi falcate, “Signori Sax, che piacere vedervi, credevo che foste ancora in viaggio.”
    “Buona sera David” mio padre rispose in modo freddo e distaccato, temevo che Lauren, quella lingua lunga di mia sorella, avesse spifferato tutto.
    “Sono lieto di avervi qui, avete già dato uno sguardo alla mostra? Beth ha superato se stessa.”
    “Non ne avevamo il minimo dubbio, David, e tu?” mio padre sapeva decisamente qualcosa, ma fortunatamente fummo interrotti, lui venne chiamato nell’altra sala ed io riuscii soltanto ad abbassare lo sguardo.
    “Va tutto bene piccola, noi siamo qui con te.”
    “Grazie, papà, ora devo dare retta ai miei ospiti, ci vediamo dopo!”
    La serata fu davvero molto impegnativa, guardavo il mio orologio in modo frenetico, attendendo l’arrivo del mio ospite a sorpresa, ma nulla…a mezzanotte le mie speranze erano ridotte a zero e mi rassegnai a riporre il mio sogno d’adolescente nel cassetto più profondo dal quale era spuntato fuori.
    Piano piano tutti gli ospiti, lentamente, se ne stavano andando. I miei genitori mi comunicarono che si sarebbero fermati un paio di giorni ed avrebbero alloggiato all’Astoria e ci accordammo per vederci il giorno successivo.
    Mentre riponevo alcune cose nella mia cartellina, sentii dei passi alle spalle, mi venne quasi un colpo, ero convinta di essere sola, mi piaceva dopo le mostre restare in silenzio dentro la galleria e riguardare ciò che avevo creato era una bella sensazione, ma quella sera mi procurò una strana inquietudine.
    “Beth…”
    “David che cosa ci fai ancora qui?”
    “Volevo stare un po’ solo con te, non ne sei felice?”
    “No!” raccolsi veloce la mia roba e mi infilai il trench.
    “Ma suuuuu, Beth, ti piacevano le sorprese e io ne ho preparata una per te” aveva una strana luce negli occhi, mi stava facendo paura, così mi voltai e mi diressi verso l’uscita senza dargli retta.
    Una mano mi afferrò il polso sinistro con forza, cercai di divincolarmi, ma non ci riuscivo, benché fossi alta un metro e settantacinque, lui mi sovrastava con la sua forza dovuta a ore e ore di palestra. Mi spinse violentemente contro la parete procurandomi un forte dolore alla spalla.
    “LASCIAMIIIIIIIIIIIIIIII, COSA VUOI FARMIIIIIIIIII!” urlai, ma sapevo bene che nessuno avrebbe potuto sentirmi.
    “STUPIDA RAGAZZINA, TU NON PUOI LASCIARMIIIII!”
    Le sue mani si insinuarono sotto il mio vestito, frugavano violente, non riuscivo a muovermi mentre lui strappava con forza i miei slip. Non sapevo che fare, non riuscivo a reagire, voltai il viso cercando almeno di sfuggire ai suoi baci, tenevo gli occhi chiusi, serrati sperando che quell’incubo finisse presto.
    Un rumore sordo li fece riaprire , le mani di David si staccarono da me e lo vidi cadere a terra tenendosi la mascella, mi girai e vidi chi mi aveva salvato.
    Phil si teneva il pugno con il quale aveva colpito David, lo guardava con un odio che non gli riconoscevo “VATTENE, BASTARDO! SPARISCI!”. David non poteva credere a quello che era accaduto e tenendosi la mandibola si alzò barcollando, si volto’ ancora una volta verso di me e disse “NON FINISCE QUI!”.
    Phil, mi sostenne prima che cadessi a terra, ero turbata da quanto fosse accaduto, ma lui non disse una parola mi accolse tra le sue braccia e mi condusse fuori.


    New York – su un suv nero - qualche minuto dopo

    Osservavo la galleria buia, avevo avuto un impegno improvviso e non ero arrivato in tempo,mi dispiaceva molto, avrei voluto stringere la mano di quell’artista dirle che strana sensazione il suo quadro avesse avuto su di me, ma avrei dovuto rinunciare, almeno per quella sera.
    Scossi le spalle e mentre decidevo se tornare in albergo o chiedere a Robert di farmi fare un giro della città, un taxi sfilo’ lentamente nell’altra direzione ed io vidi di nuovo quegli occhi, ma questa volta stavano piangendo e io mi domandai perche’…
    Appoggiai la mano sul finestrino per cercare un invisibile contatto e come se anche lei avesse sentito il mio tocco sul viso, alzo’ lo sguardo verso di me ma non vide nulla.


    New York – in un taxi - nello stesso istante

    Sentivo un forte dolore bruciarmi dentro, una rabbia e un senso di angoscia che stentavo a comprendere davvero.
    Phil era seduto accanto a me, presenza invisibile e silenziosa, mi aveva salvata, dentro era solo il vuoto, guardavo le luci, guardavo la pioggia ma non ero veramente li. Ascoltavo nel ricordo il rimbombo crudele delle parole di David, si era tolto la maschera e aveva strappato l’ultimo brandello di umanità che volevo ancora intravedere in lui.
    “NON PUOI LASCIARMI, NON PUOI LASCIARMI, NON PUOI LASCIARMI!”
    “STUPIDA RAGAZZINA, RAGAZZINA, RAGAZZINA”
    Avrei voluto gridare ma la voce sembrava avermi abbandonata, la mia anima ferita sembrava avere lasciato il mio corpo per disperdersi chissà dove.
    Fu un momento, solo un istante impercettibile, in cui sentii l’impellente sensazione di voltarmi verso l’immensa energia che percepivo, fu solo un attimo. Vidi solamente una macchina nera e percepii una strana sensazione sul viso.
    Quando arrivammo a casa c'era solo tanto silenzio.
    “Beth, mia cara ti preparo una tisana?” frastornata e scossa, tra le mie cose sentii un po’ di pace, avevo molto da dire e nello stesso tempo molto poco.
    “Si, grazie, vado a farmi una doccia”
    Come muovendomi dentro una bolla, mi ritrovai in bagno ad osservare il mio volto, il rimmel colato mi rigava le guance conferendomi un’aria desolante, mi portai le mani al viso come per cancellare anche dalla pelle il senso di desolazione e precarietà che stavo provando. Ero in bilico su un filo sottile, molto sottile.
    Mi spogliai gettando i vestiti a terra, e sotto il getto bollente della doccia insaponai il mio corpo strofinandone violentemente ogni centimetro, fino a quando un urlo incontrollabile mi uscì dalla gola, mi mancava il respiro ed il vapore mi avvolse del tutto quando le lacrime inondarono gli occhi.

    Era passata quasi un’ora ed io la stavo ancora aspettando, seduto sul divano rosso che tanto amava, osservavo come quel loft la rappresentasse tanto. Vidi il suo disordine, libri accatastati qua e la, cd, appunti e schizzi ovunque. Il cavalletto montato di fronte alla grande vetrata da cui si poteva osservare Empire State Building, i colori secchi i tubetti mezzi aperti e una cornice rovesciata, forse l’ultimo tentativo di spazzare via quell’uomo dalla sua vita.
    “Scusami, ti ho fatto aspettare molto….”
    “Non ti preoccupare, siediti qui.”
    Non dissi nulla, nemmeno una parola per rincuorarla, non c’era molto da dire, fu lei a spezzare il silenzio.
    “Finalmente l’ho visto, ho visto il suo vero volto, la sua anima….”
    “Bhet….”
    “No Phil, non dire nulla, fammi solo un favore, domani potresti andare in galleria a prendere la mia roba, puoi portare anche il documento che il mio avvocato ha preparato per rescindere il contratto con David, potresti dirgli anche che se ha qualcosa da comunicarmi dovrà farlo attraverso il suo avvocato….”
    “Certo, non ti preoccupare, andrà tutto bene”
    “Grazie Phil, domani andrò a trovare i miei genitori e poi deciderò cosa fare, forse me ne andrò per un po’….”
    “Ora devi riposare un po’ è tardissimo, io dormirò qui sul divano, se hai bisogno chiamami.”
    L' abbracciai forte, era come l’abbraccio di un padre protettivo, sapevo che lei non avrebbe mai potuto confessare a suo padre cosa era accaduto quella notte, così per un attimo presi il suo posto.
    “Grazie…” solo questo riuscì a dire e se ne andò.

    Il letto sembrava un rifugio sicuro, ma non quella notte, non quando appena chiusi gli occhi vidi gli occhi gelidi di David guardarmi in modo spietato. Mi alzai dopo qualche ora ed andai verso il piccolo cavalletto che avevo in camera da letto. Dipinsi in modo frenetico, nervoso il pennello percorreva la tela gelida, il viso indistinto di una donna prese forma, gli occhi coperti dai capelli a nascondere una vergogna tagliente, il rosso e il nero si fondevano in una danza di passione e disperazione per lasciarmi infine, senza forze ad osservare la mia disperazione negli occhi.
    Un aspro odore di caffè mi riportò alla realtà quella mattina, Phil in piedi in cucina aveva preparato la colazione e mi accolse con un benevolo sorriso, aveva gli occhi segnati dal poco e scomodo sonno.
    “Buon giorno, ho pensato di preparare la colazione….”
    “Non ho molta fame…”
    “Devi mangiare qualcosa, ieri era ieri, non ci pensare più!”
    “Ok” dissi poco convinta.

    Dopo un po’ gli dissi che poteva andare, mi sarei preparata e sarei andata all’appuntamento con i miei genitori. Lo ringraziai ancora infinitamente per tutto ciò che aveva fatto in quella situazione strana, lo tenni stretto ancora, ed ebbi la sensazione che si trattasse di un addio.
    “Ti voglio bene Phil!” gli dissi salutandolo con la mano.
    “Ti voglio bene anche io, sii forte sempre, il futuro potrebbe riservarti meravigliose sorprese!”


    New York – Waldorf Astoria Hotel


    Entrai nella hall del grande hotel e chiesi di avvisare i miei genitori del mio arrivo.
    Non avevo voglia di salire in camera, in uno spazio ristretto la mia inquietudine sarebbe venuta a galla ed avevo bisogno di spazi aperti, di gente intorno a me per tenerla a bada..
    Mi voltai un secondo a guardare il bar dell’albergo affollato di persone che frazionavano il loro tempo, scandendo i loro ritmi, ogni singolo minuto diceva business, un po’ li trovavo ridicoli, non capivo come non potessero dare peso al mondo che li circondava, concentrati com’erano nei loro affari.
    Vidi donne e uomini stringersi la mano, salutarsi, vidi amanti darsi il bacio d’addio prima del prossimo incontro clandestino, vidi volti tristi e vidi bambini correre felici e ridere e questo mi riempì di gioia, la loro spensieratezza alleggerì i cupi pensieri che mi avvolgevano, donandomi un momento di pace.
    Sentii un po’ di trambusto alle mie spalle ed un odore di incenso, sandalo e vaniglia arrivarmi alle narici fino a colpirmi dritto al cuore. Mi voltai di scatto, due uomini vestiti di nero entrarono velocemente nelle cucine dell’hotel, pensai di aver sognato quel profumo, forse stavo solo impazzendo ed i miei sensi sembravano ormai tradirmi da qualche giorno a quella parte.

    Accompagnato dalle mie guardie del corpo scesi nella Hall dell’albergo, avevo deciso di uscire, volevo andare alla galleria d’arte. Uscii rapido dall’ascensore ed andai dritto verso le porte che portavano alle cucine, fu solo una frazione di secondo e mi sembrò di scorgere il volto sconosciuto che mi faceva compagnia ormai ogni notte, ma poi pensai che fosse solamente la sua immaginazione e si avviai veloce verso l’uscita di servizio.

    “Beth, tesoro, non volevamo farti aspettare troppo!”
    “Non vi preoccupate, dove andiamo?”

    “Signore, dove la porto questa mattina?”
    “Robert, andiamo alla galleria d’arte del Signor Sullivam.”

    Il destino stava già giocando con noi, ma non lo sapevamo ancora: un suv e un taxi partirono nello stesso istante dal Waldorf Astoria e le nostre anime inconsapevoli, continuavano a rincorrersi.


    New York – Galleria d’arte di David Sullivan – un'ora dopo

    Entrai nella galleria d’arte, e mi venne incontro un uomo, mi colpirono molto i suoi occhi azzurri come il ghiaccio, freddi..
    “Signor Jackson, è un piacere averla nella mia galleria, sono David Sullivan”.
    “Signor Sullivan, piacere di conoscerla, sono venuto qui per vedere l’esposizione della Signorina Sax, è possibile?”
    “No, anche se credo, che non l'avrebbe trovata di grande interesse….” non capii perché il gallerista stesse ironizzando.
    “Perché non dovrei trovarla interessante? Le recensioni alla mostra che ho letto questa mattina erano più che positive.”
    “Anche i critici sbagliano….Signor Jackson!”
    “Quello che mi sto chiedendo è perché mai un gallerista dovrebbe criticare una sua protetta….sinceramente non ho mai visto un atteggiamento di questo genere.”
    “Perché nella vita si fanno degli errori di valutazione….e comunque, l’esposizione non è più disponibile, ho dato ordine questa mattina di smantellare tutto-“
    “Dove sono i quadri?”
    “I quadri li ho fatti avere a quella…alla Signorina Sax!” Lo disse con un tono che non mi piacque i suoi occhi erano iniettati di odio, la sua voce come un ghigno sottile e spietato.
    “Se crede le farò vedere altre opere, di altri artisti, che abbiamo….”
    “No, non si disturbi, grazie, volevo vedere i quadri della Signorina Sax, il resto non mi interessa!” Incominciavo a sentirmi infastidito da quell’atteggiamento, ma aggiunsi “Vorrei almeno vedere il catalogo della mostra, se è possibile.”
    “Ma certo!” David si allontanò.
    Mi guardai intorno e vidi a terra qualcosa che brillava, un orecchino, forse era stato perso la sera prima, mi chinai e lo raccolsi guardandolo incantato era Trilly.
    “Signor Jackson, ecco il catalogo!” Istintivamente infilai l’orecchino nella tasca della mia giacca, senza pensarci.
    “Grazie!”
    Me ne andai, mentre alle mie spalle sentii quell'uomo blaterare qualcosa, ma non mi importava.
    Salendo sul suv, iniziai ad osservare il catalogo, nella prima pagina un quadro stupendo che trasmetteva passione, armonia, sembrava che facesse vibrare il mondo attorno a lui, mi piaceva molto ed il titolo mi colpì ancora di più…..Unbrekable! Non potevo credere ai miei occhi era il titolo della mia canzone, ma come era possibile, sentivo un’inspiegabile esigenza di vederlo e di vedere l’artista che l’aveva concepito, quel quadro rappresentava appieno il mio attuale stato d’animo e me ne sentii attratto con un’intensità che da tempo non provavo. Continuai a sfogliare il catalogo e mi resi conto che molti dei quadri di quella pittrice mi commuovevano e mi emozionavano ed ebbi la sensazione di stare pian piano tornando a vivere, forse era merito di quelle emozioni o forse no, ma comunque ne stavo godendo con tutto me stesso.
    Arrivai alla fine, una fitta allo stomaco mi colse improvvisamente e inaspettatamente, vidi di nuovo quegli occhi verdi che mi fissavano sorridenti, la didascalia diceva Elisabeth Sax.
    Elisabeth….la mia sconosciuta.
    “Robert, voglio che tu trovi, in qualsiasi modo possibile, l’indirizzo della Signorina Elisabeth Sax, non mi interessa come farai, ma devo averlo assolutamente!”
    “Certo Signore, provvedo subito…”


    New York – Ristorante di Jack

    “Beth, cara, finalmente possiamo parlare un po’ con calma...”
    Quando mia madre iniziava così, non c’era da aspettarsi nulla di positivo. La guardai con l'espressione più neutra che riuscissi ad avere in quella giornata, poi mi voltai verso mio padre in cerca di un aiuto.
    “Cara, vuoi lasciare Beth in pace per favore, ha avuto due settimane intense, ieri sera l’inaugurazione, lasciala un po’ in pace!”
    “Ma….io volevo solo sapere….”
    “Mamma, cosa volevi sapere. Cosa succede tra me e David? Lo vuoi sapere? Te lo dirò….ci siamo lasciati, contenta?” le parole mi uscirono di bocca senza volere, con una rabbia che credevo di non avere.
    “Mi dispiace disse….”
    “Non ti dispiacere, mamma e nemmeno tu papà, è stato molto meglio così!”
    “Ma cara, cosa è accaduto?”
    “Mamma ti prego, non ho voglia di parlarne, per favore…”
    Intervenne mio padre, repentino, con la frase più stupida che potesse dire in quel momento, ma mi fece ridere fino alle lacrime “Allora, cosa prendiamo per dolce?”, la mia risata contagiò anche i miei genitori e ci ritrovammo a ridere come matti, le persone attorno ci guardavano con aria interrogativa, ma in quel momento avevo bisogno solo di quello e non mi interessava il resto.
    Le ore passarono veloci, tutta la tensione che avevo accumulato la sera prima mi stava abbandonando, lasciando spazio ad una serenità che credevo ormai perduta. Decidemmo di fare ancora una piccola passeggiata, i miei genitori avevano anticipato la partenza per alcuni problemi di lavoro di mio padre, così a malincuore li salutai sorbendomi di contro tutte le raccomandazioni di mia madre, la quale non aveva ancora ben chiaro che fossi ormai abbastanza grande da cavarmela da sola….bhe, non sempre forse, ma la maggior parte delle volte si. Seguirono molti baci e abbracci e alla fine, davanti a casa mia vidi il loro taxi allontanarsi.

    Mi sentivo meglio, avevo voglia di fare un bel bagno rilassate, così misi della musica nello stereo aspettai che la vasca si riempisse. Mi infilai nell’acqua bollente e sentii piano piano i muscoli rilassarsi, chiudendo gli occhi non vedevo più David, ma solo il volto sorridente dei miei genitori.
    Ad interrompere il mio torpore fu il suono del campanello, pensai fosse Sara, la mia vicina, alla quale mancava sempre qualcosa, zucchero, sale, ero praticamente la sua dispensa. Urlando dissi “Arrivo, un momento!”
    Con l’accappatoio e l’asciugamano come un turbante in testa, andai alla porta sgocciolando di qua e di là.
    “Saraaaa arrivo, arrivoooo, la dispensa è aperta!” dissi scherzando.
    “Sa……” le parole mi morirono in gola.
    “Mi hanno chiamato in molti modi, ma mai Sara, questa è decisamente la prima volta!” disse con un sorriso incantevole e disarmante.
    “No, decisamente lei non è Sara…..”
    “Posso entrare?”
    “Si certo si accomodi….”
    Gli feci strada nel delirio del mio Loft, tra i quadri imballati che tornavano a casa dalla galleria e il mio normale ed abituale, caos creativo, che per gli altri comuni mortali era disordine, feci accomodare Michael Jackson sul mio divano.
    “Le posso portare qualcosa da bere?”
    “Si , ti ringrazio, ma chiamami Michael”
    “Gradisce, gradisci del caffè Michael?” gli avevo veramente detto gradisci del caffè, magari non voleva un caffè, magari, oh, insomma!
    “Si molto volentieri” Mi guardava con quei suoi occhi grandi, sembrava divertito da quella situazione e questo non diminuiva il mio imbarazzo. Dalla cucina lo osservavo guardarsi attorno, incuriosito e solo allora mi resi conto che il mio cuore stava battendo forte e mi resi conto anche che ero ancora in accappatoio. Sentii le mie guance avvampare e passandogli velocemente accanto gli dissi “torno subito, vado a vestirmi….”, lui sorrise “ok, io non mi muovo di qui!”.

    La guardai camminare nel suo accappatoio bianco, ne percorsi le forme sinuose che si muovevano al di sotto di esso, mi vergognai un po’ dei pensieri che seguirono, ma non riuscii a staccarle gli occhi di dosso.

    Di fronte al mio armadio e mi chiedevo cosa diavolo potessi indossare, MA COSA STAI PENSANDOOOOO MUOVITIIIIIIIIIIII, TI HA VISTO IN ACCAPPATOIO, COSA VUOI CHE GLI IMPORTI COME SEI VESTITA!!!! O mamma mia che figuracciaaaaaa!!!! Mi infilai un paio di jeans e una maglietta nera scollata che valorizzava il decolté, e mi osservai nello specchio pensando di non essere per nulla male. I capelli erano ancora bagnati, decisi di darmi una rapida asciugata e la mia criniera nera esplose in un mare di ricci che mi ricadevano sulle spalle.

    Mi ero alzato dal divano quando la moka aveva iniziato a borbottare, stavo cercando nei pensili due tazze per metterci il caffè, ma con scarso successo.
    “Eccomi, le tazze sono nel terzo pensile” mi voltai un po’ imbarazzato, “scusami, non avrei voluto curiosare tra le tue cose…ma il caffè era uscito e….”.
    “Non ti preoccupare, Michael, fai come fossi a casa tua!” la sua spontaneità mi colpì molto.
    “Grazie, mi piace molto la tua casa, è accogliente”
    “Stai scherzando, vero?! Lo vedi che disastro, non ci si riesce quasi più a muovere!”
    “No, è molto bella, c’è un po’ di te in ogni angolo e questo è bellissimo, mi ricorda molto Neverland….” la frase mi morì in gola, oppresso da un senso di perdita che ormai provavo da tempo.

    Mi sembrò triste, le ultime vicende che l’avevano visto protagonista della cronaca, ma soprattutto del gossip dovevano averlo ferito nel profondo, così decisi di fare finta di nulla. “Senti posso registrarti, così, in caso mia madre si lamentasse ancora del mio disordine potrei usare le tue parole in mia difesa!”
    Rise e il velo si dissolse, “se vuoi posso dirglielo dal vivo, che ne pensi?”
    “Penso che sarebbe fantastico, ma sfortunatamente i miei genitori sono ripartiti oggi e quindi la registrazione continua ad essere la scelta migliore.”
    Gli porsi la tazza di caffè fumante e lo invitai ad andare a sedersi sul divano.
    “Lo sai che ho fatto di tutto per vedere la tua esposizione? Sarei voluto venire a vederla ieri sera, ma ho avuto un impegno improvviso e….quando sono arrivato le luci nella galleria erano già spente, mi è dispiaciuto molto.”
    Mi irrigidii al pensiero della sera precedente, immagini confuse e piene di rabbia mi tornarono alla mente.
    “Elisabeth, Elisabeth, tutto bene?”
    “ Si si certo, nessun problema. I quadri sono qui…il mio ex….il mio gallerista, bhe, diciamo che c’è stata una piccola divergenza di opinioni e…se vuoi te li mostro.” il mio viso si contrasse in una specie di smorfia.
    “Speravo davvero che me lo dicessi!” fortunatamente lui sembrò non notarlo, meglio.
    “Devo solo chiederti un favore Michael.” gli dissi “dovresti aiutarmi a sballarli!”
    “Sarò un piacere Signorina Sax!”
    Passammo le due ore successive a sballare i miei quadri, ridemmo come matti e ci divertimmo a giocare con il la plastica degli imballaggi, fino a quando non ci trovammo seduti a gambe incrociate sul mio pavimento davanti ad “Unbrekable”.
    Michael lo guardava con un’intensità profonda, osservava i colori ed io accanto a lui riuscivo a sentire l’energia che il suo sguardo sprigionava.
    “E’ bellissimo….vorrei dirti altro, vorrei dirti che cosa scatena in me questo tuo quadro, ma le sensazioni sono così potenti e contrastanti che non riesco a trovare le parole. Questo quadro è amore ed odio. Raggiunge vette altissime e profondità oscure, questo quadro sembra la mia vita…”
    “E’ tuo Michael….”
    “No, non posso accettarlo, è un regalo troppo grande.”
    “Ti prego accettalo, sarei felice l’avessi tu, hai capito ogni sfumatura, hai sentito ogni vibrazione della mia anima mentre lo stavo dipingendo e poi è merito tuo, mentre dipingevo stavo ascoltando la tua musica….quindi non puoi dire di no!”
    “Ok, io accetterò il tuo regalo se tu domani verrai a cena con me, mi sembra uno scambio equo, che ne pensi?”
    Non sapevo che dire, il suo viso era a pochi centimetri dal mio e i suoi occhi puntavano dritti verso i miei paralizzandomi, così senza pensare dissi “si, ma ad una condizione, il posto lo scelgo io!”
    “Mi piace questa condizione, sono curioso….”
    “Bhe, Signor Jackson, dovrai tenerti la tua curiosità, fino a domani sera!”
    Lui inclinò la testa leggermente verso sinistra, continuando a guardarmi, sfiorò il mio viso con la sua mano, in un gesto spontaneo che provocò in me un’infinità di brividi. Sorrisi e abbassai lo sguardo, non volevo che potesse leggere nei miei occhi tutte le sensazioni che stava provocando.
    “Ora devo andare, grazie per la bella serata” mi disse mentre si alzava dal pavimento.
    “Grazie a te Michael….”
    Mentre si avviava verso la porta si voltò ancora una volta a guardarmi, mi salutò con un cenno della mano “Ciao Elle, ci vediamo domani sera alle otto, non vedo l’ora!”
    Aprì la porta e sparì come un sogno che svanisce la mattina appena svegli, ma non era un sogno, era tutto vero, lo sentivo dalla forza con cui il mio cuore stava battendo.

    Edited by Molly74 - 12/9/2011, 21:44
     
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    Insegui i tuoi sogni ovunque essi si trovino

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    Che bello, la cosa che ho più amato in questo capitolo è il loro rincorrersi senza trovarsi... :wub:

    Molly :kiss2: tu ci vizi.
     
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  11. allorina
     
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    mi piace l'alternarsi dei pensieri di Mike e di Beth (soprattutto di Mike :love: )

    :clap: :hug:

    Dove si va a cena? :yep:
     
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  12. Beat it 81
     
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    Bellissimo!!!! Mi è piaciuto il loro rincorrersi senza mai trovarsi e ho adorato loro 2 seduti davanti al quadro......ho già l'occhio a cuore a mile!!!!!! Grande Molly, continua così !!! Baci Sara
     
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  13. Molly74
     
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    Grazie ragazze, mi è piaciuto farli rincorrere e poi mi piace che possiate leggere i pensieri di lui e di lei, lo trovo stimolante, voi che ne pensate?
    Un bacio a tutte!!!

    Capitolo 4


    New York – appartamento di Beth

    Continuai a fissare la porta dalla quale Michael era appena uscito, non potevo credere di avere passato così tanto tempo con lui, non potevo credere che lui fosse venuto a trovarmi, che fosse rimasto con me, che ci fossimo parlati come due vecchi amici….


    New York – Waldorf Astoria Hotel

    Osservavo la mia enorme suite, così vuota e così silenziosa, nelle mie orecchie ancora il suono della risata di Elle, avevo osservato i suoi occhi e ci avevo scorto dentro una grande passione e una forza vitale intensa, ma avevo visto anche il buio della sua anima, qualcosa che la faceva ancora soffrire sfiorava il suo volto e la portava lontano. Avrei voluto restare ancora con lei ed invece ero fuggito, avevo paura, paura che il mio cuore battesse ancora più forte e lei potesse sentirlo, non avevo provato mai sensazioni così atrocemente intese verso una donna, nemmeno quando ero sposato con Lisa, già pensai, Lisa…. Che enorme sbaglio era stato donarle il mio cuore e lasciare che lei lo calpestasse. Speravo che la notte passasse veloce, volevo stare con lei e sentire di nuovo il profumo dei suoi capelli, ero agitato, triste e felice nel medesimo istante, volevo solo annullare ogni sensazione ed arrivare presto a domani, così presi alcuni sonniferi e un paio di ansiolitici e mi distesi sul letto, sapevo di non doverlo fare ma non ne potevo farne a meno, non volevo chiudere gli occhi e vedere nuovamente quell’aula di tribunale, non volevo e non successe, chiusi gli occhi e caddi nel buio….


    New York – appartamento di Beth

    La mia notte era stata agitata, non riuscivo a scordare l’ultima frase che Michael mi aveva detto prima di andarsene “Ciao Elle, ci vediamo domani sera alle otto, non vedo l’ora!”, aveva davvero detto non vedo l’ora od era stata solo io ad immaginarmi tutto….Elle, mi piaceva, nessuno mai mi aveva chiamata così, era dolce il suono del mio nuovo nome sulle sue labbra.
    Smettila Beth, cosa stai pensando! E’ stato solo gentile, ma….no non devi pensare ad altro, la mia vocina interiore stava facendo obiezioni alla furia di pensieri che mi agitavano, ma non potevo farne a meno, quell’uomo mi ipnotizzava, mi aveva incantata con la sua naturalità, con la sua simpatia e la sua dolcezza. Mi misi a pensare a come stupirlo quella sera, pensai che forse dovevo essere naturale come sempre, ma l’emozione di vederlo di nuovo prese il sopravvento e il mio cuore iniziò a galoppare nel petto. Adesso basta, cerca di stare calma o la serata sarà un disastro!
    Avevo deciso di preparare una cena in terrazza, inizialmente avevo pensato ad alcuni locali, ma ero certa che saremmo stati avvistati quasi subito da curiosi o peggio ancora da paparazzi alla ricerca di qualche scoop e la serata avrebbe preso una piega che non mi ispirava per nulla.
    La mia terrazza era l'ideale, si trovava sul tetto del loft, avevo fatto costruire un gazebo di legno al centro e tutto attorno grandi vasi di fiori facevano da cornice a quel piccolo angolo di paradiso. Era il mio posto segreto, un luogo in cui andavo a riflettere quando i problemi sembravano troppo grandi per poter essere affrontati all’interno delle mura domestiche. Il gazebo era avvolto dal verde del glicine che si arrampicava tutto intorno a creare una cupola, pensavo che a Michael, quell’atmosfera sarebbe piaciuta o almeno lo speravo….
    Nel pomeriggio, mentre tentavo di vincere una lotta impari con il pasticcio di zucchine, sentii il suono del citofono, speravo che non fossero altre seccature, in realtà speravo che non fosse David…presi in mano il citofono e chiesi chi fosse.
    “Signorina Sax?”
    “Si!”
    “Sono Robert, lavoro per il Signor Jackson, ho qualcosa da darle potrebbe aprirmi per favore?”
    “Certo, salga pure…” oddio, ero agitata, che voleva dire ho qualcosa per lei? Forse Michael voleva disdire la cena? Forse….
    “Signorina Sax?” Impalata di fronte alla porta di casa, lo guardavo, temendo che ci fossero brutte, bruttissime notizie….
    “Mi dica Robert….è accaduto qualcosa a Michael? Non può venire?”
    “No, Signorina, il Signor Jackson mi ha detto di darle questo”
    Mi porse una busta, la tenni stretta tra le mani, sperando che il solo tenerla stretta mi trasmettesse una qualsiasi sensazione.
    “Signorina, si sente bene?”
    “Si si tutto bene, grazie!”
    “Allora, io vado, vuole che dica qualcosa al Signor Jackson?”
    “No, grazie Robert.”
    Richiusi la porta ed entrai in casa con quella busta in mano, mi sentivo stranamente agitata, sentivo come se le dita bruciassero al contatto con quella carta, ma cosa mi aspettavo, forse mi stavo aspettando troppo e sarei rimasta delusa. Con un gesto involontario portai la busta al naso, lontano potevo sentire il profumo di Michael, ero come sotto ad un incantesimo, mi dissi che non potevo provare nulla per lui, in fondo l’avevo visto solo una volta per qualche ora. Che mi stava succedendo?
    Finalmente presi coraggio e la aprii, vidi una calligrafia bellissima ferire la carta bianca con leggeri tratti neri, anche la sua scrittura sembrava una danza….

    “Ieri sera ho passato una bellissima serata, so che questa sarà magnifica!
    Sono solo le cinque, il tempo sembra non passare mai…

    Michael

    p.s. come mi devo vestire, sportivo o elegante? Dove mi porti?
    Ti lascio il mio numero di telefono privato, aspetto indicazioni….”


    Michael mi aveva dato il suo numero di telefono, mi sentivo un’adolescente, ma entrambi avevamo ampiamente passato quell’età, eppure mi sentivo emozionata come la prima volta che un ragazzo mi aveva invitata ad uscire. Decisi che ero troppo imbarazzata, non me la sentivo di sentire la sua voce, temevo di perdere completamente il lume della ragione i miei sogni avrebbero preso il sopravvento e non sarei più riuscita a fermarli. La fantasia avrebbe galoppato, invece, dovevo rimanere con i piedi ben piantati a terra, noi siamo solo conoscenti, continuavo a ripetermi.
    Non so quante migliaia di volte riscrissi il messaggio, mi sentivo abbastanza stupida mentre il tempo passava, alla fine decisi di scrivere:
    “Vestiti sportivo e sali da me. Nessun indizio in più….Elle”. INVIO….
    Oddio, ma cosa avevo scritto ci avevo messo quasi un’intera ora a partorire quel messaggio che sembrava…no, non ci volevo nemmeno pensare, era troppo sensuale, troppo provocante, accidenti a me!
    BI..BIP…BI…BIP, quanto era passato mezzo secondo?
    Feci un salto, nemmeno qualcuno mi avesse tirato una secchiata d’acqua in faccia.
    UNO NUOVO MESSAGGIO
    MICHAEL
    LEGGI?
    Che dovevo fare? Lo dovevo leggere?
    Certo che lo devi leggere, la voce impertinente della mia testa non smetteva di parlare, cosa vuoi fare, pensi di fissare il telefono ancora per molto?
    Ok, LEGGI….
    “Non vedo l’ora…a tra poco. Michael”
    Il mio cuore doveva essere migrato dalla mia cassa toracica direttamente nelle mie orecchie, sentivo solo il suo battito potente, non era più tempo di pensare, volevo che la serata fosse speciale e lo sarebbe stata.

    Non so come ma alle sette e mezza era tutto pronto, sul terrazzo avevo messo delle candele se si fosse fatto troppo buio le avremmo accese, chissà forse sarebbe apparso troppo romantico? Forse avrei dovuto toglierle, ma poi decisi che era bello così.
    Indossai una camicia bianca con dei grandi polsini morbidi e un paio di jeans che fasciavano le mie gambe, lasciai i miei capelli parzialmente raccolti, un pennello faceva da pinza, mentre alcune onde ribelli mi sfioravano il collo e la fronte. Mi sentivo bene…

    BEEEEEPPPPPPPPPPPPPPP!
    Corsi al citofono, e prima di rispondere dissi, stai calma, stai calma, respira!
    “Chi è?”
    “Sono Michael!” la sua voce allegra e cristallina, mi colpì come un pugno nello stomaco.
    “Vieni!” e aprii.
    Lo osservai mentre scendeva dall’ascensore, i capelli sciolti gli ricadevano leggermente sulle spalle, mentre due ciuffi gli coprivano in parte gli occhi. Nella mano destra aveva un enorme mazzo di gerbere coloratissime e mentre camminava verso di me, ignaro per il momento di essere osservato, apparve sulle sue labbra un leggero sorriso che si aprì nel momento esatto in cui mi vide sulla porta ad aspettarlo.
    “Ciao….questi sono per te!” mentre mi porgeva i fiori, si chinò leggermente e mi diede un bacio leggerissimo sulla guancia, non ebbi nemmeno il tempo di rendermene conto che già il contatto era terminato.
    “Grazie Michael, sono bellissimi!”
    “Sono felice che ti piacciano, quando li ho visti ho pensato subito a te. Spero non ti dispiaccia…”
    “Che cosa dovrebbe dispiacermi?”
    “Che ogni tanto mi capiti di pensarti…”
    “No…no…” balbettai.
    Compreso il mio imbarazzo, cambiò subito argomento.
    “Allora dove mi porti a mangiare, sei stata parecchio misteriosa!”
    “Bhe, ti do un piccolo indizio…è un posto molto tranquillo”
    “Questo non è un indizio!!!!”
    “Ahahahahhh, ma come sei curioso!”
    “Certo che sono curioso, è tutto il pomeriggio che ci sto pensando!”disse la frase e sganciò il contatto con i miei occhi, come se si fosse imbarazzato e quella frase gli fosse sfuggita.
    “Vieni con me, ora ti faccio vedere.”
    Camminava alle mie spalle e sentivo di nuovo il suo profumo avvolgermi completamente, gli feci strada sulla scala a chiocciola che dal mio appartamento portava sul tetto, arrivati in cima gli dissi “Benvenuto nel mio piccolo paradiso metropolitano!”
    Si sciolse in un sorriso dolcissimo, i suoi occhi osservavano ogni particolare, ogni dettaglio.
    “Grazie, è bellissimo, hai avuto un’idea fantastica.”

    La cena fu meravigliosa, parlammo di un milione di cose, come se il tempo si fosse fermato solo li e il resto del mondo stesse andando avanti senza di noi.
    Gli chiesi cosa provasse quando sentiva l’esigenza di comporre la sua musica, lui mi parlò a lungo delle vibrazioni che sentiva dalle cose che lo circondavano, mi disse che era come se i pensieri del mondo, le sofferenze, le gioie entrassero nel suo cuore e come per una magia si trasformassero in suono, mi spiegò che aveva la sensazione di vedere il suono, lo sentiva mentre attraversava il suo corpo come una scossa. Gli dissi che comprendevo la sensazione e quando dipingevo spesso sentivo sentimenti simili, trapassata dalle emozioni, potevo vedere i colori che concretizzavano i miei pensieri sulla tela.
    “Mi piace parlare con te, Elle…io ho l’impressione di…” conclusi io la frase per lui.
    “….di conoscerti da sempre.”
    Il buio ormai ci aveva avvolti, Michael si alzò da tavola, non volevo che se ne andasse. Come se stesse leggendo nei miei pensieri mi disse “possiamo spegnerle?”
    Lo guardai un po’ perplessa, ma gli risposi “si”.
    Con un soffio le spense, poi mi prese per mano, quel contatto mi fece rabbrividire, la mia mano si perdeva nella sua e il mio cuore mi balzo in gola alla ricerca di una via di fuga.
    “Ti va di aspettare l’alba con me?”
    Senza aspettare una mia risposta, mi fece sedere su una delle due sdraio che avevo sul terrazzo e si accomodò sull’altra, prese la coperta che tenevo appoggiata li sopra per le notti in cui andavo a riflettere solitaria sul tetto, e la stese su di noi. La mia mente era un turbinio di emozioni, sensazioni e ogni centimetro del mio corpo era percorso da brividi profondi.

    Da sotto la coperta sentii la sua mano cercare di nuovo la mia…..


    Passammo tutta la notte mano nella mano, ogni tanto lui ne accarezzava il dorso senza dire una parola, quel contatto silenzioso mi tenne compagnia fino all’alba, quando avvolti nella nostra coperta guardammo il sole trafiggere i grattacieli di fronte a noi.
    “Ho fame, che ne dici di fare colazione?”
    “Direi che un’ottima idea, che cosa ti preparo?”
    “No, no hai già fatto abbastanza, alla colazione ci penso io…” mi disse ammiccando leggermente.
    “Ok, allora vado a farmi una doccia, dieci minuti e sono pronta!”
    “Chiamo, un attimo Robert, ti spiace se lo faccio salire un momento, mi voglio far portare qualcosa per cambiarmi, la fai fare una doccia anche a me?”
    “Si, certo, fai come se fossi a casa tua..” avrei voluto alzarmi, ma Michael non accennava a lasciare la mia mano.
    “Lo sai che questa è la prima notte, da dopo il processo, che mi sento davvero bene, è stata una serata magnifica.”
    “Lo è stata anche per me Michael…” abbassai lo sguardo, sentivo che le mie guance stavano per avvampare, quell’uomo sapeva sconvolgere il mio mondo.
    “Che c’è? Ho detto qualcosa che non andava? Perché hai abbassato lo sguardo, non posso stare senza vedere questi tuoi occhi color di bosco…” la frase rimase sospesa fra noi.
    “No e che….tu, tu mi fai uno strano effetto…”
    “Anche tu me lo fai…” l’imbarazzo ci stava divorando, ci guardavamo come due timidi adolescenti, sentivo che c’era qualcosa tra di noi, non sapevo se fosse solo attrazione o altro, non ci volevo pensare non volevo illudermi, non poteva essere che questo stesse accadendo proprio a me.
    “Forse è meglio che vada a farmi la doccia, ora!”
    “Ok, ma torna presto!” lo disse con un sorriso meraviglioso, “io ti aspetto!”
    Le nostre mani si lasciarono e immediatamente sentii la mancanza del suo tocco leggero sulla mia pelle, se fossi stata una ragazzina, avrei pensato che non avrei più lavato la mia mano destra, ma ero un’adulta, o almeno lo ero all’anagrafe, e quindi mentre facevo le scale restai a fissarla e per istinto la portai al viso e ne annusai il profumo, sapeva di lui, era una sensazione strepitosa.
    Mentre facevo la doccia non riuscivo a non pensare a lui che, forse, stava gironzolando per la casa, chissà cosa stava guardando….

    Rimasi solo, osservai le sue gambe mentre si allontanava da me, sentivo già la sua mancanza, non capivo come fosse possibile che questa donna mi facesse perdere la ragione con un solo sguardo, con un solo gesto, mi sentivo felice, come avevo desiderato da tanto tempo. Continuavo ad osservare la mia mano sinistra, sentire la sua nella mia era stato bellissimo, non avrei mai voluto lasciarla andare. Sentivo un’energia incredibile scorrere tra di noi, ma avevo paura di lasciarmi andare a quelle emozioni, forse era solo attrazione o forse…non volevo illudermi troppo che una donna così potesse innamorasi di me.
    Scesi nell’appartamento, dopo una breve telefonata a Robert, iniziai a guardarmi intorno, non riuscivo a frenare la mia curiosità, volevo vedere, sapere, capire tutto di Elle. Arrivai alla porta della sua camera da letto, era incredibile come la sua natura artistica trasparisse in ogni angolo della casa. La parete dietro al letto era di un bellissimo color rosso scuro, mentre le altre erano color panna, su un angolo vicino alla finestra un cavalletto con un quadro, la mia curiosità prese il sopravvento e vidi qualcosa che non avrei mai dimenticato. La tela raffigurava una donna, i capelli le coprivano quasi totalmente il viso, si sentiva rabbia, frustrazione, dolore, mi sembrava di poterlo toccare tutto quel dolore, la sua potenza grazie alla fusione perfetta dei colori mi provocava emozioni contrastanti ed indefinite. Doveva avere sofferto molto, avrei voluto chiederglielo, ma mentre cercavo di dare corpo al mio pensiero sentì la sua voce alle mie spalle.
    “Michael! Mi hai fatto prendere un colpo, sei qui al buio, quasi non ti avevo visto…”
    Era bella, sexy, nel suo accappatoio bianco, mi osservava stupita.
    “Scusami, stavo curiosando, scusami non avrei dovuto…entrare qui.”
    “Non ti preoccupare, mi hai solo fatto spaventare, un pochino….”
    “Questo, quadro, è bellissimo, lo sai?”
    “Non credo che sia così eccezionale…” la sua voce era cambiata come se non ne volesse parlare, ma io volevo sapere.
    “Io, invece credo che sia bellissimo e che parli molto di te” mentre le dicevo questo le porsi la mano e le dissi “vieni, ti faccio vedere una cosa”.
    Lei venne verso di me, il suoi occhi avevano un qualcosa di diverso, avevo la sensazione che avesse paura nel rivederlo.
    “Io sono qui con te, puoi guardarlo…osserva, come il tuo dolore è passato sulla tela, come la tua sofferenza e la tua rabbia si siano fusi nei colori. Elle, anche se è qualcosa che vuoi dimenticare, sappi che guardando questo quadro io ho visto un po’ della tua anima e avrei tanto voluto essere qui quando avevi così bisogno di qualcuno accanto…” si voltò verso di me, gli occhi le si stavano riempiendo di lacrime.
    Ci guardammo, intensamente, sentivo il mio cuore battere forte mentre i nostri visi si avvicinavano, lentamente inizia a sentire il suo respiro, sempre più vicino……
    BEEEEEPPPPPPPPPPPPPPP! BEEEEEPPPPPPPPPPPPPPP!
    Sgranammo gli occhi, riportati alla realtà così in fretta che sentì il mio cuore sobbalzare.
    Mi guardò imbarazzata…
    “Devo andare a vedere chi è…..” e corse via, mentre una lacrima le rigava ancora il viso.

    Correvo verso il citofono, ma da cosa stavo scappando, qualche secondo prima avevo provato delle sensazioni incredibili, mi ero sentita capita, protetta….e il mio cuore batteva sempre più forte, ma come poteva essere, mi sentivo come su una vetta altissima, ma anche sull’orlo di un precipizio, avevo una tremenda paura di quello che stavo sentendo.
    “Chi è?”
    “Signorina Sax, sono Robert, posso salire?”
    “Certo venga pure.”
    Mi voltai per dire a Michael che era arrivato Robert, ma me lo trovai di fronte a pochi centimetri, sembrava un po’ turbato, non riuscivo a comprendere appieno il suo sguardo, poi mi sorrise.
    “Devo ricordarmi di dire a Robert di non essere così efficiente!”
    “Già!” ricambiai il suo sorriso e andai a vestirmi.
    “Elle posso farmi una doccia?” la sua voce mi giunse dal corridoio.
    “Certo, ti ho lasciato gli asciugamani in bagno!”
    La sola idea di lui nel mio bagno mi faceva rabbrividire, immaginavo i suoi gesti mentre si toglieva lentamente i vestiti, cercavo di immaginarmi il suo corpo, MA COSA CAVOLOOOO PENSI, SMETTILA E’ STATO SOLO UN CASO….E’ STATA L’EMOZIONE PER IL QUADRO, SOLO QUELLO! La mia vocina mi avvisava di fare attenzione, la mia parte razionale mi stava mettendo in guardia, ma io non riuscivo a non ascoltare il mio cuore che mi diceva di fidarmi di quell’uomo che non mi avrebbe mai fatto soffrire.

    “Sono pronto, andiamo!”
    Oddio era una visione….rimasi a fissarlo, senza dire nulla. I jeans neri ne evidenziavano i muscoli delle gambe, la sua maglietta bianca e la giacca nera facevano di lui un uomo davvero desiderabile, già veramente desiderabile….chissà da quanti milioni di donne!
    “Bhe c’è qualcosa che non va nel mio abbigliamento?”
    Mi sentii avvampare le guance, “no, assolutamente no, stai benissimo!”
    “Tu stai benissimo, vogliamo andare?”
    “Un secondo solo, sto cercando un orecchino che non trovo….accidenti ci tenevo tanto!”
    “Un orecchino?”
    “Si, penserai che sia una cosa stupida, ma quegli orecchini me li ha regalati il mio maestro di pittura quando arrivai qui a studiare, lui mi diceva che sembravo Trilly scaraventata nel mondo reale senza più i miei sogni, e così mi ha regalato questi, dicendomi che non avrei mai dovuto smettere di sognare”
    Gli mostrai l’orecchino che tenevo stretto nel palmo della mano, nel farlo notai che i suoi occhi si sgranavano e non capivo perché….. “Forse” mi disse mettendo la mano in tasca “starebbe meglio assieme a questo!”. Aprì la mano e come per magia apparve il mio orecchino. Come hai fatto? Dove l’hai trovato?
    “Era a terra, nella galleria…non so perché l’ho preso, mi vergogno un po’,ma sono felice che sia tuo, mi sembrava come un segno…del destino.”
    “Sembra anche a me un segno del destino…”
    “Adesso hai di nuovo le ali fatina! Che ne dici di salutare il tuo Peter?”
    Prima che riuscissi a rispondergli mi teneva già stretta tra le sue braccia, sentivo il suo cuore battere forte e andare a tempo con il mio, forse i nostri cuori sapevano già quale fosse il giusto ritmo da tenere, facendo risuonare in noi una dolce melodia.

    Edited by Molly74 - 12/9/2011, 21:45
     
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    Che cosa assolutamente romantica aspettare l'alba su una sdraio co Michael :wub:

    E poi lui che le chiede se può far la doccia nel suo bagno... :shifty: buco della serratura a me!

    Grazie Molly :hug:
     
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  15. allorina
     
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    invidiainvidiainvidiainvidia!!!!!!! :angry: anch'io sul tettoooooo!!!!!!!

    Molto romantico...... :clap:

    posta presto! Smack!!!!!!

    ally
     
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177 replies since 17/7/2011, 19:38   4559 views
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